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giovedì 11 maggio 2017

Milano, immigrato africano massacra due poliziotti Loro in ospedale. E lui? "Subito libero, perché..."

Milano, immigrato africano manda in ospedale due poliziotti: subito libero


di Francesco Bozzetti



Spesso la giustizia è indulgente con i migranti irregolari sorpresi a delinquere. Molto meno con i poliziotti picchiati e oltraggiati nell’esercizio del loro dovere.

A Milano, pochi giorni fa, un immigrato di colore viene fermato dagli agenti mentre spaccia droga nel centralissimo corso Como, isola pedonale ricca di locali e frequentata da moltitudini di giovani. La reazione dell’uomo, che si chiama Dougboyou Tahibe Ignace, originario della Costa d’Avorio, è sorprendente: tempesta di calci e pugni due poliziotti della Volante procurando lesioni di 15 giorni al primo, di 7 giorni al secondo.

Viene naturalmente arrestato per violenza, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, oltre che per spaccio e possesso di sostanze stupefacenti. Il pubblico ministero di turno convalida il fermo e dispone il suo immediato trasferimento in carcere, come si dovrebbe in casi simili.

Ma, ancora più sorprendentemente, il giudice monocratico del Tribunale di Milano, Sezione penale per direttissima, che lo processa all’indomani, rimette in libertà lo spacciatore con la motivazione che ha addosso una modica quantità di stupefacenti e che la sua violenta e «pur spregevole» reazione è dovuta soltanto alla «insofferenza per i controlli di polizia».

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Dougboyou Tahibe, per la cronaca, risulta recidivo per gli stessi reati. Era stato, infatti arrestato (e regolarmente rilasciato) lo scorso giugno per un’analoga aggressione alle forze di polizia.

Ora l’ivoriano irregolare, senza dimora e senza fissa occupazione tranne quella dello spaccio abituale di droga, dovrà solo firmare in commissariato tre volte alla settimana dalle 11 alle 12 come prescritto dall’ordinanza del giudice. Ammesso e non concesso che non scompaia come spesso accade.

Tutto chiaro? Basta dichiararsi insofferenti ai controlli di polizia, per avere licenza non solo di opporsi a fermi o perquisizioni, ma anche di riempire di calci e pugni gli agenti.Al massimo si rischia il fastidio di dover firmare in Questura tre volte alla settimana.

È un esempio fra i tanti di quella strana giustizia che impone a chi si difende, di risarcire il ladro malmenato, o la famiglia del rapinatore ucciso nella casa che voleva saccheggiare. O di quella che impedisce al legittimo proprietario di riottenere la casa occupata dagli abusivi, o di quella, ancora più permissiva che scarcera per «buona condotta» Igor il Russo, alias il serbo Norbert Feher, il pluriomicida imprendibile, ricercato da mille agenti in tutto il nord Italia.

Fedeli servitori dello Stato rischiano ogni giorno la vita per assicurare alla giustizia ladri, scippatori, rapinatori, truffatori che regolarmente si fanno beffe di loro. Qualche giorno di galera, quando va bene, e sono subito fuori.

I politici di governo si affannano a dichiarare ovunque in tv o sui giornali che la criminalità è sotto controllo, che esiste solo la percezione immotivata di insicurezza ma che nella realtà i reati sono in calo. Statisticamente, per alcuni, appare così. Dimenticano però, colpevolmente, di aggiungere che la maggior parte dei reati come furti, scippi, aggressioni, rapine, ascrivibili alla cosiddetta microcriminalità, non vengono più denunciati perché le vittime sono ormai consapevoli dell’inutilità di rivolgersi alle autorità. Non riavrebbero quasi mai il maltolto, il responsabile non viene quasi mai preso e se arrestato, riacquista la libertà quasi subito.

La rassegnazione all’illegalità sta diventando endemica. Si sopportano così pure i piccoli soprusi quotidiani come il lavaggio forzato dell’auto al semaforo, l’estorsione del parcheggiatore abusivo, la questua assillante e molesta per strada o in metropolitana, tanto si sa che è inutile ribellarsi.

