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sabato 3 maggio 2014

Brunetta: "Così Napolitano ha spaccato il Pdl"

Brunetta: "Così Napolitano ha spaccato il Pdl"



Il Colle nel mirino. Renato Brunetta risponde a Gaetano Quagliariello e Fabrizio Cicchitto che qualche giorno fa avevano consegnato ad Huffpost una lettera esclusiva in cui spiegavano le ragioni della scissione del Pdl e la nascita di Ncd. Il capogruppo azzurro spiega come "la scissione dell'Ncd ha avuto l'autorevole avallo del Colle più alto - dice - ritengo questa analisi convincente. E perfettamente in linea con la personalità e la storia di Giorgio Napolitano. È un perfetto “scissionatore”. "Non fa lui le scissioni: le provoca, le accompagna, le favorisce. Poi lascia - conclude - per strada gli scissionati”. Su questo tema Brunetta ha dedicato un paragrafo del libro che sta scrivendo dedicato al “Complotto” e che anticipa l'Huffingtonpost. 

Scissionista da sempre - Brunetta parla di Napolitano e traccia un profilo di Re Giorgio come di un uomo che ha una sola passione le "scissioni". "Giorgio Napolitano resta un ossimoro vivente. Diventa amico dei nemici, e nemico degli amici. Ha un carisma eccezionale nel confondere, nel provocare scissioni, restando nel contempo polo di attrazione degli opposti. Se proprio è necessario pensare a un Grande Vecchio, lui sarebbe perfetto. Era un Grande Vecchio anche da giovane. Quando nel 1970 ci fu la scissione del Gruppo del Manifesto, di Rossana Rossanda e Luigi Pintor, fu incaricato di ricondurre all’ovile Massimo Caprara, napoletano come lui, della nidiata di giovani intellettuali liberali sedotti da Togliatti nel 1944-45. Ebbene riuscì a non fare accadere nulla, anzi a spingere fuori anche Caprara. E votò per la radiazione dell’amico. Al quale, nel momento della morte, 40 anni dopo, dedicò un commosso ricordo. Sincero senz’altro. Ma intanto l’aveva radiato". 

Il caso Fini - Poi Brunetta parla del tradimento di Gianfranco Fini: "Napolitano è il garante dell’unità della nazione. Per garantire questa unità fa poltiglie di qualsiasi gruppo coeso che incontra sulla sua strada, per regalare ai suoi disegni di sovrano un pulviscolo ossequioso. Quando lo “scisso” o “scissionato” si accorge dell’uso che di lui ha fatto il capo dello Stato, si ritrova solo, e non conta niente, dunque viene scaricato. Napolitano possiamo dire, per usare un’espressione alla moda, è stato il Grande Vecchio a sua insaputa. Sin dagli inizi del quarto governo Berlusconi, Fini assunse una posizione di polemica nei confronti della politica economica e dell’arroganza personale di Giulio Tremonti. Una vecchia storia.  Fu Fini, nei primi mesi di governo, a raccogliere e proteggere la grandissima parte di ministri vessati e impediti di fare il loro lavoro, dai continui dinieghi e diktat di Tremonti coi suoi tagli lineari. Fini in quel momento era senza alcun dubbio il delfino di Berlusconi, destinato pacificamente a succedergli alla testa del Popolo della libertà e di tutto il centrodestra. Improvvisamente, invece di far quadrato con i ministri, e ben al di là dei confini di quella che era stata Alleanza nazionale, trasformo il suo motivato rifiuto dell’egemonia di Tremonti, che si riteneva il garante della Lega nel governo, in ostilità a Berlusconi. Meditò e condusse a compimento una scissione che sin dal luglio del 2010 rese debole la nostra maggioranza, dapprima sottoposta al ricatto del suo gruppo parlamentare, di cui non ricordo nemmeno il nome, e poi il 14 dicembre miracolosamente sopravvissuta grazie al rientro di alcuni scissionisti nei nostri ranghi e all’apporto di alcuni “responsabili” il 14 dicembre 2010. Da allora la navigazione fu perigliosissima". 

