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venerdì 7 ottobre 2016

Artrite reumatoide: scoperto il cattivo ‘grilletto molecolare’

Artrite reumatoide: scoperto il cattivo ‘grilletto molecolare’


di Pierluigi Montebelli



Pubblicata sull’ultimo numero della scientifica rivista ‘Nature Communications’ la scoperta di un ‘grilletto molecolare’ dell’artrite reumatoide che attiva la sintesi di anticorpi nocivi nell’organismo dei pazienti e amplifica processi infiammatori patologici. Gli autori dell’importante studio, che apre anche nuove prospettive terapeutiche per i malati, sono ricercatori della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e della Fondazione Policlinico Universitario  A. Gemelli di Roma. Si tratta di una molecola chiamata microRNA155 e i ricercatori, grazie alla collaborazione con colleghi dell’Università di Glasgow, hanno testato con successo un potenziale ‘farmaco’ per disinnescare questo grilletto. La scoperta è frutto del lavoro dei reumatologi Stefano Alivernini e Barbara Tolusso coordinati da Gianfranco Ferraccioli, ordinario di Reumatologia alla Cattolica e Direttore del Polo di Scienze Reumatologiche, Dermatologiche, Immuno-Allergologiche, Urologiche e Nefrologiche del Policlinico A. Gemelli.

L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria progressiva con una incidenza tra lo 0.5% e l’1 della popolazione. Interessa primariamente le articolazioni e coinvolge tutti gli organi e apparati causando un aumento di morbidità e la riduzione dell’aspettativa di vita. Affligge più frequentemente le donne, insorgendo più spesso nella quarta-quinta decade di vita.  La base della malattia è una reazione ‘autoimmunitaria’, durante la quale cellule di difesa - i linfociti T e linfociti B - normalmente deputate a riconoscere ed eliminare agenti infettivi - si rivoltano contro lo stesso organismo e generano infiammazione distruttiva diretta contro le articolazioni e gli organi interni del paziente, nonché producono anticorpi (i cosiddetti autoanticorpi) patologici che attaccano a loro volta le articolazioni. In questa ricerca, che è il proseguimento di studi su specifiche sottopopolazioni delle B cellule, si è cercato di comprendere come vengono attivate le cellule immunitarie B, ovvero quelle che producono gli autoanticorpi e come sia possibile frenarle, evitando dunque la produzione di autoanticorpi e i processi infiammatori deleteri che da essi conseguono. 

Studiando campioni biologici di oltre 60 pazienti, gli esperti hanno scoperto che la ‘chiave di volta’ della malattia è il micro-RNA155 (miR155): hanno visto che questa molecola è in grado di attivare le cellule B di memoria (oltre ai monociti-macrofagi) e farle divenire patogene. Inoltre gli scienziati hanno scoperto che miR155 è a sua volta attivato da altre molecole infiammatorie, come CD40L, IL6, BAFF, IL21. E non è tutto: i ricercatori hanno anche dimostrato che, quando presente in eccesso, questo microRNA riduce la espressione (presenza) di una importante molecola anti-infiammatoria chiamata Pu-1. Ridurre la espressione di Pu-1 significa aumentare l’infiammazione. Infine gli scienziati hanno visto che bloccando miR155 attraverso una molecola specifica, fornita dai ricercatori dell’Università di Glasgow, è possibile spegnere l’infiammazione determinando l’aumento di Pu-1, che è, appunto, un potente inibitore dell’ infiammazione.

“Il lavoro - sottolinea il professor Ferraccioli - è durato 5 anni ed ha richiesto lo studio di vari campioni (oltre a cellule del sangue e cellule del liquido articolare) di cellule del tessuto sinoviale ottenuti attraverso biopsie sinoviali mirate, e la collaborazione di oltre 60 pazienti che hanno acconsentito a essere studiati nel tempo, prima e durante le terapie. La scoperta di questa possibile via di controllo della malattia apre nuovissime prospettive terapeutiche e soprattutto insegna che il controllo della infiammazione prodotta dalle cellule B che producono gli autoanticorpi nocivi, è realmente possibile senza usare farmaci o chemioterapici che abbattono le cellule B”.

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