Visualizzazioni totali

venerdì 16 settembre 2016

"Politics" fa flop, Semprini già trema Pazzesco: chi ha chiesto la sua testa

Politics, flop clamoroso. Chi ha chiesto la testa di Semprini



Politics, il nuovo talk show condotto da Gianluca Semprini, deve chiudere. Riporta il Fatto quotidiano che secondo il sindacato dei giornalisti Rai (Usigrai) il flop delle prime due puntate bastano per archiviare e dimenticare il programma che ha fatto la settimana scorsa 1 milione e 306mila spettatori (5,56% di share) e nell'ultima puntata 835mila (3,45%). Quasi la metà di DiMartedì (6,1%), condotto da Giovanni Floris su La7.

L'ex giornalista di Sky è il personaggio di punta della nuova direttrice di Rai3, Daria Bignardi che lo ha addirittura definito "il nuovo Vespa". Michele Anzaldi, deputato Pd di fede renziana e segretario della commissione di Vigilanza Rai, attacca: "Il flop di Politics rappresenta il coronamento di una strategia tafazziana e suicida della Rai".

E anche il Codacons chiede la chiusura del programma di Semprini: "Ha un costo non indifferente per la rete e per la collettività" e "i dati di ascolto dimostrano il mancato gradimento da parte del pubblico". 

Biaggi, è un disastro Evasione fiscale, Max a processo: quando vuole lo Stato

Max Biaggi, via al processo: lo Stato italiano gli chiede 17 milioni per evasione fiscale



Problemi con il fisco per Max Biaggi. Lo Stato ha chiesto, davanti al giudice monocratico di Roma, 17 milioni di euro al quattro volte campione del mondo di motociclismo. Secondo l’accusa, fino al 2012 il campione romano "al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto e degli interessi e sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo di 17 milioni euro - è detto nel capo di imputazione - compiva atti fraudolenti consistiti nel trasferimento della propria residenza nel Principato di Monaco e nell’affidare lo sfruttamento dei suoi diritti di immagine, derivanti dai contratti di sponsorizzazione con la società Dainese Spa, a società di capitale con sedi a Londra, Montecarlo e Madrid, idonei a rendere del tutto inefficace il recupero delle somme dovute al fisco". Le società, secondo l’accusa formulata dal pm Giancarlo Cirielli, sarebbero: la Media & Sporting ltd con sede a Londra fino al 2007 e poi alla Max Biaggi racing s.a.r.l. costituita appositamente nel principato di Monaco e infine, a partire dal 2013, alla Vuzela s.l.u. con sede a Madrid.

L'avvocato Pisana, che segue i principali casi di evasione fiscale nella capitale, ha dichiarato: " Spesso si parla dei problemi finanziari di personaggi dello spettacolo o dello sport solamente come gossip, ma così si rischia di far credere che questo tipo di reato sia veniale, una specie di inevitabile conseguenza della notorietà".  

Facci, quella triste verità su Tiziana ecco le due cose che l'hanno uccisa

Filippo Facci: valanga virtuale e cattiveria umana hanno travolto la vita di Tiziana Cantone


di Filippo Facci



Tiziana Cantone, allora 29enne, nel tardo aprile 2015 vive a Casalnuovo di Napoli, nell'hinterland napoletano. È di buona famiglia - l'espressione ha ancora un senso, lì - e ha la postura "aggressive" di moltissime ragazze come lei: alta, magra ma non troppo, occhi intensi e cerchiati di trucco, sopracciglia ridisegnate, nasino forse rimodellato, labbra fillerate, rossetti lucidi, look scuro o zebrato o maculato, un po' pantera ma non volgare, una donna che vuole piacere agli uomini e non ha problemi a riuscirci.  Ha una specie di fidanzato, ma - non è chiaro se sia per qualche ripicca - sta di fatto che decide di fare sesso con altri, anche con due alla volta; e non si oppone a che il fidanzato, nel mentre, venga sfottuto con tanto di corna immortalate in sei diversi video. È lei a definirlo per prima «cornuto» e a dire «stai facendo un video? Bravo», cioè la frase tormentone che la ucciderà. Poi non è chiaro entro quali limiti lei abbia agito «volontariamente e in piena coscienza» (l'espressione è dei giudici) anche nella diffusione dei video, uno dei quali, peraltro, è ambientato per strada. Ma pare che a diffonderli sia stata anche lei, benché a non più di cinque persone. A riceverli sono dapprima due fratelli che vivono in Romagna, poi un utente di Facebook di cui è noto solo il "nickname" e, ancora, un terzo soggetto maschile.