Retroscena su Alfano - Infine Brunetta affonda il colpo su Alfano: "La scissione dell'Ncd ha avuto l'autorevole avallo del Colle più alto - dice - ritengo questa analisi convincente. E perfettamente in linea con la personalità e la storia di Giorgio Napolitano. È un perfetto “scissionatore". Non fa lui le scissioni: le provoca, le accompagna, le favorisce. Poi lascia - conclude - per strada gli scissionati”. 

venerdì 2 maggio 2014

Tasi, rischio aumenti in mezza Italia: ecco tutte le città a rischio

Tasi, rischio aumenti in mezza Italia: ecco tutte le città a rischio



Ora è ufficiale: con l'ok del Senato al decreto Salva Roma sarà pioggia di aumenti di tasse sulla prima casa. Tutto grazie alla Tasi, l'imposta sui "servizi indivisibili" (illuminazione, manutenzione, anagrafe eccetera) che sulla carta avrebbe dovuto sostituire l'Imu diminuendo la pressione dei tributi ma che, a giochi fatti, peserà ancora di più sulle tasche di molti italiani. Il punto è che, infatti, la Tasi sarebbe più leggera solo nel caso in cui l'aliquota base, dell'1%, fosse rispettata dai Comuni. Purtroppo per i contribuenti, però, le abitazioni principali si salveranno solo in 9 casi su 20. Unica consolazione, sottolinea il Sole 24 Ore, nel 2014 non si pagherà la "maggiorazione Tares" toccata nel 2013 a proprietari e inquilini. Un miliardo in meno, su un bottino totale di 20 miliardi...

La grana detrazioni - Detto che la Tasi è sempre più leggera rispetto alla vecchia Imu solo per le prime case di valore più elevato (ma non di lusso), il problema maggiore è legato alle detrazioni, fisse con l'Imu ma che dal 2014 diventano "flessibili". Risultato: non è detto che verranno applicate, e quando ci saranno i Comuni le copriranno con un aumento delle tasse su seconde case, imprese e negozi. Per queste categorie, già stressate da una Imu che gravava sulle loro spalle per 20 miliardi nel 2013 (contro i 9 della vecchia Ici), si tratterà di un aumento di tasse per il 7,5 per cento. 

Quanto si spende, città per città - Il Sole 24 Ore ha elaborato una tabella con le prospettive per le principali città italiane. Prospettive, come detto, non incoraggianti. Nessun aumento sulle abitazioni principali di Ancona, Bologna, Brescia, Cagliari, Firenze, Genova, Torino. Rischiano invece Roma e Venezia, mentre sono quasi certi i rischi di aumento ad Aosta, Milano, Ravenna, Reggio Emilia. A Milano, in particolare, l'aliquota sarà del 2,5 per mille con detrazioni fisse per le case fino a 350 euro di rendita catastale e riservate ai redditi fino a 21mila euro per le case tra i 350 e i 700 euro di rendita. A Roma l'aumento è quasi certo invece per le altre abitazioni e gli immobili strumentali, con aliquote allo 0,8 per mille per la Tasi e di 10,6 per mille per l'Imu. Ricapitolando, le città che hanno messo l'aliquota aggiuntiva Tasi sulla prima casa ma l'ha abbinata ad un ampio sistema di detrazioni (Firenze, Bologna, Torino) non faranno sentire il peso dell'imposta sui servizi indivisibili. Ma sono poche città. A Milano, per esempio, l'applicazione dell'aliquota Tasi al 2,5 per mille con detrazioni prima casa molto limitate (sopra i 450 euro di rendita catastale si applicheranno solo ai proprietari con reddito fino a 21mila euro lordi) fa sì che per un appartamento in periferia da 450 euro di rendita (valore catastale di 72mila euro) si pagheranno fino a 180 euro, il doppio dell'Imu 2012.

