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sabato 25 marzo 2017

Socci spietato, annienta la Sinistra Il disastro dei comunisti con l'euro

Socci, sinistra e Unione europea: quando ne fa una giusta se ne pente

di Antonio Socci



Oggi si celebrano i 60 anni dei Trattati di Roma con cui, nel 1957, sei paesi del vecchio continente istituirono la Comunità Economica Europea e l'Euratom. Quella scelta storica in Italia fu tutt'altro che pacifica e unanime. Ci fu un grande oppositore nel Parlamento e nel Paese: il Pci. Nel dibattito parlamentare sulla ratifica dei Trattati, il partito di Togliatti fece esporre le ragioni del proprio voto contrario da Giuseppe Berti, autorevole dirigente del partito (era fra l'altro il genero di Giuseppe Di Vittorio). Egli spiegò che alla Cee (a quel tempo definita solitamente Mercato comune europeo) i comunisti si opponevano «perché sono contro il tentativo dei monopoli di asservire il progresso tecnico, l'automazione, l'energia atomica ai loro propri fini creando una comunità sovrannazionale sotto la loro direzione».

Berti denunciò «l'accordo sovrannazionale dei monopoli all'interno del MEC per schiacciare le masse lavoratrici, la piccola economia contadina per rendere impossibile o più difficile uno sviluppo sociale democratico. Non ha perciò senso dire che il MEC è una cosa e il capitale monopolistico un' altra: il MEC è la forma sovrannazionale che assume nell'Europa occidentale il capitale monopolistico. Ci si dice che in questa battaglia noi siamo isolati. Ma noi siamo in larga e qualificata compagnia: i lavoratori italiani, i piccoli e medi produttori economici, hanno già compreso quali gravi danni apporterà il MEC a loro e al paese. Noi non cesseremo la nostra lotta alla testa del popolo italiano».

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L'Unità in quei giorni spiegava che «la manodopera italiana entrerà in concorrenza sugli stessi mercati con la manodopera - a bassissimo costo - dei paesi d'oltremare» e «la libera circolazione dei capitali significa che i monopoli di ognuno dei sei paesi sono liberi di trasferire i loro capitali da una zona all'altra scegliendo» quella che assicura «maggiori profitti». Inoltre «l'eliminazione delle tariffe doganali provocherà una concorrenza molto più aspra».

Il Pci soprattutto sottolineava il «senso antisocialista» dell'operazione. Era vero che la Cee nasceva - con il forte patrocinio americano - per consolidare l'Europa libera e democratica di fronte al blocco comunista che l'Urss aveva imposto all' Europa orientale. Per questo Pajetta definiva beffardamente «la piccola Europa» quella nuova istituzione voluta dai sei Paesi.

Si era a pochi mesi dalla sanguinosa rivolta d'Ungheria e dalla crisi di Suez, in un clima di scontro tra i blocchi. Dunque il Pci, il maggior partito comunista d' occidente, si oppose alla Cee - come il Pcf in Francia - anzitutto per ragioni di schieramento internazionale.

Le origine della Cee - D'altronde già nel 1948 Togliatti aveva respinto l'ipotesi di una unione federativa europea dei paesi democratici occidentali. «L'internazionalismo socialista, o 'proletario', che rappresentava uno dei tratti costitutivi dell' ideologia e della politica dei partiti comunisti» ha scritto Giorgio Napolitano nella sua autobiografia politica «non contemplava uno specifico quadro di riferimento europeo». Del resto la Cee - oltreché in un orizzonte anticomunista e antisovietico - nasceva su basi culturali democratiche e cristiane (ispirata da statisti come De Gasperi, Adenauer e Schuman): dopo due tragiche guerre mondiali che avevano devastato il vecchio continente, col mostro totalitario sconfitto solo in parte - si voleva ridare all' Europa pace e libertà per il futuro.

La scelta di Roma, come luogo di fondazione della Cee, era un esplicito richiamo alle comuni radici spirituali e culturali dell' Europa, perché proprio il riconoscersi in quelle radici comuni poteva preservare il continente da nuove guerre e da totalitarismi. L'opposizione del Pci fu dunque molto dura. Oggi gli eredi di quel partito tendono a dimenticarla o archiviarla sbrigativamente come un errore dovuto alla guerra fredda.