Pochi giorni dopo c'è il salto di qualità: è il 25 aprile 2015 quando un primo video finisce su un portale hard, in attesa degli altri. Il 30 aprile il video è già popolarissimo soprattutto nel napoletano, ma è solo l'inizio.

La diffusione diventa capillare, dapprima, tramite whatsapp (altri social network non consentono la diffusione di roba porno) e a contribuire al successo c'è che lei è riconoscibile con nome e cognome, spesso compare nel titolo, si vede bene in volto: ma a spopolare è in particolare quello che in gergo si chiama "meme", ossia la frase di lei «stai facendo un video? Bravo». Che sta succedendo?

Qualcuno parla di "revenge porn", categoria dei video hard messi in rete come vendetta contro un ex partner; altri, vista l'apparente disinvoltura e lo straordinario successo di tutta l'operazione, ipotizzano l'efficace piano di marketing di una futura pornostar. In realtà, per capire che sta succedendo, più che un processo alla rete servirebbe un processo alla natura umana, alle dinamiche di massa, alla mostrificazione di cui milioni di internauti si rendono capaci soprattutto quando scagliare il sasso è facilissimo e la mano è ben nascosta dietro una tastiera. Niente di molto diverso, forse, dal sangue invocato nelle arene, dalle pietre scagliate durante una lapidazione, da un compiaciuto linciaggio del Far West: un meccanismo che peraltro è anche ipocrita descrivere o denunciare, ora, perché neutralizzarlo a dovere implicherebbe non scrivere questo articolo, non fare nomi, non dettagliare le vicende, dunque non entrare - come questo scritto farà, nel suo piccolo - nel centrifugatore di Google o di Facebook, nell'automatismo per cui anche i più seriosi quotidiani scaraventano in rete video voyeuristici sulla base dei "click" che probabilmente faranno. Tiziana Cantone, per una dolosa ingenuità d'origine, entrò così in un inferno senza ritorno e che neppure la morte in queste ore potrà fermare. Nel maggio successivo, sempre 2015, la sua vita pubblica e privata diventa un videogioco al pari delle sue amicizie, del suo passato, dei dettagli più intimi, cose vere o false, non importa. Diventa l'icona di pagine Facebook, vignette, parodie, canzoni, fotomontaggi, addirittura vendita di magliette, tazze, gadget: qualche cronista si scatena alla ricerca del fidanzato cornuto, il "meme" tra Tiziana e il suo amante compare nel video della canzoncina "Fuori c'è il sole" di Lorenzo Fragola (20 milioni di visualizzazioni) e la presenza dei video di Tiziana non è neppure più necessaria. In ogni caso i video puoi trovarli direttamente su qualche sito porno. Anche i quotidiani online danno conto del fenomeno esploso intorno al suo nome. Che sta succedendo?

Niente, tutto: è qui che il confine tra fenomeno di costume e cronaca giudiziaria si fa impalpabile, è qui che, per ritrovarlo, serve al minimo un'impiccagione, un suicidio. I tempi precisi di tutta la storia, da quel maggio in poi, hanno scarsa importanza. Il punto è che Tiziana non può letteralmente più uscire di casa, e, quando lo farà, sarà per scappare. Non può lavorare neppure nel locale di cui i genitori sono titolari. Lascia il napoletano e passa qualche mese in Toscana lontano perlomeno da conoscenti e amici, gente in grado di associarla immediatamente a quel video. Va in depressione e dintorni, ovvio.

Qualche crisi di panico. Ottiene di poter cambiare il cognome. La prima denuncia dei suoi legali parla anche di un primo tentativo di suicidio: non è chiaro se prima o dopo la decisione di tornare a vivere nel napoletano in un' altra cittadina, Mugnano, da una zia, neanche lontano da dove stava prima.  Va detto che, dal punto di vista giudiziario, ha fatto quello che ha potuto. Ormai devastata, si mette nelle mani della civilista Roberta Foglia Manzillo e chiede una serie di provvedimenti "d'urgenza", i quali, ovviamente, cozzano contro i tempi della giustizia italiana. 