A che serve inseguire un migrante irregolare che vende merce contraffatta quando non si conosce neppure il suo nome, né dove vive. O fermare i migranti che viaggiano a sbafo sui tram o sui treni quando non hanno lo straccio di un documento o di dimora certa. O multare per sosta vietata o eccesso di velocità l’auto con targa dell’est europeo della quale non si risalirà quasi mai né al conducente, né al proprietario.

Piccole cose, certo, infrazioni e reati di poco conto ma che sconvolgono la vita della gente comune tutti i giorni, forse molto più degli efferati omicidi o degli orrori dei grandi criminali come Igor il Russo.

Se poi si aggiungono l’incertezza della pena, il proliferare di amnistie e indulti, la progressiva depenalizzazione dei reati nel nome di un’indulgenza ingiustificata e irrazionale, l’assoluta vulnerabilità dei confini nazionali, si ha il quadro desolante di un paese allo sbando.

Tutto è possibile nel nome del «buonismo» e del «perdonismo», anche picchiare i poliziotti.

LA MOSSA DI TRUMP Cia, la squadra speciale Kim Jong-un sotto assedio: ora il conflitto è a un passo

Nasce la squadra speciale della Cia: Trump sempre più aggressivo



La Corea del Nord resta ben salda al centro del mirino di Donald Trump. Lo dimostra il fatto che la Cia abbia inaugurato una squadra speciale dedicata esclusivamente alla gestione della minaccia nucleare e al programma missilistico di Kim Jong-un, il dittatore comunista. La squadra si chiama "Korea mission center", la prima che si occupa in via esclusiva di un Paese.

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Il direttore della Cia, Mike Pompeo, ha sottolineato che "creare un centro missione sulla Corea del Nord ci consente di integrare molto più efficacemente e dirigere gli sforzi della Cia contro la grave minaccia agli Usa rappresentata da Pyongyang". In concreto, la squadra coordinerà tutti gli 007 statunitensi che si occupano di Pyongyang, un po' sulla falsa riga del Mission center che si occupa di antiterorrismo. Gli esperti sottolineano che si tratta di un'ulteriore cambio di marcia da parte di Trump, di un'accelerazione: la scelta del presidente è quella di un approccio ancor più aggressivo nei confronti del regime. Una mossa che potrebbe innescare la reazione di Kim Jong-un le cui conseguenze altrettanto potrebbero essere imprevedibili.

"Mi ha fatto cacciare. Forse perché...". Parla il questore: Boschi, altro enorme guaio

Moja, il questore di Arezzo mandato in esilio:  "Boschi è riuscita a...."



Sembra che sia riuscita a rimuovere "almeno" "il questore di Arezzo...", si legge nel messaggio su Whatsapp arrivato a Enrico Moja, 63 anni, il diretto interessato... . "Ci ho fatto una risata. Qualcuno ha interpretato il mio trasferimento in un certo modo. Ma io non ho mai avuto prove per dimostrarlo veramente", dice il dirigente di polizia al Giornale. "Ho trascorso ad Arezzo un lungo e onorato periodo (dal 1 giugno 2013 al 1 settembre 2016, ndr) - spiega Moja - Come tutte le città di provincia, anche quella aveva le sue stranezze. Non dimentichiamo che era la città di Licio Gelli...". Infatti Moja, è stato bruscamente rimosso e trasferito a Milano.

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Perché? All'epoca si è scontrato con Laterina e con la sicurezza da garantire a Maria Elena Boschi e alla sua famiglia: "Avevo la responsabilità del dispositivo di tutela di tutta la famiglia e con l'allora ministro Boschi tenevo rapporti di carattere istituzionale. Credo di aver fatto con onore il mio lavoro, se poi a qualcuno non ero gradito per qualche ragione...". 

La ragione potrebbe essere questa: domenica 28 febbraio 2016 l'Associazione Vittime del Salva-Banche organizza una protesta davanti alla villa di Laterina di Pier Luigi Boschi, papà della sottosegretaria, al quale partecipano 300 persone. Forse la Boschi non ha gradito l'autorizzazione del corteo sotto casa sua da parte del questore Moja. Tant'è. Sei mesi dopo Moja è a Milano. Trasferito. Al suo posto Bruno Failla, uomo di fiducia di Renzi. Ma ora visto che il 1 luglio andrà in pensione, Moja promette vendetta: "Un motivo ci sarà se a Laterina hanno vinto i No al referendum. Ma queste cose le dirò solo dopo il 1 luglio...".

