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giovedì 8 dicembre 2016

I sondaggi e il nuovo Parlamento: come sarebbe se si votasse oggi

Sondaggi e proiezioni: come sarebbe il Parlamento se si votasse oggi



Nel clima post referendario il nuovo protagonista del dibattito politico è la riforma elettorale. Il Giornale evidenzia come la vittoria del 'No' potrebbe causare una drammatica (ed ulteriore) situazione di stallo: l'Italicum, la legge elettorale approvata nel luglio 2016, è infatti valida solamente per la Camera dei Deputati, per il fatto che con la riforma costituzionale di dicembre sarebbe stata la camera stessa ad eleggere i senatori. Ora invece, con la bocciatura della riforma ci ritroviamo nella situazione di dover votare alla camera con l'Italicum, mentre al senato con il Consultellum, ovvero il Porcellum di Calderoli "ripulito" dai suoi aspetti più anticostituzionali. In realtà anche l'Italicum stesso viene fortemente criticato d'incostituzionalità, per la questione della soglia di sbarramento e del premio di maggioranza, quest'ultimo considerato da molti come troppo elevato.

A Palazzo Madama dunque si deve votare, e si deve applicare il Consultellum. Ma senza il premio ci sarebbe qualche partito in grado di raggiungere la maggioranza, ovvero 161 poltrone? Secondo una proiezione fatta dal sito Scenari Politici la risposta sarebbe no. Se si dovesse votare in tempi brevi, con il Consultellum ancora in vigore, lo stallo sarebbe inevitabile: Palazzo Madama diventerebbe l'immagine dell'attuale situazione politica italiana. Un paese tripartitico, suddiviso tra Pd, centrodestra e i Cinque Stelle. Secondo i sondaggi attuali il Pd si prenderebbe 111 seggi, ben al di sotto della maggioranza (161), anche se si dovesse unire al resto del centro sinistra, che prenderebbe una miseria, appena cinque seggi. Per i grillini situazione analoga, con i suoi 96 senatori, probabilmente non destinati ad aumentare viste le scarse predisposizioni del partito alle coalizioni. Di conseguenza anche per il centro destra si arriverebbe a quota 94 seggi, sommando però Forza Italia (43), Lega (37), Fdi (9) e altri (5). Stallo assicurato. Nemmeno un Nazareno 2.0 potrebbe risollevare la situazione, visto che una coalizione tra azzurri e democratici potrebbe non bastare, fermando la conta dei seggi a 154.

L'unica soluzione sembrerebbe quella di rimettere le mani una volta per tutte sull'Italicum, evitare premi di maggioranza troppo alti ed eventuali rischi d'incostituzionalità e poi, finalmente, adattarla anche al Senato. I tempi si allungherebbero necessariamente per tutta la questione della revisione della riforma, e questo potrebbe non andare giù ai pentastellati, che si sono visti molto rafforzati dall'esito del referendum, e che sperano quindi di raccogliere il grande consenso attraverso delle elezioni anticipate. A rafforzare l'idea che non ci saranno elezioni anticipate potrebbe essere anche il Colle: Mattarella non farà mai andare gli italiani al voto con due leggi elettorali diverse per le due camere.

mercoledì 7 dicembre 2016

Lapo, sette giorni dopo lo scandalo Dago-bomba: dove l'hanno beccato

Lapo Elkann dopo lo scandalo, beccato: dove se la spassa adesso



Lapo Elkann non lascia gli Stati Uniti. Dopo lo scandalo e l'arresto di martedì scorso a New York, per avere simulato il suo rapimento perché a corto di soldi dopo una due giorni di droga e trans, il rampollo di casa Fiat si troverebbe in Florida. Lo spiffera su Facebook il sempre bene informato Alberto Dandolo, firma di Dagospia e di Oggi. "Lapo news", scrive Dandolo, "pare che Lapo nostro stia espiando i suoi peccati in quel di Miami Beach, pare...".

"Buongiorno, è...": una truffa diabolica Non abboccate mai a questa telefonata

"Buongiorno è la compagnia elettrica...": occhio, è una truffa



"Buongiorno è la compagnia elettrica, ci risulta una sua bolletta insoluta, ma forse ha pagato e dobbiamo verificare". Se vi dovesse mai arrivare una chiamata del genere, così vaga, non rispondete SI. E' proprio così che inizia la trappola: il signor Pinco Pallino infatti continuerà chiedendovi la residenza, i vostri dati, ma fate attenzione, la registrazione è già iniziata! Quando finirà con l'elenco voi sicuramente risponderete con un "Sì", a questo punto avrete già confermato i vostri dati a un emerito sconosciuto.

Arrivati a questo punto il finto operatore proseguirà chiedendovi il POD, una sorta di codice PIN per le bollette (identifica il posto fisico dove avviene il prelievo dell'energia elettrica - insomma il vostro immobile - e non cambia anche se cambia l'intestatario del contratto). Se doveste rilasciare anche il POD sarete veramente spacciati, gli operatori avrebbero tutti i vostri dati e così poco dopo scoprireste di aver aderito ai servizi di un nuovo gestore. Quindi quando vi chiamano e vi chiedono nome e informazioni, non rispondete "Sì", rispondete "Chi parla", così che la registrazione salta.