Eppure, ancora vent'anni dopo il Pci - che era ormai passato dalla leadership di Togliatti a quella di Berlinguer - si troverà a dire di nuovo no all' Europa, ma stavolta non con motivazioni ideologiche, bensì con buone ragioni tecniche che alla prova dei fatti si sono dimostrate giuste. Sebbene siano state anch' esse rinnegate dai post-comunisti che - per archiviare il passato comunista - dopo il crollo del Muro si sono omologati al pensiero unico mercatista. Nel 1978 si era infatti ad una svolta: l'adesione dell'Italia al Sistema monetario europeo (Sme), un sistema di cambi fissi tra le monete comunitarie che rappresentava il primo passo verso la moneta unica europea.

La tecnocrazia - Quella decisione segnava anche un cambiamento genetico della Comunità europea che, da Europa dei popoli, stava per trasformarsi in un progetto tecnocratico, laicista e antipopolare estraneo alle sue origini (il cambiamento genetico sarà poi portato a compimento con il Trattato di Maastricht del 1992 e con la disastrosa nascita dell' euro).

Dunque il 12 dicembre 1978 Giulio Andreotti, premier di un governo che aveva il Pci nella maggioranza, annunciò l' ingresso nello Sme dal 1° gennaio 1979.

Non è ancora chiaro il motivo di questa decisione improvvisa che rovesciava la precedente posizione italiana (anche se sappiamo che il governo subì grandi pressioni internazionali per entrare nello Sme). È pur vero che il mondo era ancora diviso in blocchi contrapposti, tuttavia il Pci di Berlinguer era ormai nella maggioranza di governo e si era alquanto allontanato da Mosca. Infatti le motivazioni per cui i comunisti votarono contro l'ingresso nello Sme furono molto tecniche e - bisogna riconoscerlo - sagge e lungimiranti (del resto pure il governatore di Bankitalia, Paolo Baffi, era molto perplesso, se non contrario all' ingresso).

Per il Pci fu Giorgio Napolitano a giocare un ruolo importante. Il suo intervento in Parlamento fu duro. Egli osservò che la rigidità del cambio avrebbe penalizzato le economie più deboli e questo avrebbe dovuto imporre dei doveri riequilibrio alle economie forti che invece ci guadagnavano. Interessanti queste parole di Napolitano: «Inserendoci in quest' area, nella quale il marco e il governo tedesco hanno un peso di fondo, dovremo subire un apprezzamento della lira e un sostegno artificiale alla nostra moneta. Nonostante ci sia concesso un periodo di oscillazione al 6%, saremo costretti a intaccare l'attivo della bilancia dei pagamenti... Il rischio è quello di veder ristagnare la produzione, gli investimenti e l'occupazione invece di conseguire un più alto tasso di crescita». L'ingresso nello Sme, fra le altre cose, nel 1981 determinò il "divorzio consensuale" fra Banca d' Italia e Tesoro che, facendo lievitare gli interessi sui titoli del debito pubblico, fece anche esplodere quel debito dal 56,8 per cento del Pil, nel 1980, al 121 per cento del 1994. È questa la zavorra che tanto ci ha penalizzato e che ancora ci portiamo addosso.

La nuova era - Iniziava da lì una nuova era: quella di una incondizionata sovranità dei mercati su stati e popoli. L'ingresso nell'euro, di cui lo Sme era stato la premessa, con un generale peggioramento delle condizioni di vita non fece che confermare e aggravare quelle conseguenze negative che anche il Pci e Napolitano avevano paventato nel 1978 (compresa l'egemonia tedesca). Ma oggi gli eredi del Pci non rivendicano affatto di aver visto giusto.

Anzi, paradossalmente, Napolitano e gli eredi del Pci sono tra i più convinti sostenitori dell'euro e di questa Unione europea. Il motivo è chiaro: col crollo del comunismo, la legittimazione occidentale è stata ottenuta dai post-comunisti a prezzo del loro allineamento al pensiero unico, cosa che li ha resi, in Italia, parte della Nomenklatura affidabile per l' establishment mercatista.