LET'S CLOSE THE GAP La lotta alla malaria non è finita bisogna garantire a tutti le cure

La lotta alla malaria non è finita bisogna garantire a tutti le cure


di Laura Bianconi



Ogni due minuti un bambino muore di malaria: questo dato spaventoso testimonia come ancora sia lungo il cammino da compiere per sconfiggere questa patologia infettiva ad oggi endemica in molte parti del mondo, soprattutto in quelle dove scarse risorse economiche impediscono l'accesso alle cure. Per questo motivo la Giornata mondiale della malaria 2017 è stata intitolata ‘Let’s close the gap’ - letteralmente ‘colmiamo il divario’ - a sottolineare quanto quello economico sia uno dei determinanti fondamentali della salute a livello globale. I dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), testimoniano come il la situazione stia fortunatamente migliorando: nel mondo, il tasso di nuovi casi di malaria è sceso del 21 per cento tra il 2010 e il 2015 e, nello stesso periodo, le morti del 29 per cento. Nell’Africa sub-sahariana inoltre, in cui la malaria è particolarmente presente – in tredici Paesi di quest’area si concentrano, infatti, il 76 per cento dei 212 milioni di nuovi casi di malattia e il 75 per cento delle 429 mila morti registrate nel 2015 - la disponibilità di strumenti di controllo cresce rapidamente, specialmente per i gruppi più vulnerabili: donne in gravidanza, neonati e bambini con meno di cinque anni d’età. Ciononostante, ancora oggi ogni due minuti un bimbo muore per malaria nel mondo: il 70 per cento delle morti si riscontra al di sotto dei 5 anni di età. Questo accade perché ancora troppe persone non hanno accesso a prevenzione, diagnosi e trattamento adeguati. “Colmare il divario nell’accesso a questi strumenti di controllo della malattia è la priorità del Global malaria programme dell’Oms - ha recentemente dichiarato Pedro Alonso, direttore del programma - l’aumento degli investimenti in prevenzione e nello sviluppo di nuovi farmaci e insetticidi accelererà il progresso nella lotta alla malattia, avvicinandoci sempre di più all’obiettivo comune di eradicarla”, ha aggiunto, sottolineando l’importanza di sviluppare nuovi farmaci antimalarici e test diagnostici, oltre che la necessità di affrontare l’emergenza sempre più attuale della resistenza delle zanzare agli insetticidi. Dal 2010, infatti, oltre 60 Paesi hanno segnalato casi di resistenza, da parte delle zanzare portatrici di malaria, a uno o più insetticidi impiegati per le zanzariere o la nebulizzazione all’interno dei luoghi chiusi.