1° Maggio, concerti a Roma e a Taranto

1° Maggio, concerti a Roma e a Taranto



Concertone del 1° Maggio a Roma con il Rock salentino dei Crifiù che ha animato le migliaia di giovani presenti. In contemporanea a Taranto un altro concertone nel Parco Archeologico delle Mura Greche. A introdurre gli ospiti, l'attore Michele Riondino che ha invitato istituzioni e politici a fare piuttosto che parlare. Il trio Luca Barbarossa, Andrea Rivera e Valentini Petrini hanno presentato Caparezza, Capossela, Mannoia, Turci e altri noti cantanti. A Roma invece, concerto tradizionale, oltre 700 mila le persone a Piazza San Giovanni. "Le nostre storie. Accordi e disaccordi delle nostre radici, della nostra memoria e del nostro domani" è il tema di quest'anno. Un boato ha accolto Piero Pelù, uno dei Big della serata. Sul palco, tra gli altri, Clementino, Bandabardò, Tiromancino, Modena City Ramblers, Stefano di Battista e 50 Sax del Conservatorio di Santa Cecilia. Tra i tanti ospiti: Aldo Cazzullo, Carlo Petrini, Federica Sciarelli, Max Paiella e Nino Frassica. Intervento di Susanna Camusso segretario Cgil. 

A Berlusconi vietati comizi a Bari, Torino, Genova e Parma

A Berlusconi vietati comizi a Bari, Torino, Genova e Parma

Il tribunale di sorveglianza nega le trasferte a Berlusconi



Si chiamano "servizi sociali". Ma la verità è che la differenza con gli arresti domiciliare è davvero poca. E l'aginilità politica solo una parola che si sta rivelando priva di significato reale. Perchè Silvio Berlusconi, la campagna elettorale per le europee, potrà farla solo in videoconferenza o in tv. Il tribunale di sorveglianza, che deve sorvegliare i suoi spostamento e il rispetto degli orari del "coprifuoco" (il Cav deve essere in casa dalle 23 alle 6 senza eccezione alcuna), gli sta infatti rispondendo picche a tutte le richieste di partecipazione alle iniziative elettorali di Forza Italia in giro per la penisola. Il giudice ha detto no alle trasferte a Bari (dove Silvio avrebbe dovuto essere al fianco del capolista al sud Raffaele Fitto), a Parma, a Torino e a Genova. C'è chi attribuisce questi dinieghi al piglio con cui il leader azzurro ha dato il via nei giorni scorsi in tv, alla campagna elettorale, parlando ancora una volte di golpe e di toghe che lo vogliono fare fuori. E in un vertice tenuto ieri a Palazzo Grazioli più di un big gli avrebbe chiesto di mitigare i toni nei confronti della magistratura: ragion per cui, già domeni su Raidue a Virus e domenica a In Mezz'ora su Raitre dalla Annunziata, Berlusconi dovrebbe cambiare obiettivo, per concentrarsi sulle critiche a Renzi, a Grillo e ai sindacati. Difficile, comunque, che il cambio di rotta possa indurre i giudici a maggiori aperture sul fronte delle trasferte elettorali, perchè l'impressione è che davvero, come in questi giorni lo stesso Berlusconi è tornato a dire, il disegno sia quello di tappargli la bocca di qui al 25 maggio ("mettermi il bavaglio" è l'espressione usata dal leader). A Bari, come in altre occasioni successive, il Cav parlerà grazie a un videocollegamento. E per ora gli unici due comizi in cui sarà certamente presente sono quelli previsti a Roma il 22 maggio e a Milano il 23 per la chiusura della campagna elettorale.

"Con 80 euro si fa la spesa per due settimane". Bufera su Twitter sull'uscita della Picierno capolista Pd alle europee

"Con 80 euro si fa la spesa per due settimane". Bufera su Twitter sull'uscita della Picierno capolista Pd alle europee

di Andrea Cuomo 

La gaffe della capolista Pd alle Europee nel Mezzogiorno fa insorgere la rete



Roma - Tutti col carrello al discount Pina, dove una famiglia mangia per due settimane con 80 euro. Vale a dire il bonus che molti italiani si troveranno in busta paga a maggio. Un'elemosina per qualcuno, meglio di niente per la gran parte, tantissimo per pochi. Tra cui Pina Picierno, graziosa deputata casertana del Pd nonché capolista per il Sud alle prossime Europee, che qualche giorno fa, intervistata dal canale tv di fanpage.it ha così fatto i conti in tasca agli italiani: «Chi dice che sono troppo pochi non conosce evidentemente le condizioni reali di vita delle persone, perché 80 euro al mese significa poter mangiare due volte fuori, significa poter fare la spesa per due settimane».