Così facendo l'establishment ha rimosso il loro ingombrante passato comunista, ma i compagni italiani hanno dovuto rinnegare anche le cose giuste (non molte, per la verità) di cui potevano menar vanto. Assistiamo dunque oggi al paradosso di una sinistra post-comunista che si identifica con l'europeismo dopo averlo storicamente avversato. Ed è altrettanto dogmatica oggi nella difesa dell'euro e della Ue egemonizzata dalla Germania, quanto ieri lo era nell'avversione all'ideale europeista. Il grande e nobile ideale dell' Europa dei popoli, unita (adesso davvero) dall' Atlantico agli Urali, purtroppo esce malconcio dagli ultimi decenni di tecnocrazia.

Ecco i 10 punti del governo Pd-M5S Emiliano: "E mando Renzi col Cav"

Bechis, Emiliano vuole portare il Pd al governo con il M5S


di Franco Bechis



Ha parlato per quasi un'ora, come sempre da grande affabulatore e talvolta anche divertendo con qualche uscita. È stato solo alla fine però che Michele Emiliano - alla sua prima a Roma da candidato alla segreteria del Pd - sollecitato da un intervento del pubblico ha sfoderato la sua unghiata. Con chi farebbe le alleanze dovesse conquistare la segreteria del Pd? Emiliano non si è tirato indietro, e ha lasciato un po' sorpresi anche i parlamentari che lo affiancavano in questa uscita (Francesco Boccia, Khalid Chaouki e Umberto Marroni per primi). «Io sarei - come credo tutti gli italiani - per il ripristino del Mattarellum», ha esordito il governatore della Puglia, «che consentirebbe l'individuazione di una leadership, di una maggioranza e soprattutto consentirebbe agli italiani di avere di nuovo il deputato del luogo, che accanto al sindaco costruisce la relazione politica. Il problema quale è? Che un parlamento pieno di deputati del luogo, che quindi vengono scelti da voi - e non dalle segreterie di partito - viene giudicato probabilmente dall'attuale maggioranza del Partito Democratico un parlamento ingovernabile, perché sarebbe un parlamento di deputati e deputate liberi. E questo ha fatto accantonare immediatamente il progetto, con il Pd d'accordo con Forza Italia».

E qui Emiliano ha segnato la differenza da Matteo Renzi e Andrea Orlando, i suoi competitori alla conquista del Pd: «È evidente che le due altre mozioni sono chiaramente e inevitabilmente orientate a chiudere un eventuale accordo di governo con Forza Italia: non c'è alcuna altra possibilità. Loro hanno un rapporto impossibile con le altre forze della sinistra. Forse un po' meno Orlando, che però è ritenuto poco credibile da chi se ne è andato dal Pd: lui è ancora ministro nel governo fotocopia di quello Renzi, che ne rappresenta la continuità assoluta. Quelle due mozioni di fatto isolano il Pd e lo chiudono in un rapporto esclusivo con Forza Italia che per altro non ne fa neanche mistero».

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Emiliano invece chiude la porta ad ogni accordo con Forza Italia e con forze del centrodestra, e guarda al Movimento 5 stelle, come già aveva fatto in Puglia all' inizio del suo mandato. «Io penso che aprire la discussione come facciamo nel nostro progetto subito sul programma consentirebbe di aprire a quelle forze politiche - mi riferisco al Movimento 5 stelle - che del programma fanno un elemento dirimente. Perché mentre a Forza Italia del programma frega fino a un certo punto, io penso invece che col Movimento 5 stelle sia difficile in questo momento complicato fare alleanze di sistema, ma si potrebbe individuare 10 punti di programma da realizzare congiuntamente.

Molti dei loro punti programmatici sono per altro compatibili con la nostra mozione dal mio punto di vista e rappresenterebbero di certo un modo per risolvere la crisi italiana». Secondo Emiliano invece il resto del Pd, e in particolare quello di Renzi, punterebbe ad assegnare direttamente al Movimento 5 stelle il governo del paese per farlo fallire ed essere richiamato in servizio.