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Il ruolo dell’innovazione tecnologica nell’affrontare le sfide della salute globale è stato il tema di una conferenza tenutasi su iniziativa della senatrice Laura Bianconi, presidente del gruppo di Alternativa popolare e componente della XII Commissione igiene e sanità del senato, in collaborazione con Malaria no more UK, Friends of the global fund Europe, Osservatorio Aids - Aids Diritti Salute e Action global health advocacy partnership. “Un secolo fa, la malaria costituiva una delle principali cause di malattia e mortalità nella maggior parte dei paesi del mondo. In Italia, l’Istituto superiore di sanità venne fondato come Istituto di sanità pubblica all’inizio degli anni ’30, proprio per affrontare il problema nel nostro Paese - ha ricordato Stefano Vella, vice presidente di Friends of the global fund Europe e direttore del Centro nazionale per la salute globale dell’Istituto superiore di sanità - oggi abbiamo la possibilità di porre fine a questa malattia entro pochi decenni, anche grazie al contributo delle partnership pubblico-privato come il Fondo globale per la lotta all’Aids, alla tubercolosi e alla malaria, che negli ultimi 15 anni hanno investito miliardi di euro nei Paesi a basso reddito in prevenzione, fornendo alle popolazioni spray insetticidi, distribuendo più di 700 milioni di zanzariere, e garantendo circa 600 milioni di trattamenti antimalarici”. Nei prossimi anni, il progresso nella lotta alla malaria sarà dettato da nuovi test diagnostici e nuovi farmaci. Inoltre, grazie all’avanzamento tecnologico nelle tecniche di controllo delle zanzare, sono in sperimentazione nuovi insetticidi e formulazioni che permettano la protezione anche all’aperto. Alla fine del XX secolo, la ricerca di nuovi prodotti antimalarici era virtualmente a zero. Sviluppare questi farmaci non era di interesse per le grandi aziende farmaceutiche. “Nel 1999 venne creata Medicines for malaria venture (Mmv) per affrontare una situazione divenuta insostenibile. Mmv ha trasformato il panorama della ricerca e dello sviluppo dei farmaci contro la malaria - ha dichiarato Silvia Ferazzi, external relations officer di Mmv - Mmv è finanziata da governi, aziende private e organizzazioni filantropiche e coinvolge una rete di oltre 400 istituti pubblici e privati nella scoperta, nello sviluppo e nella diffusione di medicinali innovativi contro la malaria. Questo modello permette di condividere i rischi della ricerca e di dare accesso a questi medicinali salvavita, dove ce ne sia bisogno. Fino ad oggi, grazie alle collaborazioni intraprese, Mmv ha prodotto sei farmaci innovativi, a prezzo controllato, e ha contribuito alla distribuzione di due altri medicinali sviluppati da organizzazioni terze. Si stima che negli ultimi sette anni questi farmaci abbiano permesso di salvare più di un milione di vite umane. I piani di ricerca di Mmv per il futuro comprendono innovazioni strategiche come formulazioni che migliorino l’aderenza ai trattamenti e siano utili contro la resistenza antimicrobica, più adatte ai bambini e alle donne in gravidanza, e farmaci capaci di affrontare il problema della malaria ricorrente e stagionale. Inoltre, nove progetti in fase di sviluppo clinico sono finalizzati a mettere a punto farmaci con nuovi meccanismi di azione per il trattamento e la prevenzione dell’infezione, in vista dell’obiettivo ultimo dell'eradicazione della malaria. L'esperienza di Mmv dimostra che, quando coinvolti in progetti per scopi umanitari comuni, il settore privato, gli enti di ricerca e i decisori politici possono lavorare bene insieme per fornire alla comunità internazionale le innovazioni tecnologiche di cui si abbia bisogno per la salute globale e lo sviluppo socio-economico".

Colmare il divario nell’accesso a mezzi efficaci di controllo è la strategia fondamentale per raggiungere l’obiettivo che le Nazioni unite si sono poste con il programma ‘2030 sustainable development goals ’ (Sdg), che si propone di porre fine, entro il 2030, alla malaria e ad altre malattie trasmissibili. “Per quanto tutti noi si sappia che esistono molti rischi sulla strada verso questo obiettivo, abbiamo senza dubbio imparato che sostenere gli investimenti in prevenzione e in nuovi strumenti di controllo rende questo successo più facilmente raggiungibile. Sappiamo, inoltre, che gli investimenti in ricerca e sviluppo non avranno solo un impatto sul raggiungimento degli obiettivi stabiliti per la malaria, ma potranno contribuire anche a raggiungere altri traguardi del programma Sdg, in particolare l’abbattimento dei tassi di mortalità infantile e materna. Un significativo intervento sulla malaria potrà avere efficacia anche sulla salute complessiva delle famiglie, interrompendo il circolo vizioso malattia-povertà - ha dichiarato James Whiting, executive director di Malaria no more UK - Per questo auspichiamo che l’Italia, nella sua qualità di Paese che presiede il G7 che si riunirà a Taormina tra poche settimane, mantenga quel ruolo di guida nella lotta alle malattie trasmissibili che ha portato, quando il vostro Paese guidava il G8 nel 2001, alla nascita del Fondo globale. Speriamo che proseguendo in questo impegno i leader mondiali e i loro Paesi, lavorando in stretta collaborazione con il Fondo globale e altre organizzazioni, valutino seriamente l’opportunità di adeguate misure e investimenti di promozione della ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci e di nuovi strumenti in grado non solo di combattere le malattie trasmissibili come la malaria, ma di contrastare fenomeni come la resistenza agli antibiotici e spingano la comunità internazionale alla mobilitazione. Abbiamo davanti a noi una grande occasione per lavorare, uniti, con il fine comune di perseguire la Salute globale: favorire l’accesso ai servizi sanitari e garantire il diritto universale alla salute in tutti i paesi del mondo”.