La politica ha lasciato cadere questa bizzarra lezione di economia domestica nel dimenticatoio, dal quale l'ha tirata fuori con insolito ritardo la Rete, che si è scagliata contro la giovane dem, renziana della seconda ora, con ironia e un po' di cattiveria, soprattutto su Twitter: «Con 5,3 euro al giorno, in effetti, se famo certe magnate!», twitta acido Emilio52. «Dovrei andare a fare la spesa, qualcuno ha il numero della #Picierno che vorrei farmi accompagnare per risparmiare?», chiede Hele. «Peso 48 kg, le prossime due settimane voglio vivere con 80 euro come suggerito dalla statista #Picierno. Dovessi soccombere, vi ho voluto bene», scherza Laura Ghira. E BodyZen gongola: «Una #Picierno al giorno toglie il #Pd di torno». Così come il grillino Enrico C: «Grazie #Picierno. Il tuo contributo al successo del #M5S è fondamentale. Non mollare per favore». E il deputato M5S Angelo Tofalo, con cui la Picierno si era beccata pochi giorni prima, non perde l'occasione: «#Picierno la nuova politica del #Pd in Europa? Siamo rovinati!». Ma tra i critici ci sono anche suoi elettori: «Mamma mia - si lagna Raffaele Martino - che la #Picierno sia dello stesso partito che voto mi fa vergognare». E qualcuno invita la deputata ad andare sì al supermercato. Ma a lavorare come cassiera.


giovedì 1 maggio 2014

Arriva la beffa del bonus Irpef: Chi lavora troppo lo restituirà

Arriva la beffa del bonus Irpef: Chi lavora troppo lo restituirà


di Antonio Signorini 



Qualche cattiva certezza e molti buchi neri. La circolare esplicativa dell'Agenzia dell'entrate sul bonus del governo Renzi ha fatto scricchiolare la «cura choc», tra conferme poco gradite (non sono 80 euro, ma 53,3 euro e la penalizzazione dei redditi più bassi) e diverse incertezze. È nel «non detto» del documento che si nascondono le trappole che potrebbero rovinare la festa agli italiani, fino all'ipotesi estrema e disastrosa: la restituzione a fine anno del bonus da parte di una buona fetta di contribuenti che l'hanno percepita. 

A rischio i lavoratori che hanno fatto più e meglio o, comunque, i dipendenti di aziende dinamiche che puntano sulla qualità e la produttività piuttosto che sull'appiattimento. Oppure quelli che hanno messo in pratica una flessiblità virtuosa, e hanno più di un datore di lavoro. Questo ultimo bug è più che altro tecnico. In sostanza, chi lavora per due datori di lavoro e ha un reddito inferiore ai 26mila euro, dovrebbe ottenere in automatico il bonus da entrambi. Allo stato attuale toccherà a lui restituire uno dei due. 

Decisamente più politico l'altro rischio restituzione bonus. Un disincentivo alla produttività, in controtendenza con le politiche del lavoro degli ultimi anni e con tutte le raccomandazioni delle organizzazioni internazionali all'Italia. A rischio, i lavoratori che si trovano al limite del tetto massimo dei 26mila euro con la retribuzione ordinaria. Quelli che, nel corso dell'anno, incasseranno soldi extra per gli straordinari oppure per un premio di produzione, vedranno salire il loro imponibile. Visto che il bonus si calcola sullo stesso imponibile delle imposte e non sono previste deduzioni per il salario variabile, il dipendente premiato rischia di dovere restituire i quasi mille euro al fisco. 

In alternativa sarà invogliato a rinunciare a ogni extra nello stipendio. In controtendenza, dicevamo, con tutte le scelte fatte negli ultimi anni dai governi italiani, che puntano a premiare e incentivare la produzione. E in contraddizione anche con il rifinanziamento del salario di produttività, sbloccato ieri dal governo, anche se dopo mesi di incertezze e pressioni fortissime, in particolare da parte della Cisl. 
L'effetto non sarà certamente quello di un taglio del cuneo fiscale. «È una misura della quale - dice Rosario De Luca, presidente della Fondazione studi Consulenti del lavoro - non si capisce bene la natura. Non riduzione del cuneo, ma un contributo concesso dal governo ad alcuni cittadini, con l'esclusione delle fasce più basse, che non è sicuramente una scelta improntata all'equità». 