L'indagine e la soluzione del problema è stata tutta fornita da "Una vita da social", pagina Facebook gestita dalla Polizia di Stato.

Stefano Ricucci ancora in grossi guai Condannato: cos'ha fatto il "furbetto"

Stefano Ricucci ancora in grossi guai. Condannato: cos'ha fatto il "furbetto"



Emissioni di fatture false per lavori inesistenti. Per quest’accusa il gup di Roma Paola Di Nicola ha condannato con rito abbreviato Stefano Ricucci a 3 anni e 4 mesi di reclusione e Mirko Coppola a 2 anni e 6 mesi. A chiedere la condanna erano stati il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pm Giuseppe Cascini. I fatti presi in considerazione dall'inchiesta e oggetto delle indagini svolte con l'intervento del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza, portarono nel luglio scorso al carcere per Ricucci e ai domiciliari per Coppola.

Secondo l'accusa Ricucci con le fatture false aveva raccolto oltre 1 milione di euro. Con gli arresti furono disposte anche una quarantina di perquisizione tra Lazio, Lombardia e Campania. Una decina sono le persone coinvolte nell'indagine dalla quale la posizione dei due imprenditori era stata stralciata.

I vip pentiti che scaricano Renzi: "Adesso togliete il mio nome dal sito" / Guarda

"Togli il mio nome": fuggi fuggi da Renzi, l'esercito di vip pentiti del Sì


Roberto Benigni ci spiegava com'era bella la nostra costituzione
Poi in una selva oscura cambiò idea





Gianni Cuperlo che vota Sì




Romano Prodi che a tre giorni dal voto referendario
cambia idea e dichiara di votare Sì (alla faccia della coerenza)





Michele Santoro smentisce se stesso e a 2 giorni
dal voto referendario dichiara di sostenere Renzi (in Rai?)

Fuggi fuggi dal Sì, fuggi fuggi da Matteo Renzi. I vip si pentono e chiedono, sommessamente, di fare sparire i loro nomi: "Forse non è il momento di chiedervelo. Ma sapete quanto rimarrà online il sito del Sì? No perché la firma nell'appello, se possibile...". Come nota il Corriere della sera, qualche vip del mondo dello spettacolo chiede di ritirare o far scomparire la firma dal sito "Basta un Sì".

Tommaso Labate, autore dell'articolo, non fa nome e cognomi. Certo, alcuni personaggi per la loro presa di posizioni sono stati presi di mira sui social. Come Michele Santoro, che aveva aderito al Sì in extremis: su Twitter viene attaccato da molti, anche dalla sua ex inviata Luisella Costamagna. Alcuni giorni fa la giornalista aveva scritto: "'Non ne vedo tantissimi che abbiano le qualità di Renzi. Non lo dico solo io, anche Berlusconi'. Santoro la pensa come Berlusconi. Ebbene Sì". E poi Gianni Cuperlo, Roberto Benigni, Romano Prodi. Tutti supporter di Renzi. Saranno pentiti pure loro?

Adesso a Renzi resta solo Agnese Il segreto: ciò che non sai su di lei

Melania Rizzoli: a Renzi non resta che Agnese. E non è poco


di Melania Rizzoli



Agnese era lì, nel salone di Palazzo Chigi, a tre passi di distanza dal marito premier sconfitto, mentre lui annunciava le sue dimissioni irrevocabili dalla guida del governo nella sua tragica notte del referendum. Agnese era lì, in piedi, dignitosa, composta e silenziosa, con le mani raccolte, vestita non con i pizzi di Scervino delle grandi occasioni ma in pantaloni neri e maglione chiaro a collo alto, come quando si sta in famiglia in inverno, lontano dagli impegni ufficiali, e come pronta a prendere per mano il marito e riportarlo a casa tra il calore degli affetti veri.

Agnese era lì, nella sede del governo, nel giorno più amaro di Matteo Renzi, illuminato dalle telecamere di tutte le reti televisive nazionali, mentre di fronte al podio lui pronunciava il suo discorso di addio. Agnese era lì, gli era accanto, esponendo la sua complicità di moglie, la sua condivisione di sentimenti, la sua indiscussa solidarietà, testimoniando come di solito solo le mogli vere sono le uniche destinate a stare vicino ai mariti nei momenti peggiori, di matrimonio, di vita o di malattia.

Agnese era lì, senza un sorriso, senza espressione, ma quella sua presenza in piedi, in quel salone, parlava più di tanti discorsi, di tante battute e diceva: «Io sono qui, ti sono vicina come sempre, ti aspetto, quando avrai finito ti accompagno a casa dai nostri figli, che la cena è pronta».