«Da quel che ho capito», ha detto sornione il governatore della Puglia, «qualcuno in modo non particolarmente saggio sta cominciando a pensare che se anche vincesse come primo partito il M5s e ricevesse l'incarico, se per caso dovessero andare completamente in tilt un po' come è successo a Roma, vuoi vedere che poi vengono tutti sotto casa di Matteo Renzi a chiamarlo e dirgli vienici tu a salvare? Perché questo stanno pensando a Roma: che l'eventuale fallimento della Raggi vi mandi tutti da Matteo Orfini a chiedergli di tornare a governare. Io ho l'impressione che ci prendano tutti per deficienti. Ma in Italia non accadrà questo, e noi dobbiamo preoccuparci che dentro il Pd ci sia una prospettiva politica che renda il Paese governabile e consenta di ricostruire una coalizione di centrosinistra. L'unica mozione congressuale che può consentirlo è la nostra».

Dopo l'incontro, Emiliano ha chiarito ulteriormente quel passaggio sull' alleanza programmatica con Beppe Grillo: «Io penso che il Pd debba soprattutto puntare a mettere a punto - se avesse l'incarico di governo, ma anche se lo avessero altri partiti - un programma condivisibile con altri, privilegiando quelle forze politiche che tendono all' innovazione senza confondere la destra con la sinistra. Dal mio punto di vista in primis i Cinque Stelle, anche per la mia esperienza in Puglia: noi abbiamo varato la commissione antimafia l'altro giorno e la sua presidenza è andata alla consigliera del M5s. Con loro abbiamo fatto insieme molte battaglie, non facendo alleanze, ma condividendo obiettivi che sono stati raggiunti. E quindi onestamente io ho un'esperienza che mi fa guardare al Movimento 5 stelle in modo positivo».

Emiliano poi ha ironizzato sulle polemiche per il suo essere magistrato in aspettativa: «Qui ne arrestano uno al giorno, e il problema sarei io perché sono magistrato? La Costituzione consente a qualsiasi cittadino di fare politica. Ma io che sono magistrato dovrei farla solo soletto, in isolamento, perché fa scandalo farla in un partito...».

venerdì 24 marzo 2017

Casoria (Na): "Sereni..... in Azienda" Progetto Scuola-Lavoro in collaborazione con la Crai all'interno del Parco Commerciale "I Pini"

"Sereni..... in Azienda" Progetto Scuola-Lavoro in collaborazione con la Crai all'interno del Parco Commerciale "I Pini"




AFRAGOLA - “Sereni …in azienda” è il titolo di un ottimo progetto scuola-lavoro attuato ad Afragola. Infatti, 130 studenti dell’Istituto Tecnico Commerciale “Emilio Sereni” di Afragola, sfruttando le opportunità offerte dalla legge 10/2015, stanno svolgendo uno stage di 60 ore ciascuno presso il supermercato Crai all’interno del Parco Commerciale “I Pini”, ovviamente al di fuori degli orari scolastici. 

Infatti, le nuove norme stabiliscono che gli alunni degli istituti professionali, tecnici e dei licei devono abbinare alla pratica che si fa nelle aule il lavoro esterno. 

La preside del “Sereni”, Daniela Costanzo, e lo staff del progetto ringraziano Gaetano Graziano, direttore commerciale della struttura,  per la sua disponibilità a far sì che i ragazzi iniziano a capire il contesto aziendale non solo in modo scolastico, ma anche praticamente. 

Napoli: "Ines Trocchia" nuova icona italiana

Napoli: "Ines Trocchia" nuova icona italiana



Napoli - Ines Trocchia, appena 22 anni, è la nuova icona italiana di bellezza? La supermodella di origini campane, partita pochi anni fa da un piccolo paesino di provincia, è protagonista di un nuovo servizio sexy per Maxim Messico, dal quale è stata definita "Pin Up all'italiana" ricca e raffinata come il cibo della sua terra natale. Un servizio esplosivo scattato da Emanuel Tosi. Seguitissima sui Social Network con oltre 70 mila Follower è una sex symbol internazionale protagonista di scatti per Playboy, Gq, Fhm, Esquire, ForMen e Sports Illustrated.

Colpo basso, Renzi sputtana Di Maio: "Ecco quanto guadagna davvero..."

