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venerdì 23 dicembre 2016

Bossetti, drammatica lettera dal carcere "Mi manchi, sei..." (e non è alla moglie)

Bossetti, la sua lettera strappalacrime dal carcere al padre defunto



Massimo Bossetti, condannato all'ergastolo in primo grado per l'omicidio di Yara Gambirasio, ha scritto dal carcere di Bergamo una lettera al padre, scomparso un anno fa. Alla vigilia del terzo Natale dietro le sbarre, lontano dalla moglie e dai tre figli, Bossetti trova nel padre la persona perfetta per sfogare tutto il suo dolore e la sua tristezza. Con una calligrafia ordinata e precisa, scrive: "Ciao amato papà, il mio pensiero per te in questi giorni si è intensificato, puoi benissimo immaginare il motivo...Si avvicina il Natale, il terzo Natale lontano dalla mia amata famiglia e il primo Natale senza più te papà accanto al mio fianco", si legge nella lettera in possesso dell'Adnkronos. "Natale, dovrebbe essere la festa più grande, più bella, più sentita dell'anno. La festa in cui tutte le famiglie, genitori con figli, figli con genitori, si abbracciano, si baciano, si uniscono con gioia, felicità, serenità (...). Papà, come vedi per me niente è più risentito come un tempo, niente che esista in natura possa a me permettere nel poter gioire e strapparmi un piccolo sincero sorriso. Niente di niente può colmare il dolore che resta chiuso in me (...) Come vorrei riaverti di nuovo accanto a me, averti vicino in questa triste, malinconica, angosciosa 'stanza' per riempire questo vuoto dall'amore tuo che mi manca e sentir meno la tua mancanza (...). La tua fede al dito, la tua foto attaccata al muro, è tutto quello che mi resta, so che mi sei vicino (...). Ti voglio bene e mi manchi tantissimo", firmato con tanto di piccolo cuore disegnato, "dal tuo amato figlio Massy". Parole che oltre a dimostrare smarrimento, mostrano il profondo amore di un figlio per il padre.

La difesa è ancora esterrefatta dall'esito del processo, guidato da "un'opinione pubblica forcaiola", a detta dell'avvocato Claudio Salvagni. Il problema è che nei processi non è "ammesso il contraddittorio": i giudici infatti, secondo l'avvocato, dovrebbero acconsentire all'analisi dei reperti e soprattutto alla perizia del Dna, più volte chiesta dallo stesso imputato. Di conseguenza la sentenza emessa non si fonda altro che su una "violazione dei diritti della difesa", senza contare che l'analisi del Dna, su cui si basa tutta l'accusa, presenta "anomalie e gravi contraddizioni" a cui si è arrivati utilizzando "kit scaduti da mesi". Inoltre il legale si premura di ricordare che "non è stato possibile ricostruire la dinamica" del tragico giorno, il 26 novembre 2010, così come "non è stato dimostrato il movente". Le celle telefoniche collocano sì la vittima e l'imputato nella stessa zona ma "solo a distanza di un'ora e in direzioni opposte". Insomma l'avvocato Salvagni non ha dubbi: "E' ora di aprire i codici, valga il diritto e non le suggestioni. Si torni a trattare Bossetti come un imputato, non come un condannato definitivo e gli si dia la possibilità di difendersi".

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