Maurizio Belpietro: "Salvini e Meloni vogliono 'uccidere' Berlusconi"
di Maurizio Belpietro
Che il centrodestra nella Capitale abbia istinti suicidi è cosa ormai assodata e di cui abbiamo già scritto. Quel che resta da scoprire è perché partiti che per un ventennio hanno avuto l' ambizione di guidare il Paese, all' improvviso a Roma abbiano scelto di porre fine anticipatamente alla propria esistenza, decidendo di farlo pubblicamente, con dichiarazioni tv e interviste ai giornali che contribuiscono a confondere le idee degli elettori più che chiarirle.
Per parte nostra non ci sono dubbi. Le ragioni che hanno prodotto il caos cui assistiamo quotidianamente, con candidature multiple le une contro le altre, sono frutto di uno dei più conosciuti meccanismi che si conoscano e siano stati indagati in psicologia: l'uccisione del padre.
Ovviamente il genitore destinato ad essere fatto fuori è rappresentato da Silvio Berlusconi, mentre nei panni dei figlioli che hanno sguainato i pugnali per eliminare l' ingombrante figura paterna ci sono Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Entrambi, oltre ad appartenere ad una generazione diversa da quella del Cavaliere, hanno in comune una caratteristica: alle prossime elezioni municipali non hanno nulla da perdere. Il capo della Lega a Roma sa che qualsiasi candidato mettesse con il simbolo del Carroccio non porterebbe a casa granché, dunque piuttosto che indicare un nome suo preferisce stoppare quello degli altri, sapendo che in questo modo il risultato negativo - molto probabile viste le divisioni - sarà per lui un valore aggiunto.
Per la leader di Fratelli d' Italia il discorso è leggermente diverso ma non troppo. Anche lei non corre per vincere, ma semmai per capitalizzare la perdita di Bertolaso. Giorgia non aveva e non ha alcuna intenzione di fare il sindaco, perché non ha alcuna intenzione di finire come Gianni Alemanno, con un Comune pieno di debiti e ricco solo di amici a caccia di incarichi. Dunque cerca di ottenere il massimo dalla sconfitta e anche addossare ad altri la perdita della Capitale può essere un modo per vincere.
In tutto questo gioco delle parti, chi rischia di più è ovviamente Silvio Berlusconi, il quale candidando Guido Bertolaso non ha solo il problema di ottenere una difficile vittoria, ma pure di affermare la propria leadership e di farla digerire agli alleati. Anche nel passato il Cavaliere ha avuto un problema di conferma del ruolo all' interno del centrodestra. Tuttavia allora Forza Italia aveva il doppio dei voti e spesso il triplo di quelli ottenuti dai contestatori. Oggi non solo Berlusconi non gode più di quel consenso, ma il suo partito è preda di una fuga dalla sconfitta che pare inarrestabile. Gente che fino a ieri sembrava pronta alla morte per il leader oggi fugge nelle braccia dei suoi avversari, lamentando proprio le cose di cui ieri andava fiero.
Nella guerra in corso a Roma il Cavaliere fatica ad imporre il nome concordato con gli alleati, ma più fatica e più lega il suo nome al probabile insuccesso, ossia fa proprio ciò che gli alleati si attendono per ottenere una sua più spedita uscita di scena e dunque una rifondazione del centrodestra senza più Berlusconi in posizione dominante. Non sappiamo se l' operazione politica di Salvini e Meloni riuscirà. Se cioè la confusione con cui il centrodestra si presenta al voto sarà pagata dalla sola Forza Italia, come è probabile, e non anche da Fratelli d' Italia e dal suo nuovo partner leghista. Sta di fatto che Silvio Berlusconi ha un solo modo per sottrarsi alla trappola mortale che per lui è stata preparata nella Capitale ed è il successo di Stefano Parisi a Milano.
Dando per scontata una bocciatura di Bertolaso a Roma (anche con il migliore aspirante sindaco non si può vincere presentandosi divisi ai blocchi di partenza, con quattro candidati invece di uno), il Cavaliere deve per forza portare a casa almeno un successo nel capoluogo lombardo, pena la marginalizzazione del ruolo di Forza Italia e della sua leadership. Ce la farà Parisi? Da quel che si sente dire i sondaggi non lo darebbero molto distaccato dal candidato di centrosinistra, ma come si sa i sondaggi valgono quel che valgono, perché non esiste una scienza esatta che possa prevedere il voto. Nel caso in cui l' ex city manager di Gabriele Albertini riuscisse ad agguantare Beppe Sala e a sorpassarlo, non solo Berlusconi riuscirebbe a respingere le pretese degli alleati a farsi da parte, ma potrebbero essere gettate le fondamenta di un rassemblement nuovo e capace di opporsi al centrosinistra di Matteo Renzi.
Vincere a Milano certo non annullerebbe una sconfitta a Roma, ma contribuirebbe a pareggiare i conti, permettendo al partito dei moderati di trovare una nuova linfa per riorganizzarsi e ripensarsi. La vittoria a Milano sarebbe una ostacolo sulla strada per la costruzione del Partito della Nazione, un passaggio che paradossalmente, nel momento di massima divisione, potrebbe contribuire a una nuova unione di centrodestra. Dunque dallo spettacolo un po' deprimente di questi giorni alla fine potrebbe perfino nascere qualche cosa di un po' divertente. O almeno è ciò che ci auguriamo.
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