Italia fuori dall'euro: il report riservato degli 007 statunitensi
di Martino Cervo
Chi sarà il prossimo a uscire dall’Unione europea? Si intitolata così l’ultimo “Geopolitical Weekly”, il report settimanale di Stratfor, una delle più seguite piattaforme di intelligence e analisi globali. Il sito americano ospita (goo.gl/N1UD9L) la lunga analisi di Adriano Bosoni, che incrocia lo stato delle economie, il clima politico determinatosi col rischio Grexit prima e con l’avvio della Brexit poi, e dipinge un quadro in cui l’Unione europea perderà probabilmente pezzi. A partire da chi? Stratfor divide i membri in quattro categorie: il blocco dell’Est (giusto ieri su Repubblica il polacco Kaczinsky parlava apertamente di «disintegrazione» dell’Ue su pressione di Ungheria, Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria); la periferia (Grecia, Spagna, Portogallo) giudicata però incapace di un’iniziativa politica comune; i paesi del Nord (dalla Danimarca alla Lituania, dalla Finlandia all’Olanda) che potrebbero premere per una Schengen settentrionale ristretta, per evitare di «pagare i conti» per il Sud; e i «tre grandi»: Francia, Germania, Italia.
Secondo Stratfor, è da questa triade che uscirà il futuro dell’Europa. «L’Italia è uno dei paesi che avrebbe più interesse a minacciare un’uscita per strappare condizioni favorevoli» (esercizio che, se è stato fatto, fin qui non può dirsi esattamente riuscito), scrive Bosoni, ipotizzando apertamente che la corda possa a un certo punto rompersi; quindi delinea il paradosso della gabbia dell’euro: «Per ragioni strategiche Francia e Germania hanno bisogno di mantenere un fronte comune, ma i propri interessi nazionali continuano a metterle una contro l’altra». Infatti, dice, «Parigi tollererebbe l’inflazione, mentre Berlino vuole evitare politiche che minaccino la sua ricchezza e condividano il rischio con le economie del Sud. La Germania accetterebbe l’approccio francese solo in cambio del controllo sulle politiche di spesa dei vicini, condizione che molti paesi non sono disposti ad accettare». Tra i due stati, ipotizza Stratfor, è più probabile che sia la Francia ad agire per prima, reclamando una «riorganizzazione» dell’Europa. Una cosa è certa: «A questo punto, per i membri dell’Unione raggiungere un consenso sul cammino futuro è diventato praticamente impossibile».
Una sentenza non certo nuova: semmai significativa per la sede in cui appare, e che dà seguito a una lunghissima serie di crescenti perplessità di enti o istituzioni americane sulla tenuta, il costo e il senso dell’Unione e dell’Eurozona. Pochi giorni fa Jamie Dimon, il capo di JPMorgan, la megabanca Usa in predicato di prendersi Mps, nel corso di una conversazione all’Institute of International Finance ha spiegato che «il vero tema legato alla Brexit è sempre stato l’impatto di lungo termine sulla sopravvivenza dell’eurozona. La mia sensazione è che la possibilità di una fine dell’eurozona di qui a 10 anni sia ora cinque volte più alta».
Il Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz, che al fallimento dell’euro ha dedicato il suo recente libro, proprio in Italia ha ribadito la verificabilità dell’ipotesi che l’Italia esca dalla moneta unica, senza per questo abbandonare l’Europa («Sarebbe come la Svezia», ha detto a Bologna). Curiosamente, tuttavia, all’ampio dibattito cui si assiste in mezzo mondo sulle misure da prendere in caso di spaccatura o smantellamento controllato dell’eurozona (perfino Papa Francesco ha parlato della necessità di una «sana disunione» per il vecchio continente), è nel nostro paese - considerato sulla faglia di questa frattura - che mancano riflessioni sul tema. A fianco di Stiglitz nel capoluogo emiliano c’era Romano Prodi, secondo il quale «l’euro è a rischio perché non c’è chi pensa all’interesse generale», ma «uscire vorrebbe dire fare come l’Italia dopo il Rinascimento e scomparire per quattro secoli» (quelli di Caravaggio, Vivaldi, Leopardi e Manzoni, si presume). Sul Sole 24 Ore, invece, Luca Ricolfi individua tra gli «handicap» dell’Italia «il fatto di essere privi di una valuta nazionale». Tuttavia, l’ «implicazione non è certo che si debba uscire dall’euro \[…\] ma che ci si debba dare un gran daffare».
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