Pd, incubo Cav: "Così siamo spacciati". Lo scenario cupo che li condanna
di Elisa Calessi
Al Nazareno, dove ieri Matteo Renzi è passato per incontrare i segretari provinciali, gira una cartellina, diventata molto ricercata. Contiene una simulazione, basata sui risultati del referendum del 4 dicembre, del Parlamento che uscirebbe dalle urne se si votasse con il Mattarellum. Cioè se passasse la proposta fatta da Renzi all'assemblea del Pd: far rivivere la legge, in vigore tra il 1994 e il 2005, che prevedeva l'elezione del 75% dei deputati con collegi uninominali e del 25% con il proporzionale.
Il risultato, per il Pd, è catastrofico. In Sicilia non vincerebbe nemmeno un collegio. Ma non andrebbe meglio nel resto del Sud (Calabria, Puglia, Campania), dove riuscirebbe a conquistare una manciata di collegi. A salvarlo sarebbe la solita dorsale rossa, Toscana, Emilia Romagna, Umbria e Marche, dove farebbe il pieno. Quasi niente in Veneto, dove la Lega prenderebbe tutto. In Lombardia il Pd vincerebbe solo a Milano città, così come in Piemonte riuscirebbe a strappare con certezza solo il capoluogo. Conclusione: se si votasse con il Mattarellum, il Pd - stando alla fotografia elettorale del 4 dicembre - porterebbe alla Camera dei Deputati tra i 100 e 120 deputati. Una bella scrematura rispetto ai 301 di oggi. Soprattutto, sarebbe sorpassato dal M5S, che risulterebbe primo in termini di seggi. Questa è una delle ragioni per cui, nonostante la proposta ufficiale del Pd resti il Mattarellum, Renzi e i vertici dem negli ultimi giorni si stanno convertendo decisamente al proporzionale. Perché è il male minore.
Poi, certo, c'è un'altra ragione: È il solo modo per andare a votare, si spiega. È l'unico sistema elettorale che avrebbe i numeri in Parlamento. Lo vuole il M5S, per costringere Pd e Fi alle larghe intese. Lo vuole Silvio Berlusconi per rientrare in partita e sganciarsi da Matteo Salvini. Lo vogliono i partiti piccoli per esercitare un potere di condizionamento. Solo che, se questa è la strada, il Pd si trova di fronte a un dilemma. Ed è l'oggetto delle conversazioni tra i massimi dirigenti. Da una parte, infatti, c'è il vantaggio immediato di poter andare al voto al più presto. Ed è quello che Renzi vuole più di tutto. Ieri ha incontrato i segretari provinciali con cui ha fissato una road map che punta a rimettere in moto il partito per andare alle elezioni prima dell' estate. Dall'altra, però, si apre uno scenario post-elettorale che comporta, per il Pd, un prezzo molto alto: sarebbe inevitabile, infatti, un governo di grande coalizione, formato da Pd, Forza Italia e cespugli centristi. In quest'ottica il voto degli azzurri, a favore della mozione che autorizza il governo a spendere fino a 20 miliardi per salvare il sistema bancario, veniva letto da molti, ieri, come la prova generale di quel che accadrà dopo. Sembra un destino segnato.
Così, almeno, ne parlano in tanti nel Pd, mentre compulsano il cellulare per leggere l'ultimo messaggio da Pontassieve. E se per qualcuno, non sarebbe la fine del mondo, del resto anche in Germania è la seconda volta che si fa la grande coalizione, per altri sarebbe una tragedia. È la fine del Pd. Renzi torna a Palazzo Chigi, ma il Pd è morto. Di sicuro, ragionano i pessimisti, sarebbe complicato spiegare non solo agli elettori, ma ai sindaci e ai presidenti di regioni del Pd, come mai il loro partito a Roma governa con quelli che sono loro avversari in consiglio comunale o regionale.
Non è detto, però, che le cose vadano così. Ci sono almeno due alternative su cui si ragiona. Una migliore, una peggiore. La prima è che la Consulta, nella sentenza del 24 gennaio, salvi il premio di maggioranza, consentendo un meccanismo che garantisca la governabilità. La seconda, invece, è persino più fosca. La spiega Stefano Ceccanti, costituzionalista molto vicino a Renzi: Se si vota con il Consultellum, al Senato entrano solo Forza Italia, Pd, Lega e M5S perché c'è lo sbarramento all'8%. Quindi Forza Italia e Pd da soli non raggiungerebbero la maggioranza. E anche alla Camera non è affatto scontato, se si vota con un sistema proporzionale puro, che la somma di Pd, Forza Italia e cespugli centristi arrivi alla maggioranza. Quindi? Saremmo costretti a tornare a votare e poi a votare ancora. La prospettiva più realistica che vedo è quella di elezioni a ripetizioni, un incubo. Un po' come accaduto in Spagna, dove si è tornato a votare due volte nel giro di poco tempo perché il Partito popolare di Mariano Rajoy, pur arrivando primo, non è riuscito a formare una maggioranza e quindi un governo. E alla fine, continua Ceccanti, se ne è usciti solo perché i socialisti si sono astenuti, permettendo la nascita del governo Rajoy. Ma da noi, né la Lega, né il M5S farebbero mai una scelta simile. L'unica speranza, si ragiona nel Pd, è che il M5S, travolto dalle vicende romane, crolli. Ma, per ora, stando ai sondaggi, è una speranza remota.

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