Agnese era lí, impassibile e a ciglio asciutto, lontana mille miglia dalle lacrime del ministro Maria Elena Boschi nella stanza accanto, lontana dalle polemiche rumorose del giglio magico sulla catastrofe referendaria, lontana dalle faide interne con a capo D' Alema e Bersani, lontana da quelli che avevano cantato vittoria sul filo di lana, ed anche lontana dalla valanga di No rovesciata dagli italiani addosso a Renzi.

Agnese era lí per Matteo, per suo marito, per il bullo di Rignano sicuro e spaccone che davanti a lei recitava con voce incrinata il suo ultimo discorso da capo del governo italiano. Agnese era lì non da first lady, ma da moglie e da madre, da compagna di vita dell' ex boy scout abituato a vincere, a prendersi quello che voleva con arroganza e spocchia, con coraggio e con violenza, dal ragazzo che calpestava le regole con disprezzo, che esercitava il potere acquisito ridicolizzando i ruoli degli amici di partito, che denigrava i suoi predecessori, che tentava di governare con un personalismo inesperto che lo ha condotto in un colpo solo alla sua catastrofe politica.

Agnese era lì, sorda agli sghignazzi festanti dei grillini in piazza, agli attacchi duri dei leghisti davanti ai microfoni, alla soddisfazione beata dei forzisti nel salotto di Bruno Vespa e ai sorrisi ironici della sinistra del Pd radunata nella sede di via del Nazareno. Agnese era lì, a schiena dritta, con lo sguardo fisso sul marito e con il dolore ben nascosto, con la delusione mascherata, senza isterie, senza drammi e soprattutto senza parole.

Agnese era lì nel giorno della caduta, come nessuna moglie di premier aveva mai fatto fino ad oggi, né quella di Andreotti, di Craxi, di Ciampi, di Prodi, di Berlusconi, di Monti e di Letta, e come nessuna di loro ci ha messo la faccia, il corpo e il cuore a sostegno del marito che da rottamatore si è ritrovato rottamato.

Agnese era lì, di fronte all'Italia che ha detto No, di fronte ai consensi divenuti dissensi, di fronte al suo uomo fino a poco prima protagonista assoluto di un' invasione mediatica e di una campagna referendaria senza precedenti, di una battaglia dura, dai toni esasperati, di una lotta corale persa con l'onore dei vinti, e lei era lì immobile e impassibile di fronte ai giornalisti che vergavano frenetici il disonore da mandare nei titoli in prima pagina all' alba.

Agnese era lì, pacata e rassicurante, mentre in mente le scorrevano veloci le immagini degli ultimi mesi, le visite di Stato, i ricevimenti, le cene con la Merkel, le foto con gli Obama, le Leopolde affollate, un mondo finito, un sipario sceso all'improvviso, una scenografia cambiata e capovolta, più reale, dalla quale emergevano con forza solo le macerie dei recenti terremoti, i barconi zeppi di immigrati che continuano ad arrivare sulle nostre coste, le strade e i ponti che crollano sotto le alluvioni, i giovani senza speranza di lavoro, la ripresa economica promessa e mai arrivata e gli italiani che non ci credono più.

Agnese era lì per stare accanto a suo marito durante il suo ultimo discorso da presidente del Consiglio, il suo annuncio più sincero, per non fargli tradire l' emozione, per accoglierlo quando lui si è poi avvicinato a lei, quando le ha messo il braccio sulle spalle e si è lasciato portare via, per tornare a casa al riparo dai tanti nemici, dagli odi e dai rancori, come un marito qualunque, che si appoggia alla moglie quando ha bisogno, quando è smarrito, ma che le riconosce la forza femminile e il conforto sicuro.

Agnese era lì.

Nuovo premier? Il nome a sorpresa: "Ora è lui il primo indiziato"

Toto-premier, salgono le quotazioni di Paolo Gentiloni



In attesa delle definitive dimissioni, che arriveranno dopo l'approvazione della legge di Bilancio, già in aula domani, continua il toto-nomi: chi il premier dopo il passo indietro di Matteo Renzi? Sin dal primissimo minuto le indiscrezioni puntano su Pier Carlo Padoan, Pietro Grasso e Carlo Calenda (Romano Prodi, che era una pista calda, a parole si è tirato indietro: mai fidarsi, comunque). Ma ora, nelle ultimissime ore, circola un nuovo nome: quello di Paolo Gentiloni, il ministro degli Esteri Pd nonché renziano di ferro (una scelta, dunque, in continuità col passato e che possa permettere a Renzi di mantenere la segreteria del partito con meno problemi).

Le consultazioni per il nuovo governo, s'ipotizza, potrebbero iniziare già giovedì: tutto dipende, come detto, dall'approvazione della legge di Bilancio. Ma ora, i fari restano puntati sull'ipotesi Gentiloni, il quale avrebbe l'appoggio dei capigruppo democratici a Camera e Senato. Il fatto, però, che la Corte Costituzionale si esprimerà il 24 gennaio sulla riforma elettorale, in un qualche modo, aumenta le possibilità che Sergio Mattarella insista con Renzi affinché resti premier per sbrigare gli affari correnti. Per certo, la decisione della Consulta rende più probabile - o quantomeno più praticabile - il voto in primavera.