La denuncia è rivolta sia ai primi diffusori materiali dei video - quelli che hanno oltrepassato un passaggio one-to-one, e che, cioè, li hanno messi sui social network - e sia, in un secondo momento, contro gli stessi social network che ospitavano i video o li avevano ospitati. I soggetti sono infiniti: tra questi Facebook Ireland, Yahoo Italia, Google, Youtube, Citynews, Appideas. Comunque il tribunale di Napoli Nord le dà ragione - un sacco di tempo dopo - e, con un provvedimento "ex articolo 700", riconosce la lesione del diritto alla privacy e contesta ai social di non aver rimosso il contenuto al momento opportuno. Ma a complicare le cose - e qui si capisce perché internet è un inferno - c'è che molti social network, per esempio Facebook, non contenevano i video: contenevano solo il loro cascame, il prodotto ormai deformato che avevano originato. A ogni modo, le pagine vengono eliminate, e così i post, i commenti, tutto. I social network pagheranno le spese legali - si legge - ma Tiziana dovrà pagare 3.645 euro a carico di quei social network che le varie pagine, intanto, le avevano già rimosse. Senza farla lunga: i dare e gli avere alla fine si sono equivalsi.

Ma non è finita. Il diritto all'oblio le è stato negato: «Presupposto fondamentale perché l'interessato possa opporsi al trattamento dei dati personali, adducendo il diritto all'oblio - si legge ancora, - è che tali dati siano relativi a vicende risalenti nel tempo». Siamo al paradosso definitivo. Abbiamo i tempi di internet, che in 24 ore possono distruggere una persona. Abbiamo i tempi della giustizia italiana, che per metterci un'inutile pezza impiegano un anno e mezzo. E abbiamo, in aggiunta, i tempi del diritto all'oblio, secondo i quali un anno e mezzo non basta per non figurare come una zoccola sul web. Perché c'è ancora l'attualità della "notizia". Non è finita ancora. Mentre i più seriosi quotidiani non hanno riportato la sentenza - neanche quelli che contribuirono allo sputtanamento - il paradosso è che in rete qualcosa è ricircolato, e la storia ha ripreso vigore. Non sapremo mai se il suicidio, di poco successivo, sia collegato a questo. Ma, a proposito di tempi, è dopo di questo che Tiziana è scesa nello scantinato e si è impiccata con un foulard. Ci consoleremo con un fondamentale fascicolo della Procura di Napoli per istigazione al suicidio: imputata, presumiamo, tutta la cattiveria umana.

"Basta, Virginia non si tocca" Beppe in campo per la Raggi"

"Basta, Virginia non si tocca", Beppe si schiera per Raggi



"Virginia Raggi è il sindaco di Roma votata da 770.564 cittadini per realizzare il programma del  MoVimento 5 Stelle e ha tutta la mia fiducia. Tutto il MoVimento 5 Stelle la sostiene affinchè vada avanti e porti a compimento il programma per cui è stata votata dai romani. Punto". Lo scrive Beppe Grillo in un post pubblicato sul suo blog dal titolo Virginia non si tocca.

"Il MoVimento porta avanti e sostiene delle idee, non delle opinioni. La battaglia per rimettere il volere dei romani al centro delle scelte dell’amministrazione cittadina è durissima, gli interessi che andiamo a toccare sono enormi ma continueremo a farlo, consci dei rischi che corriamo, nel nome del bene comune. Per vincerla ci vorranno anni e l’impegno e la solidarietà di tutti i portavoce, gli iscritti, gli attivisti, i simpatizzanti e di tutti i cittadini di buona volontà. Uniti, con Virginia sindaco e i nostri principi come guida, faremo di Roma la più bella capitale del mondo. È un sogno, che come gli altri che ci hanno portato fino a qui, si realizzerà. Uniti, umili e al servizio dei cittadini" conclude Grillo sempre sul suo blog. 