“Lo scorso autunno l’Italia ha garantito il rifinanziamento del Fondo globale per la lotta all’Aids la tubercolosi e la malaria proprio perché convinta che il ruolo di alleanze internazionali e partenariati pubblico-privato, come quelli del Fondo globale, siano indispensabili e fondamentali per garantire approcci innovativi e di impatto nella lotta per le pandemie. La ricerca, l’innovazione, la formazione degli operatori sanitari e il rafforzamento dei sistemi sanitari sono attività centrali per garantire la copertura universale e contribuire a debellare malattie quali la malaria, in questo senso il G7 sarà un’occasione per ribadire questo approccio multidimensionale, nonché l’importanza di partenariati partecipativi e inclusivi”, gli ha fatto eco Francesco Aureli, esperto di sviluppo internazionale, salute e migrazione, dell’ufficio Sherpa G7 della presidenza del Consiglio dei ministri.

“La ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci sono l’arma fondamentale per combattere tubercolosi, Aids e malaria. Nel 2015, le morti per tubercolosi sono state 1,8 milioni. Il principale ostacolo alla sua eliminazione è rappresentato dai ceppi multifarmaco-resistenti: sono 590 mila i casi di tubercolosi multiresistente, ma solo il 19 per cento sono registrati e curati. La resistenza agli antibiotici non riguarda soltanto questa patologia: negli anni, l’antibiotico-resistenza è diventata sempre più importante. È necessario che il G7, in coordinamento con il G20, continui a promuovere azioni volte a favorire l’integrazione tra iniziative pubbliche e private di lotta al fenomeno della resistenza agli antimicrobici e un loro coordinamento con le azioni promosse in questo ambito dalle diverse organizzazioni internazionali”, ha aggiunto Francesca Belli, direttrice per l’Italia di Action global health advocacy partnership.

“Ci occupiamo di lotta contro l'Aids nell’ottica della salute globale e dunque abbiamo chiaro il nesso esistente fra le tre grandi epidemie di malaria, tubercolosi e Aids - ha proseguito Stefania Burbo, focal point dell’Osservatorio Aids-Aids diritti salute - Il programma pilota per il vaccino contro la malaria coordinato dall'Oms che sarà realizzato in Ghana, Kenya e Malawi nel 2018 e in partenariato con Fondo globale, rappresenta un ulteriore passo in avanti verso il raggiungimento dei nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile e per dare una speranza a milioni di persone”, ha affermato l'esperta. 

“L’Italia vanta una grande tradizione nella lotta alla malaria, che vede le sue radici nella scoperta, opera di Giovan Battista Grassi, della trasmissione della malattia da parte della zanzara. Grazie alla campagna iniziata negli anni ’30, la malattia fu debellata nel nostro paese nel 1970. All’inizio di questo secolo, l’Italia ha concorso in maniera sostanziale alla creazione e alla nascita del Fondo globale, partnership pubblico-privato grazie alla quale si sono fortemente ridotte le conseguenze di queste malattie. Il nostro contributo è ancora oggi fondamentale: rappresentiamo l’ottavo stato contribuente al Fondo e la nona organizzazione in assoluto. La presidenza italiana del G7 costituisce, quindi, una straordinaria opportunità per riproporre il ruolo di leader, che deve vedere l’Italia in prima fila nell’impegno volto a sconfiggere le grandi malattie e per la salute globale, assicurando l’accesso e il diritto universali alla salute” è stato l’auspicio conclusivo della senatrice

SOCIETA' ITALIANA DI MEDICINA ESTETICA (SIME) Emanuele Bartoletti presenta i temi presi in esame durante il Sime 2017