Renzi contro Di Maio e Di Battista: "Da premier guadagnavo la metà di loro"



"C'è un racconto su Renzi il burattinaio che non esiste. Io mi sono dimesso da tutto, da premier e da segretario". Intervistato dal Corriere della Sera, Matteo Renzi si difende e contrattacca i grillini nel giorno dei nuovi insulti tra Beppe Grillo e Pd. "Io non ho vitalizi e mai li avrò. Ho anche rinunciato alla pensione privata - spiega -. Da premier guadagnavo la metà di quello che guadagnano Di Battista e Di Maio dopo che hanno restituito una parte dello stipendio, o, almeno, dicono di averlo fatto. Già, perché il loro è un concetto di riduzione per cui dicono di prendere tremila euro e invece ne prendono diecimila. Questo per dire che ho le carte in regola per poter parlare. Ebbene, l'atteggiamento strumentale e quasi violento non sfonda con il sottoscritto. Non accetto che il giorno in cui a Londra ci sono dei morti, ci possa essere qualcuno che inneggia alla violenza e arriva addirittura a usare la violenza nei confronti delle istituzioni".

Sulla decadenza del senatore forzista Augusto Minzolini ammette: "Io avrei votato per la decadenza. Non perché non ritenga che questa sia una vicenda molto strana, ma perché penso che il Parlamento non sia il quarto grado della magistratura. Dopodiché ho ascoltato con molto interesse alcune valutazioni di senatori che hanno votato contro la decadenza, ciò che ha detto Minzolini nel suo intervento e anche i discorsi di quelli che vogliono cambiare la Severino. Ma finché c'è questa legge quello che valeva per Berlusconi deve valere anche per gli altri".

A chi la accusa di aver creato un sistema di potere toscano, Renzi risponde secco: "Questo è uno dei temi più ridicoli che abbia mai sentito. Anche se l'argomento è molto serio. Sono arrivato a Palazzo Chigi un mese prima di una tornata di nomine importanti e non ho scelto nessun fiorentino, ho fatto di tutto per mettere i più bravi. Sto scrivendo un libello dove il passaggio della scelta delle persone e delle nomine segna la vera frattura tra me e un mondo della politica romana, che è la vera causa per cui ho perso la sfida". La vicenda Consip, che vede suo padre Tiziano indagato insieme al braccio destro Luca Lotti, non lo spaventa: "Nei miei mille giorni di governo ho visto un atteggiamento della politica troppo spesso subalterno al grillismo e all'ondata giustizialista. Un esempio? La teoria secondo cui chi ha ricevuto un avviso di garanzia, e lo dico io che in 13 anni che faccio politica non ne ho mai ricevuto uno, si deve dimettere. Io non la penso così...".  

Mazzata a tutti gli operatori telefonici Cambiano le tariffe: così ci fregavano

Gli operatori telefonici obbligati alle tariffe mensili: stop a quelle di 28 giorni



Sono in arrivo nuovi cambiamenti sulle tariffe telefoniche di tutti i principali operatori attivi in Italia. Con l'ultima delibera, l'Agcom ha imposto a Vodafone e Wind di abolire le tariffe a 28 giorni su rete fissa, portandoli a ripristinare i canoni su base mensile. L'abolizione dovrà avere effetto anche sui clienti che già avevano attivato la nuova scansione temporale. A Fastweb e Tim l'Agcom ha imposto di bloccare il passaggio già annunciato verso la tariffazione a 28 giorni.

Da tempo le associazioni dei consumatori denunciavano il vero motivo che aveva spinto gli operatori a passare alla tariffazione a 28 giorni. Grazie a questo espediente, gli addebiti da pagare ricadevano ogni quattro settimane, non più ogni mese, facendo lievitare i prezzi di circa l'8,6%.

Da parte loro gli operatori hanno già annunciato di far ricorso al Tar attraverso l'associazione di categoria Asstel, considerando la delibera dell'Agcom priva di qualsiasi fondamento giuridico. I clienti, sostengono gli operatori, possono usufruire del diritto di recesso, da esercitare entro trenta giorno dopo aver ricevuto notizia del cambio di tariffazione da mensile a 28 giorni.

Esclusiva Video / Antonio Angelino PD: "No agli ........"

Intervista al Segretario nonchè consigliere comunale del Pd, Antonio Anglino


di Gaetano Daniele


Antonio Angelino
Segretario PD

Incontriamo il Segretario del Partito Democratico di Caivano, Antonio Angelino che, ai nostri microfoni, spiega l'attuale situazione politica. "Se qualcuno pensa di anteporre l'inciucio al bene comune, si accomodi fuori". Così, Angelino, al nostro blog. Segui l'intervista Video.