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lunedì 19 maggio 2014

Prostitute e usura: il figlio inguaia il giudice D'Isa

Prostitute e usura: il figlio inguaia il giudice D'Isa


di Giacomo Amadori 



«Le strane relazioni del giudice che ha condannato Berlusconi». Con questo titolo in prima pagina cinque giorni fa Libero ha puntato i riflettori sui rapporti pericolosi del consigliere della Corte Suprema di Cassazione Claudio D’Isa, una delle cinque toghe che l’1 agosto 2013 ha condannato in via definitiva l’ex premier Silvio Berlusconi a quattro anni di carcere per una frode fiscale da 3 milioni di euro. I rapporti a cui abbiamo fatto riferimento sono quelli con la famiglia Terenzio, imprenditori di Cassino (Frosinone), e in particolare con Gabriele Vincenzo, 62 anni, e con il figlio Luigi, 41. I due sono stati colpiti da un misura di prevenzione patrimoniale da 150 milioni di euro, confermata nel luglio 2013 dalla Corte d’appello di Roma, e sono imputati per associazione per delinquere aggravata dalle modalità mafiose in secondo grado nella cosiddetta inchiesta Grande Muraglia (in primo grado sono stati assolti). I giudici gli contestano consolidati rapporti con la criminalità organizzata campana e laziale.

Claudio D’Isa e il figlio Dario, avvocato trentasettenne del foro di Torre Annunziata (Napoli) il 4 maggio scorso, come documentato da Libero con numerose foto, sono stati ospiti d’onore alla Prima comunione della figlia di Luigi Terenzio e il giudici è stato commensale al "tavolo numero 1", quello dei due plurinquisiti. Ma non sono solo queste le “relazioni pericolose" che stanno emergendo in questi giorni. Per esempio nell’ambito di un’inchiesta su una banda di usurai della procura di Torre Annunziata (Napoli) e dei carabinieri di Piano di Sorrento è coinvolto Dario D’Isa. Inizialmente Il Mattino parla di «un giovane rampollo della Sorrento bene» al quale magistrati e forze dell’ordine riconoscono un «ruolo particolarmente attivo» nella vicenda. Il Fatto quotidiano, dopo lo scoop di Libero approfondisce l’inchiesta e scopre che ci sono 9 intercettazioni tra Dario e Claudio D’Isa («che non è indagato» puntualizza il cronista). La parte più interessante riguarda 7 mila euro che un ristoratore avrebbe consegnato a Dario D’Isa affinché si interessasse di una causa pendente in Cassazione. Gli inquirenti sostengono che D’Isa jr sarebbe stato sollecitato «affinché intercedesse con il padre per la vicenda giudiziaria». In una telefonata Claudio D’Isa avrebbe chiesto le motivazioni di primo grado e d’appello con questa giustificazione: «Altrimenti io non capisco niente». Il 9 novembre 2013 D’Isa chiama il padre per domandargli se abbia visto «quella sentenza là». Il giudice tranquillizza il figlio: «Ora la guardo». Dario insiste e tre giorni dopo chiede al padre: «Puoi fare quel controllo su quel V. D. Terza sezione (della Cassazione ndr) eventualmente così poi glielo dico». Il magistrato, che fa parte della Quarta sezione penale, spiega di essere impossibilitato perché «le cancellerie stanno chiuse».

Alla fine la sentenza di condanna per V. D. viene confermata e l’uomo pretende la restituzione dei suoi soldi. D’Isa jr, sempre secondo quanto riportato dal Fatto, non ci sta: «L’avevo detto che la cosa poteva non andare in porto...». Qualcuno obietterà che questa consulenza a pagamento potrebbe essere stata prestata all’insaputa dell’alto magistrato e che Claudio D’Isa alla fine dell’anno scorso potesse essere all’oscuro dei rapporti pericolosi del figlio con i presunti usurai. Ma le cose sono certo cambiate a marzo, quando lo studio e l’appartamento di Dario D’Isa sono stati perquisiti e a onor del vero sono almeno nove anni che il giudice conosce le cattive frequentazioni del figlio. Infatti Dario D’Isa è stato arrestato nel 2005 per associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione. Il motivo? Gli «incontri ravvicinati» che si svolgevano al Bora Bora, locale di lap-dance di Bastia Umbra (Perugia). Per gli inquirenti là dentro veniva esercitato il più antico mestiere del mondo e nei privé «le donne si lasciavano accarezzare e baciare i seni, i glutei, le cosce e la vagina» si legge nell’ordinanza. I magistrati scrivono inoltre che «l’attività in questione è di proprietà dell’Omonima srl le cui quote fanno capo alla Dial srl, amministratore unico della quale risulta essere il D’Isa Dario». Tanto che in un’intercettazione, riassunta dagli investigatori, «lo stesso, parlando con il proprio interlocutore ammette che i suoi genitori non sanno che tipo di locale gestisca e che cosa avvenga lì, tanto da preoccuparsi, sapendo che i predetti, partendo da Napoli, sono arrivati a Bastia Umbra per cercare di individuare dove sia detto locale e di cosa si tratti». Sembra di vederli, il giudice e la consorte, mentre entrano al Bora Bora e si trovano di fronte le fanciulle nude come mamma le ha fatte. E se anche non individuarono il night, dopo pochi mesi, scoprirono la vera attività imprenditoriale del figliolo quando venne spedito agli arresti domiciliari. Dopo diversi anni Dario D’Isa è stato rinviato a giudizio e il processo è ancora in corso. Questo quadretto non ha persuaso il padre a diffidare degli amici del figlio. Compresi Vincenzo e Luigi Terenzio, approdati sulla penisola sorrentina come clienti dello studio D’Isa e in attesa di almeno tre pronunciamenti in Cassazione (per la confisca dei beni, per un’accusa di bancarotta e per l’imputazione di associazione per delinquere). Anche a loro Dario D’Isa ha chiesto denaro per interessarsi delle loro pratiche presso la Suprema Corte? Lo ignoriamo. Quello di cui siamo certi è che l’alto magistrato con Libero ha ammesso di essere stato informato dall’erede dei guai dei Terenzio e che per questo ha «evitato contatti». Ma ha mentito. Infatti il 4 maggio, dopo un viaggio di 900 chilometri, si è presentato alla festa degli imprenditori di Cassino a Lugano. Una scampagnata che gli è costata l’apertura di un fascicolo a suo carico presso il Consiglio superiore della magistratura.

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