Sacerdoti, sesso, donne e amanti La mappa degli scandali in Italia

Preti, sesso, donne e amanti. La mappa degli scandali in Italia


di Cristiana Lodi



Fare la conta esatta degli spretati in Italia e nel mondo è difficile. Le associazioni «di categoria» infatti forniscono dati, ma il Vaticano li corregge e ne indica altri. Palesemente più contenuti e circoscritti. Quasi che il pastore che abbandona il gregge per amore verso una donna, si macchi di un peccato così poco veniale da dover essere lavato in casa (anzi in Chiesa) e non in pubblico. Di fatto, però, sono sempre di più i sacerdoti che a un certo punto del loro ministero, lacerati dal conflitto affettivo e dalla solitudine, gettano tonaca e aspersorio alle ortiche. Per poi riapprodare nella laica e più terrena società a braccetto con una signora. La Chiesa cattolica fa di tutto per «recuperarli» o trattenerli (talvolta anche chiudendo un occhio scegliendo la formula more uxorio), e quando non ci riesce li condanna.

I preti che si sposano o che nell' attesa della dispensa papale, vanno a vivere con una donna nel segno dell' amore, in genere hanno tutti contro. Dal vescovo al sacrestano. Fa eccezione qualche rara perpetua, a patto che dopo l' avvicendamento nessun altro le soffi il posto in canonica. Ma a dispetto delle sofferenze e delle difficoltà, i religiosi in paramento che vivono una relazione sentimentale, sono una realtà. Sempre più importante. Inutile parlare con monsignore o con lo psicologo. E non può servire nemmeno l' anno di discernimento in monastero, in convento, in missione ai confini del mondo o a fare l' eremita: il sentimento e il desiderio a esso connesso non svaniscono. Vero: il pastore si è consacrato al servizio divino, ha fatto voto di castità e di obbedienza, ma a un certo punto la solitudine prende il sopravvento. E lasciare il gregge in nome della donna e della famiglia, è la sola chiave per annientare il male.

Secondo il canonista Vincenzo Mosca, nel mondo, le «defezioni» sacerdotali (diocesane e religiose) sarebbero oltre mille l' anno. Ancora oggi, per ogni dieci nuovi preti, almeno due abbandonano il ministero. I sacerdoti «laicizzati» viventi nel mondo, dunque, secondo Mosca, sarebbero più di 50 mila. 

Non sono d' accordo la maggior parte delle associazione di presbiteri con famiglia, secondo le quali la cifra andrebbe addirittura raddoppiata. Soltanto in Italia - in base alla media dei dati disponibili - i sacerdoti coniugati sarebbero da 8 a 10 mila. E 120 mila in tutto il mondo.

I picchi di richiesta di dispensa dall' esercizio del ministero si sarebbero inoltre avuti a metà anni Settanta, quando «di licenze» ne sono state chieste da 2500 a 3 mila. Attualmente se ne concedono da 500 a 700 l' anno. Ma se anche i preti come si è visto sono uomini, stessa cosa vale per gli spretati (che si siano poi sposati oppure no): sta di fatto che fra loro esiste un discreto gruppo che, dopo avere abbandonato il ministero, a un certo punto sente nostalgia del Tabernacolo. E chiede di ritornare a celebrare Messa.

Così comincia la spola dal vescovo, sempre benevolo, per essere riammessi al sacerdozio. Alcuni vorrebbero rientrarci senza però abbandonare la vita di preti sposati, cosa che la Chiesa non può concedere senza modificare la legge sul celibato. Nell' attesa, succede che qualcuno, si dedichi a un ministero sacerdotale «parallelo» da esercitare nelle confessioni protestanti o nelle sette. Come si può vedere lo scenario è articolato e per molti versi inevitabilmente confuso.

Certo è che sono ormai migliaia gli appartenenti al clero cattolico che, pur conservando la fede e volendo continuare a testimoniarla, vivono una storia d' amore talvolta clandestina e talvolta tollerata nel segreto di un confessionale. Uomini e donne perseguitati e lacerati dal senso del peccato. Perché gli spretati o i preti accompagnati che vengono tollerati, sono ben consapevoli di essere di fatto «fuori» dalla Chiesa. In tanti si domandano per quale ragione, in una società laica dove tutto è permesso, la vita sessuale dei religiosi debba essere il tabù che sopravvive nei secoli. Una Chiesa che predica l' amore può impedire ai suoi ministri di amare? Può costringerli a vivere la sessualità nella clandestinità e nell' ipocrisia? Tanti, troppi sacerdoti sono protagonisti di storie drammatiche, costretti a un bivio diviso fra due opposte strade: la passione umana e l' intensità di una vocazione.