Emanuele Bartoletti presenta i temi presi in esame durante il Sime 2017




Il 38esimo congresso della Società italiana di medicina estetica (Sime), dal titolo 'La nuova età del benessere - il progresso della medicina estetica rigenerativa', che si terrà a Roma dal 12 al 14 maggio 2017, è ormai alle porte. Emanuele Bartoletti, presidente della Sime e del congresso di quest'anno, presenta "i main topics" che verranno affrontati nell'ambito dell'evento: la medicina estetica della terza età intesa come nuova età del benessere e la medicina rigenerativa, che rappresenta il futuro della medicina estetica. Moltissimi altri saranno i temi trattati - dal tatuaggio alla nutrizione, dalla cellulite alla medicina estetica maschile - nel corso delle diverse sessioni del convegno, che, come ricorda Bartoletti, saranno in gran parte tenute sia in italiano che in inglese.

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CAMBIA TUTTO La rivoluzione del divorzio Tenore di vita, per assegni ed alimenti non conta più

La sentenza: non conta più il tenore di vita per stabilire l'entità dell'assegno



Una rivoluzione: in caso di divorzio non conterà più il "tenore di vita matrimoniale". L'assegno di mantenimento verrà infatti quantificato in base al criterio dell'indipendenza e dell'autosufficienza economica. È quanto ha stabilito la prima sezione civile della Cassazione, con una sentenza depositata oggi, una sentenza rivoluzionaria che ha superato il precedente orientamento di giurisprudenza il quale collegava la misura dell'assegno al parametro del "tenore di vita matrimoniale" e ha stabilito nuovi parametri per riconoscere l'assegno al coniuge economicamente più debole.

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Un cambio epocale nel diritto di famiglia che arriva dopo quasi 27 anni: il tenore di vita goduto nel corso delle nozze non conterà più per assegnare l'assegno divorzile al coniuge che lo richiede. Gli ermellini, infatti, hanno ritenuto che non fosse più un orientamento "attuale". Nel dettaglio, la Prima sezione civile, con la sentenza 11504 pubblicata oggi, mercoledì 10 maggio, "ha superato il precedente consolidato orientamento, che collegava la misura dell'assegno al parametro del tenore di vita matrimoniale, indicando come parametro di spettanza dell'assegno, avente natura assistenziale, l'indipendenza o autosufficienza economica dell'ex coniuge che lo richiede".

Con la sentenza di divorzio, sottolineano da piazza Cavour, "il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale ma anche economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale". E ancora, secondo i supremi giudici, quindi, va individuato un "parametro diverso" nel "raggiungimento dell'indipendenza economica" di chi ha richiesto l'assegno divorzile.

"Se è accertato che (il richiedente) è economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto tale diritto", si legge nella sentenza depositata oggi. I principali indici che la Cassazione individua per valutare l'indipendenza economica di un ex coniuge sono il "possesso" di redditi e di patrimonio mobiliare e immobiliare, le "capacità e possibilità effettive" di lavoro personale e "la stabile disponibilità" di un'abitazione.

FIATO SOSPESO Spacciato, arriva Predator Sono le ultime ore di Igor: Braccato, beccato e ucciso?

Igor, killer di Budrio: nella caccia all'uomo arriva il super-drone Predator



La caccia a Igor, alias Norbert Feher, il killer di Budrio, si arricchisce di un nuovo protagonista: Predator. Si tratta di un super-drone, un velivolo senza pilota, già utilizzato dall'esercito americano in Iraq e Afghanistan per individuare le barche dei migranti nel mediterraneo. L'aereo a pilotaggio remoto, spiega Il Resto del Carlino, è comandato da una task force con guidatore e lettore d'immagini, che traduce ogni fotogramma e interpreta ogni oggetto o essere vivente osservati con visori termici, in tempo reale. Una presenza, quella del Predator, di cui si sono accorti anche i residenti della zona di Argenta, nel Ferrarese, che di notte ora sentono uno strano ronzio, quello del drone. Un ulteriore tassello, dunque, nella caccia all'uomo più ricercato d'Italia. Ora sulle sue tracce ci sono 1.200 uomini, tra cui i Gis di Livorno e lo squadrone elitrasportato cacciatori di Calabria, i cani molecolari e, ora, Predator. Igor ha le ore contate?

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