Sulla soglia minima, ha protestato martedì Forza Italia attraverso Il Mattinale di Renato Brunetta, è stata fatta una precisa scelta politica che mira a escludere i redditi molto bassi, tra i quali non rientrano molti elettori della sinistra. In più, il bonus non sarà di 80 euro, ma 53-54 euro al mese. 

Sempre sul fronte dei consulenti del lavoro c'è il problema dei tempi tecnici e del possibile slittamento a giugno nel caso in cui le aziende non siano pronte. «Siamo nelle mani delle software house», aggiunge De Luca. I programmi delle buste paga devono essere aggiornati alla luce della circolare uscita da pochi giorni. Con il ponte di mezzo, il rischio di uno slittamento è concreto. La circolare prevede comunque che la somma annua sia divisa in 7 mensilità invece che otto. Ieri il Senato ha confermato con 122 sì, 53 no e 7 astensioni il parere favorevole della commissione Affari costituzionali sulla costituzionalità del decreto Irpef. A richiedere il voto dell'Aula sui presupposti di costituzionalità i senatori di Forza Italia e della Lega.

La fiducia in Renzi giù del 3%

La fiducia in Renzi giù del 3%

Il gradimento del premier crolla in 7 giorni dal 44 al 41%



Doveva toccare proprio a Enrico Mentana, che non ha mai nascosto le sue simpatie per Matteo Renzi e che la scorsa settimana era stato "ripreso" dall'Authority per le comunicazioni per il troppo spazio (59% del totale delle dichiarazioni politiche) concesso al premier nel corso del suo Tg su La7, annunciare il crollo della fiducia nei confronti del capo del governo. Il consueto sondaggio del lunedì (realizzato per La7 da Emg) sera dice infatti che il Presidente del Consiglio gode della fiducia del 41% degli italiani, con una perdita di ben 3 punti percentuali rispetto a solo una settimana fa, quando l'indicatore era al 44%.

Un crollo che si accompagna a un calo del Partito democratico, che in sette giorni passa dal 33,8 al 33,1%. Giù di pochissimo anche Forza Italia, che lascia sul terreno lo 0,7% e piazzandosi al 19,6%. Significativo che nei giorni scorsi il consigliere politico azzurro Giovanni Toti avesse indicato nel 20% la soglia sopra la quale gli azzurri considereranno un successo la competizione elettorale. Secondo partito secondo Mentana è ormai saldamente il Movimento 5 Stelle di Beppe grillo che incassa un altro punto percentuale issandosi al 24,4%. Pressochè stabili il Nuovo centrodestra al 5,1% (+0,2%9 e la Lega al 4,5% (+0,1%), mentre Fratelli d'Italia con un +0,3% approda a quel 4% che vale l'ingresso al Parlamento di Strasburgo. Scende sotto la soglia, invece, la lista di ultra-sinistra Tsipras: 3,8%.

Ma se è vero che tanto Renzi quanto soprattutto il cavaliere guardano in realtà a una prospettiva di elezioni politiche (che potrebbero tenersi già da primavera 2015), ecco che il discorso si ribalta, grazie al gioco delle coalizioni che premia il centrodestra a trazione Forza Italia rispetto al centrosinistra a motore Pd. Lo dice anche il sondaggio realizzato da Tecnè per Sky Tg24 e illustrato oggi sul canale all-news dell'emittente satellitare, per il quale si allunga ulteriormente la forbice tra le due grandi coalizioni. Il centrodestra (FI-NCD-UDC e altri) è infatti in vantaggio del 2,8% sul centrosinistra (2.6% nello scorso sondaggio), con il 36.8% dei consensi (36.9% nello scorso sondaggio) rispetto al centrosinistra (con Pd, Sel, Scelta Civica e altri) che si attesta, invece, al 34%. Il Movimento 5 Stelle guadagna consensi passando dal 25% al 25,4%.