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sabato 15 ottobre 2011

Le difficoltà dei Giovani? Ecco alcune risposte..!!


La protesta degli «indignati» riporta nuovamente all'attenzione il tema spinoso della condizione giovanile. Mancanza  di opportunità, disoccupazione, precarietà, bassi redditi e poco welfare: i problemi sono noti da tempo, la crisi li sta aggravando ma le risposte della politica tardano ad arrivare. Un confronto con i giovani indignati (e non solo loro) deve proporre un'agenda e individuare le risorse.



A cambiare il quadro che ci eravamo fatti sinora è principalmente l'allungamento dell'età lavorativa. A metà di questo secolo si andrà in pensione intorno ai 70 anni e si vivrà fino a 95. Con un'aliquota al 33% (ben più alta della media Ue), il metodo contributivo garantirà prestazioni di buon livello. Questi dati consigliano di spostare la nostra attenzione dalle pensioni agli altri aspetti della questione giovanile.
Il mercato del lavoro, innanzitutto. Qui è urgentissimo cambiare finalmente le regole contrattuali per facilitare la transizione scuola-lavoro e per la stabilizzazione dei precari. Altrettanto importante è investire nella scuola. Fra il 2007 e il 2010 la disoccupazione è cresciuta moltissimo (più di otto punti percentuali) fra i giovani con bassi livelli di istruzione. Buona scuola, che porta a una buona occupazione, che porta a una buona pensione: questo è il circolo virtuoso che dobbiamo attivare.Serve anche più welfare: sostegni per chi esce dalla casa dei genitori, assegni per i figli e servizi per la prima infanzia, ammortizzatori sociali calibrati sui lavori dei giovani. Dobbiamo uscire dal «pensionismo» e chiedere prestazioni migliori per le fasi della vita che precedono il ritiro dal lavoro: su questo versante siamo molto lontani dagli standard europei. Ma le risorse? Gli indignati rivolgono i propri strali contro banche e finanza e c'è molta rabbia nei confronti della politica, della sua indisponibilità a farsi più sobria.Tagliare i costi della politica (personale, stipendi, rendite, uffici) è doveroso. Per finanziare adeguatamente le riforme occorre però agire su due altri fronti. Il recupero dell'evasione, innanzitutto: rapido, severo, senza sconti o condoni. Non solo per «fare cassa» ma anche per fornire ai cittadini un metro condiviso ed affidabile sul dare e l'avere nei loro rapporti con lo Stato. E per sradicare quell'alibi che scatta automaticamente di fronte ad ogni tentativo di razionalizzazione distributiva: «È ingiusto togliere a quelli come me perché ci sono tantissimi evasori».

Fra le tante sfide sul tappeto conviene partire da quella del welfare: qui c'è infatti una novità che merita attenta riflessione. Sappiamo che una delle maggiori preoccupazioni dei nostri giovani è il rischio di avere pensioni da fame. Ebbene, la novità è che forse queste preoccupazioni sono esagerate: stiamo guardando nella direzione sbagliata. Uno studio di Stefano Patriarca (già illustrato sul Corriere del 9 ottobre da Enrico Marro) indica che le pensioni dei figli non saranno tanto più basse di quelle dei loro padri. Nel 2046 un lavoratore con quarant'anni di contributi avrà diritto a una prestazione netta pari a circa il 78% della retribuzione. Nell'ipotesi più nera (40 anni di lavoro parasubordinato) la percentuale sarebbe, è vero, più bassa: circa il 62%. Ma qual è il livello «adeguato» di una pensione? Altri Paesi Ue considerano il 62% una percentuale più che adeguata: Germania, Regno Unito e Svezia pagheranno anzi in futuro pensioni molto più modeste.


    CRS

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