Disastro Monti, lo spreco miliardario. La lettera dei giudici: così ci ha inguaiati
di Attilio Barbieri
La procura della Corte dei Conti intima a Morgan Stanley di restituire 2,9 miliardi all' Italia. Quelli utilizzati da Mario Monti, all' epoca dei fatti capo del governo, per chiudere un derivato acceso dalla banca d' affari Usa a copertura del debito pubblico italiano. Un derivato molto speciale perché contemplava una clausola capestro: nel caso in cui fosse peggiorato il merito di credito attribuito all' Italia l' emittente, cioè Morgan Stanley, avrebbe potuto chiederne la copertura. E così avvenne.
La vicenda si dipana nel periodo a cavallo fra la fine del 2011 e l' inizio dell' anno successivo. A Palazzo Chigi siede il senatore a vita Mario Monti che ha preso il posto di Silvio Berlusconi il 16 novembre 2011. Lo spread fra i nostri titoli di Stato a 10 anni e i pari scadenza tedeschi, i Bund, è alle stelle, sopra i 500 punti base. La speculazione colpisce duramente il debito pubblico italiano. Nel mezzo della bufera, nella notte tra il 19 e il 20 settembre, l' agenzia di rating Standard & Poor' s declassò il debito pubblico italiano al livello BBB.
Tanto bastò a far scattare una clausola del contratto di finanziamento prevista dal derivato, sottoscritto dal Tesoro italiano nel 1994 con la merchant statunitense. Monti è comparso lo scorso anno al Tribunale di Trani come testimone dove è in corso un processo a carico proprio dei funzionari di Standard & Poor' s e Fitch chiamati a rispondere proprio per i declassamenti inflitti al nostro Paese in quel periodo, ritenuti ingiusti da molti esperti.
Ad annunciare la richiesta della Corte dei Conti, che propone a Morgan Stanley una transazione amichevole con la restituzione di 2,9 miliardi di euro, non sono i magistrati contabili. Ne dà conto la merchant americana nella relazione trimestrale dove si legge, riferisce l' agenzia Reuters, che la quantificazione del danno erariale è stata ricevuta l' 11 luglio scorso. La Corte dei Conti è dell' idea che almeno alcune delle operazioni in derivati fossero «improprie», così come la loro chiusura.
Secondo il Tesoro, la posizione con Morgan Stanley era unica e non esistono altri accordi che contemplino simili clausole di estinzione complessiva.
Secondo i calcoli dell' Eurostat, tra 2012 e 2015 i derivati hanno avuto un impatto negativo sul bilancio pubblico per 21 miliardi. Complessivamente il valore nominale dei contratti derivati stipulati dal Tesoro per coprirsi dagli sbalzi sui tassi del nostro debito pubblico, ammontano a 163 miliardi di euro.
Morgan Stanley respinge la ricostruzione della Corte dei Conti che giudica «improprie» alcune delle operazioni in derivati, così come la loro chiusura. «Riteniamo questa proposta di transazione priva di basi e ci difenderemo con vigore», fa sapere un portavoce della merchant newyorkese citato dalla Reuters che insiste sulla validità della clausola unilaterale definita tecnicamente Additional termination events: se il Tesoro fosse stato esposto oltre un certo livello al rischio determinato dal rating, la banca americana avrebbe potuto pretendere la chiusura anticipata del portafoglio. In realtà il contratto contestato prevedeva che l' Italia avrebbe potuto scongiurare il rimborso anticipato offrendo una garanzia collaterale sotto forma di titoli di Stato o contante. Una possibilità scartata dal Tesoro perché avrebbe fatto crescere il deficit.
Che al contrario si voleva schiacciare per farsi trovare pronti all' appuntamento con l' euro. Nel 1993, l' anno precedente all' apertura dei derivati, era entrato in vigore il trattato di Maastricht che imponeva ai Paesi contraenti vincoli di bilancio stringenti, a cominciare dal rapporto deficit-Pil non superiore al 3% e debito entro il 60%.
A parere della Corte dei Conti i derivati sarebbero stati «non idonei» a stabilizzare il debito e il Tesoro non avrebbe dovuto stipularli. Dunque sarebbe nulla anche la clausola capestro fatta valere dagli americani. Soprattutto se si considerano gli incroci societari che legano Morgan Stanley a Standard & Poor' s e che possono configurare, vista la successione di eventi che portarono alla restituzione anticipata dei 2,9 miliardi, un conflitto d' interessi.
La tranche di derivati al centro della disputa risale al periodo in cui ministro del Tesoro era dapprima Piero Barucci con Carlo Azelio Ciampi a Palazzo Chigi e poi Lamberto Dini, con Berlusconi premier. Alla direzione generale del ministero del Tesoro si trovava niente meno che Mario Draghi.
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