Marco Plutino ai nostri microfoni: "Il peso della nuova nomina è notevole"
di Gaetano Daniele
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Prof. Dott. Marco Plutino Docente in Diritto Costituzionale Università di Cassino |
Partiamo dalla fine. Il Presidente Macron, ormai nell’esercizio delle funzioni, ha appena annunciato di voler nominare come Primo ministro Edouard Philppe, 46 anni, sindaco di Le Havre. Un politico di centro-destra non di primissimo piano, molto vicino a Juppé. Sorpreso?
Sinceramente non avevo riflettuto molto su come si sarebbe mosso il Presidente in questa nomina dal punto di vista sostanziale di scarso peso, visto che siamo alle soglia delle elezioni legislative. Ma sbagliavo, perché il peso simbolico della nomina è notevole, perfino vagamente sconcertante. Mi spiego. Ricordiamo a chi legge che Il governo Cazeneuve era nato da pochi mesi a seguito della scelta di Valls di correre per le primarie del Ps e quindi di lasciare l’incarico di Primo ministro. Ora, pur con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, il governo francese ha bisogno della fiducia delle camere, è un governo parlamentare. Questo fatto alla vigilia delle elezioni può apparire trascurabile, anche se rappresenta una questione istituzionale e costituzionale di notevole interesse. Sul piano politico è una svolta, e appare come il tentativo di rimescolare le carte. La coalizione governativa fino ad oggi era centrata sul Partico Socialista, anche se ormai priva di maggioranza assoluta. Quello Philippe sarà il quinto governo della legislatura, ma cambia il segno politico e vedremo in che termini la base parlamentare, visto che il sistema politico francese è scosso da convulsioni. Macron vuole scompaginare tutto e in realtà il parlamento francese è quasi ormai una dieta polacca.
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Quale è il tratto politico di Macron?
Ho dato un’occhiata al suo libro [Rivoluzione, La Nave di Teseo, 2017]. Niente di rivoluzionario. Una botta di energia in un paese sclerotizzato e anchilosato. La mia sensazione è quindi che siamo all’ennesima versione della Terza via, che finora aveva escluso la Francia, opportunamente rivisitata secondo una certa sensibilità nazionale e secondo le novità dei nostri tempi. Dal mio punto di vista Macron è un liberale senza segni particolari, che crede nel ruolo forte dello Stato come generalmente vi crede ogni francese. Ma non è statalista e soprattutto non crede nel nesso tra Stato e cultura. Finora la destra era nettamente conservatrice anche se dilemmatica in campo economico e la sinistra cosiddetta riformista in realtà vetero social-democratica e decisamente statalista. Ecco perché destra e sinistra in questo momento in Francia non vogliono dire molto: le culture politiche francesi sono state investite troppo poco dal cambiamento. Macron è un riformista, in uno dei sensi possibili dell’espressione. Vuole riforma in parte per restaurare. Restaurare la forza della Francia. Nella globalizzazione, non contro. Il suo punto qualificante sarà l’attrattività del paese. E sono curioso di vedere la sua politica in rapporto al fattore culturale.
Si è parlato molto della simbologia di Macron.
Molto interessante. Prima di lui bisogna tornare a Mitterand per ritrovare un’analoga attenzione. Dipenderà molto da come andranno le legislative, ma Macron di suo tenderebbe a riproporre lo schema della monarchia repubblica, seppure assolutamente privo dei tratti aristocratici propri di Mitterand, un uomo altero e, per certi versi, oscuro. Macron al contrario è empatico e sufficientemente uomo comune, ma ha una visione estremamente chiara e seria del potere. Mostra le insegne del potere combinando studio e naturalezza.
Un uomo di establishment ma non elitario e con qualche tratto populista.
Una figura apatica. Solo il tempo ci dirà quale sarà il suo modo di rapportarsi ai cosiddetti poteri forti. Ma vorrei notare che del populismo assume un unico tratto, la critica ai partiti tradizionali, mentre la portata liberalizzante del suo programma è propria di un outsider soprattutto rispetto alla politica tradizionale francese. In realtà ha un tratto al tempo stesso liberale e tecnocratico almeno quanto ha una immagine giovane e popolare. Certo i ceti meno abbienti non l’hanno votato. La più grossa differenza tra Macron e Renzi, se vogliamo scendere su questo piano, è che Renzi non è mai stato amato dalla burocrazia e dalle élite mentre Macron è il loro figlioccio, il miglior prodotto, però a servizio di una politica che si proclama dalla parte delle persone. Del resto non ci sono alternative, sarebbe la Le Pen a ricordarglielo alla prossima occasione.
L’Italia esce rafforzata o indebolita dalla vittoria di Macron e da questi recenti sviluppi?
Di per sé non esce né rafforzata né indebolita. Ma se una Francia tornata autorevole costituirà, come per altri versi è auspicabile, un asse con la Germania per rilanciare il processo di integrazione, il futuro rappresenterà una sfida per l’Italia. Il costituendo asse Macron-Merkel potrà forse imprimere una svolta all’Europa ma l’unica nota positiva è che il nostro paese può avvalersi del rafforzamento francese per affrontare la questione del debito, che accomuna in parte la nostra situazione con la Francia, anche con un approccio nuovo. Ma la ricreazione si avvia in ogni caso a terminare, perché non è che abbiamo fatto tutto il dovuto. Abbiamo perduto venti anni, dopo l’ingresso nell’euro non è successo più nulla, se non limitate riforme. Intanto il debito pubblico non ha cessato di crescere e abbiamo sprecato due occasioni storiche per ridurlo. Prima, nei drammatici anni di Berlusconi 2001-2006 l'occasione della sostituzione della liretta con l'euro con tutti i vantaggi conseguenti della inflazione zero, della moneta forte e stabile e dei bassi tassi. In anni più recenti con il governo Monti abbiamo mancato la ristrutturazione del sistema bancario che nel frattempo è stata realizzata in Germania finchè le regole lo hanno consentito, e negli ultimi anni, pure in un quadro non privo di sforzi riformatori, il vantaggio del “bazooka” monetario di Draghi: 80, ora 60 miliardi di acquisti al mese sul mercato. E’ mancata una revisione seria del nostro bilancio pubblico, come una lotta altrettanto seria e serrata alla corruzione e all’evasione fiscale. Sfide da affrontare non tanto con leggi ma con una grande attenzione al versante dell’attuazione delle politiche, alla semplificazione e, perché no, al controllo.
Quindi pessimisti?
No, ma la situazione non è semplice. Berlusconi si presenta come il nuovo per la settima volta, i Cinque Stelle sono naive e irresponsabili. Spero che il Pd, l’unico grande attore sul cui senso di responsabilità si può contare, comprenda l'urgenza del necessario salto di qualità. Il nostro debito è sostenibile ma lo sarà ancora a lungo se non torniamo a crescere in modo più sostenuti. Fanalini di cose eravamo e tali siamo ancora oggi. Tanto basta perché i mercati, di fronte a possibili mutamenti di quadro, vedano nell’Italia un anello debole.