E non è facile andare avanti nemmeno per i preti «pentiti» che hanno imboccata la prima via, quella della passione terrena, abbandonando i paramenti in sacrestia senza pentimento. Per loro comincia una nuova vita, in una nuova società nella quale bisogna ricominciare tutto daccapo. Il lavoro senza mai avere compilato un curriculum. La casa senza nemmeno sapere cosa sia l' affitto. Un' armata di orfani dell' abbraccio della Chiesa e della prospettiva di una pensione elargita dalla Cei. Allora eccoli che vanno a fare gli assistenti sociali o gli insegnanti di religione. Qualcuno va a lavorare in fabbrica, c' è chi si reinventata imprenditore o agente di commercio. Chi vaga alla ricerca di un lavoro. Senza però mai dire di avere perso la fede.

giovedì 15 settembre 2016

Il video che incastra Amanda Knox: anche gli americani la vogliono in galera

Il video che incastra Amanda Knox: anche gli americani la vogliono in galera



Amanda Knox torna sui piccoli schermi a raccontare la sua storia e il processo che ha tenuto col fiato sospeso l'Italia e gli Stati Uniti. I fatti di quel lontano 2007 perugino in cui venne assassinata Meredith Kercher sono trasposti su pellicola dal docufilm presentato al Festival di Toronto e che farà tornare a discutere sull'innocenza della bella di Seattle e del suo storico fidanzato, Raffaele Sollecito.

Stando a Il Messaggero, il documentario, prodotto da Netflix, arriverà su tutte le piattaforme che supportano il canale streaming il 30 settembre. Questa è la terza volta che la storia di Amanda finisce in tv, dopo il primo film innocentista girato a processo aperto e il secondo che sosteneva, invece, la famiglia Kercher, e si mantiene neutrale, provando a raccontare i fatti e le indagini, con interviste esclusive (Amanda, Sollecito, il pm Giuliano Mignini), ma difficilmente si riuscirà ad evitare l'effetto protagonismo della "faccia d'angelo" Amanda, che catalizzò già nove anni fa l'attenzione dei media più per la sua avvenenza e il suo appetito sessuale che per il suo coinvolgimento nella morte di Meredith.

E' la spettacolarizzazione del dramma, che tiene con gli occhi incollati al televisore ancor di più se ad essere protagonista è una giovane donna, bella e spietata, che dopo il processo e la sua assoluzione ha guadagnato 4 milioni di dollari con libri e partecipazioni tv. Rudy Guede, l'ivoriano condannato, non è personaggio di nessun film o documentario. Amanda è una star.

Ventimiglia, umiliazione per i poliziotti: costretti a vivere con gli immigrati così

Ventimiglia, umiliazione per i poliziotti. Costretti a vivere con gli immigrati così



Bagni rotti, sporchi, sale d'attesa trasformate in dormitori. Ecco come sono costretti a lavorare i 55 poliziotti del commissariato della polizia di Stato di Ventimiglia. A denunciare la grave situazione di disagio e degrado al Giornale è il vicesegretario nazionale Mauro Armelao. Il commissariato è impegnato da oltre un anno nella gestione dell'emergenza migranti al confine con la Francia. "Lì vengono accompagnati ogni giorno i migranti, con ondate di 15 persone. Dormono all'interno della struttura, la sera si fanno i controlli, si prendono le impronte e si fanno le fotosegnalazioni. Solo il mattino seguente si fanno gli accertamenti sanitari, con il rischio che i poliziotti a contatto si ammalino. Basta anche una semplice faringite. Poi il giorno dopo i migranti vengono trasferiti a Taranto".

Così gli immigrati devono trascorrere la notte in caserma dormendo per terra o nel cortile interno: "Non ci sono i condizionatori - dice Armelao - quella struttura non va bene, va ristrutturata completamente e ha servizi igienici indecenti. I poliziotti lavorano 24 ore su 24 per fronteggiare l'emergenza profughi con caldo e puzza a non finire". Non ha senso poi "far dormire i funzionari aggregati con gli autisti negli alberghi a Imperia, a quasi 50 km da Ventimiglia". Spreco di tempo e di denaro.