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martedì 28 luglio 2015

LA CASSAZIONE Schiaffo delle toghe: perdere il lavoro "non è un grave danno alla persona"

Cassazione: la perdita del lavoro non reca grave danno. Condannato imprenditore che pagò i dipendenti e non il fisco




Un impresario di Cuneo, in un momento di grave crisi per la sua azienda nel 2006, aveva preferito pagare i suoi dipendenti per non lasciarli a casa, piuttosto che pagare 258mila euro di Iva al fisco. All'uomo erano stati inflitti quattro mesi di reclusione dalla Corte d'appello di Torino, e oggi la Cassazione ha confermato la sentenza. Il motivo? La perdita del lavoro non costituisce grave danno alla persona.

Choc - L'imprenditore che sceglie di non pagare le tasse per salvare i propri dipendenti dalla disoccupazione deve dunque essere condannato, nonostante abbia invocato lo stato di necessità che in base al codice prevede che non possa essere punito chi abbia commesso un fatto per salvare sé o altri dal pericolo di un danno grave alla persona. Le tasse prima di tutto, è la sentenza choc della Cassazione. I giudici argomentano così la loro decisione: "Pur essendo fuori discussione che il diritto al lavoro è costituzionalmente garantito, e che il lavoro contribuisce alla formazione e allo sviluppo della persona umana, deve escludersi tuttavia che la sua perdita costituisca, in quanto tale, un grave danno alla persona", e il riferimento è all'articolo 54 del codice penale. Zittita ancora una volta la voce dell'Italia imprenditrice, che vuole continuare a produrre nonostante la drammatica condizione economica. Bisogna ricordare poi l'articolo quattro della Costituzione italiana, che recita: "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto". Ma a quanto pare, per quella stessa Repubblica che lo auspica, la perdita di un diritto non costituisce un danno grave alla persona.

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