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giovedì 25 dicembre 2014

Jobs act, Matteo Renzi si arrende: resta il reintegro. Schiaffo ad Alfano

Jobs Act, dal Cdm "sì" ai decreti attuativi: ecco cosa cambia




Dopo una vigilia di fuoco e tre ore di lavoro, alle 15.45 del 24 dicembre si è concluso il Consiglio dei ministri che ha approvato il primo decreto attuativo del Jobs Act, la riforma del lavoro "made in Renzi". Il premier parla di "rivoluzione copernicana", ma il dato più importante che emerge è il fatto che resta il reintegro previsto dall'articolo 18 in caso di licenziamenti economici illegittimi. La linea di Angelino Alfano e di Ncd, che alla vigilia aveva minacciato lo strappo, ne esce dunque sconfitta. Nel decreto infatti non compare il cosiddetto opting-out, ossia la possibilità per il datore di lavoro di aggirare il reintegro del lavoratore in caso di licenziamento ingiustificato versandogli un super-indennizzo.

Le parole del premier - Sul nuovo contratto a tutele crescenti, modifica dell'articolo 18 e nuovi indennizzi in caso di licenziamento illegittimo, Renzi ha spiegato che il pacchetto "varrà anche per partiti e sindacati". E ancora: "Il licenziamento collettivo avrà lo stesso regime del licenziamento individuale". Il premier ha poi smentito una della voci circolate negli ultimi giorni, spiegando che non è previsto il licenziamento per scarso rendimento: "Mettiamoci in testa che sarebbe stata una polemica solo di applicazione giurisprudenziale. Il datore di lavoro - ha aggiunto - può comunque intervenire per licenziamento economico".

La rabbia degli alfaniani - A questo punto si attendono le mosse del Nuovo centrodestra, la cui linea sull'opting-out, come detto, è uscita sconfitta. Soltanto poche ore fa il ministro Maurizio Sacconi aveva insistito su un netto superamento dell'articolo 18, minacciando in caso contrario anche l'uscita dal governo. Su Twitter, infatti, aveva scritto: "Domani d-day della politica italiana. O via articolo 18 o via governo per crollo credibilità". E nel "d-day" annunciato da Sacconi l'articolo 18, nei fatti, non è stato cancellato. Una decisione maturata nel corso di un lungo e tesissimo Consiglio dei ministri. Una scelta, quella di Renzi - che se ne è preso l'intera responsabilità in conferenza stampa - che potrebbe minare la tenuta del suo esecutivo.

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