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domenica 27 novembre 2016

Primo NO dei Giudici bocciano la riforma degli statali Ecco cosa cambia per il referendum

Bocciata la riforma della pubblica amministrazione


di Francesco De Dominicis




Due anni di lavoro (buttati, almeno in parte) per farsi bocciare la riforma della pubblica amministrazione dalla Corte costituzionale. Che poi era uno dei fiori all'occhiello del governo di Matteo Renzi. Ma i giudici di palazzo della Consulta l'hanno ritenuta illegittima (in quattro punti) poiché lede l'autonomia delle regioni su dirigenti, società partecipate, servizi pubblici locali e organizzazione del lavoro. Il ministro Marianna Madia - che ha curato la regia del provvedimento - si era limitata a chiedere, per conto del governo, solo un parere agli enti territoriali. E invece, dice il Giudice delle leggi, era necessaria una intesa formale. Ovvero un provvedimento licenziato dalla Conferenza Stato-regioni. Sotto tiro sono finiti, nel dettaglio, i decreti attuativi che - a questo punto - vengono rimessi in discussione e sottoposti a un iter condiviso fra palazzo Chigi e il «territorio».

Per il governo si tratta senza dubbio di un duro colpo. Tuttavia, il premier prova a evitare lo schiaffo e a cavalcare la sentenza in suo favore. Proprio questo tipo di pronunce - quelle che dirimono le controversie tra «pezzi» dello Stato (centrale e locale) sulle competenze legislative - confermerebbero quanto sia importante la riforma costituzionale che sarà votata col referendum del prossimo 4 dicembre. La pronuncia «dimostra che siamo un Paese bloccato». E ancora: «Noi avevamo fatto un decreto per rendere licenziabile il dirigente che non si comporta bene e la Corte ha detto che siccome non c' è intesa con le regioni, avevamo chiesto un parere, la norma illegittima. E poi mi dicono che non devo cambiare le regole del Titolo V». Ma il premier sbaglia, sbotta Susanna Camusso. Per il segretario generale della Cgil «questa sentenza non c'entra nulla con la riforma del Titolo V. Le affermazioni di Renzi mi sembrano strumentali, a meno che non si voglia entrare a gamba tesa sui poteri delle regioni. Ma se uno è dirigente regionale, rimane tale».

Che cosa ha sbagliato il governo e quali principi costituzionali sono stati calpestati lo spiega un passaggio della sentenza della Corte costituzionale: quando «non è possibile individuare una materia di competenza dello Stato cui ricondurre, in via prevalente, le norme impugnate, perché vi è, invece, una concorrenza di competenze, statali e regionali, relative a materie legate in un intreccio inestricabile, è necessario che il legislatore statale rispetti il principio di leale collaborazione e preveda adeguati strumenti di coinvolgimento delle regioni (e degli enti locali), a difesa delle loro competenze» si legge nelle motivazioni.

Torniamo ai contenuti stangati. La sentenza di ieri della Corte tocca anche il decreto sui licenziamenti lampo per i cosiddetti furbetti del cartellino. Provvedimento che è già legge e in vigore da luglio: ma è stata dichiarata l' illegittimità costituzionale anche per quanto riguarda il meccanismo attuativo dell' articolo sul riassetto del pubblico impiego. Si tratta di un capitolo della delega ancora non attuato tranne che per il punto sui furbetti. Ancora poco chiari gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità su questo punto.

La sentenza non è piaciuta a Linda Lanzillotta. A giudizio del vicepresidente del Senato, se «la Corte impone l'intesa con le regioni sulla riduzione delle società per azioni e la dirigenza, il cambiamento non si farà mai». Renato Brunetta analizza alcuni effetti della pronuncia della Corte.

«Alcuni decreti - ha spiegato il presidente dei deputati di Forza Italia - sono stati già emanati (società partecipate e servizi pubblici locali), mentre quello più discusso della dirigenza dovrebbe essere promulgato domani, altrimenti la delega scade». Di qui un interrogativo rivolto al Quirinale: «Che fa ora il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella? Firma un decreto legislativo con una legge delega dichiarata incostituzionale?».

Parla di «sentenza storica» Luca Zaia, il governatore del Veneto che aveva impugnato la riforma Madia. «Siamo stati l' unica regione d' Italia a portare avanti le nostre convinzioni. Il centralismo sanitario governativo ha ricevuto un duro colpo e noi, tanto per fare un esempio concreto, continueremo a nominare i direttori generali della nostra sanità invece che doverli scegliere all'interno di una terna nazionale dove poteva esserci anche qualche responsabile di certi sfasci in giro per il Paese».

Pure i Cinque Stelle, con Luigi Di Maio, si sono aggregati, in serata, a quanti hanno sparato contro il governo e contro la maggioranza che hanno dimostrato di essere «una banda di incompetenti:» ha dichiarato il vicepresidente della Camera. Sorridono anche i sindacati dei dirigenti che avevano criticato la riforma. L'Unadis fa sapere che definirà «azioni imminenti a difesa della categoria e del Paese».

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