Nicolò Ghedini: "Berlusconi è buono lui perdona, io no Sono il più cattivo"
intervista di Cristiana Lodi
Smilzo e pallido. Arriva con passo aristocratico provocando fascino spettrale. E si dichiara pronto a tutto pur di salvare il capo. Il cliente in doppiopetto che lo ha creato, plasmato, reso potente. E ricco più di quanto già non fosse. La sua virtù (a far tutt'uno con la sua filosofia giuridica) è che lui non si stanca mai.
Nel muro contro muro coi magistrati, non cede nemmeno se lo avveleni. A dispetto della voce cantilenante: «Ella, signor giudice …». Tende il labbro in direzione del lobo destro (non sia mai quello sinistro per uno che come lui è anticomunista per cromosoma) e, in un nanosecondo di scherno, sferra la sua strategia di difesa. Oppone impedimenti e codicilli. Azzecca astuzie procedurali, in quel ring dove ti chiamano soltanto per sbranarti. «In questo mestiere - dice - il 99,99 per cento è sudore e quel che resta è abilità». Notte e giorno, domenica e Ognissanti, Natale e Ferragosto: l'avvocato-onorevole Niccolò Ghedini è sempre presente. Nonostante (e meno male) stando al motto, sarebbe Silvio quello che c'è.
«Berlusconi è totalmente innocente e lo è sempre stato, come provano le mille assoluzioni e, ancor più, l'ingiusta condanna del 2013 per la frode fiscale mai esistita. Una sentenza, quella, utile soltanto a estrometterlo dalla scena politica. Basta andarli a vedere gli almeno 65 processi nei quali è stato costretto a difendersi. Assolto e sempre assolto. E anche i casi prescritti sarebbero finiti allo stesso modo, se non fosse intervenuto lo scadere dei termini. Si veda il caso Mills, per citarne uno.
È sufficiente leggere la sentenza per constatare che c'era assoluzione. Anche lì», arringa così l'avvocato padovano nato nel 1959. Il giovane disciplinato che alla fine dei Novanta sbaraglia nel cuore di Silvio Berlusconi e vince annientando ogni possibile rivale.
Come è diventato il suo avvocato e consigliere per eccellenza?
«Berlusconi non ha bisogno di un consigliere. È un uomo d'intelligenza superiore e in quanto tale può consigliarsi benissimo con se stesso. Io, al massimo, gli rappresento le norme procedurali. Sono il suo avvocato, quello che lo difende e che fa le scelte processuali».
Com'è cominciata?
«Per caso, nel 1998. Avevo difeso un giornalista del gruppo Fininvest su indicazione di Gaetano Pecorella che era presidente nazionale delle Camere Penali, quando io ero segretario. Fu lui a segnalarmi. Il Gruppo poi mi chiese dei pareri "pro veritate". Li diedi e la seconda richiesta fu di difendere il Presidente Berlusconi in un singolo processo».
Quale?
«Sme-Ariosto. Accettai con entusiasmo. Ci fu assoluzione anche se dopo anni. Nessuna prescrizione. Berlusconi fu scagionato dall'accusa di corruzione perché il fatto non sussiste e per non avere commesso il fatto».
L'instancabile Ghedini si prende così un primo processo, poi un secondo, finché si prende tutto.
«Non da solo. Berlusconi ha avuto l'apporto di altri validissimi colleghi: Amodio, De Luca, Pecorella, per citarne alcuni. E io ancora sono coadiuvato da altri avvocati altrettanto validi: Cerabona a Napoli, il mio maestro Piero Longo e il bravissimo Franco Coppi. Io e Franco siamo in rapporti...».
Siete in rapporti «ottimi». Lo ha confermato Coppi stesso a Libero. E lei gli ha perfino regalato un cane Golden retriever che lui ha ribattezzato «Rocky Ghedini».
«Aggiungerei che i rapporti sono eccellenti, a dispetto dei commenti di certa stampa. Ho stima straordinaria di Coppi, lo tormento tutti i giorni e lo considero un vero maestro».
Il primo, si sa, era stato Piero Longo. Memorabili le sue parole nel 1988. Niccolò aveva 29 anni ed era suo assistente di studio. All'epoca difendevano Marco Furlan: il fascista della Verona bene che con l'amico Wolfgang Abel faceva l'assassino seriale (18 omicidi) per liberare la società da drogati preti e barboni, in nome di Ludwig. In aula il professor Longo parlò ai colleghi durante una pausa d'udienza: «Tenete a mente il nome di questo ragazzo - disse - si chiama Niccolò Ghedini e farà strada».
Ma nemmeno lui immaginava quanta. Da almeno vent'anni l'allievo difende l'uomo che per altrettanti vent'anni ha governato e deciso le sorti del Paese; ne conosce i segreti più nascosti. La potenza e anche le fragilità. Con lui vive in una simbiosi che lo ha trasformato nel suo doppio.
Cos'è per lei Berlusconi?
«Un amico. Vero. Carissimo. Il nostro rapporto va oltre, molto al di là dell'amicizia comunemente intesa. Perché io difendo l'onore e la libertà di questo amico, ogni volta innocente, a cui voglio bene. Molto bene».
Chi altro vuole bene a Berlusconi?
«Gianni Letta e Fedele Confalonieri: gli vogliono bene in modo critico e sono le persone ideali nel confronto con lui. Loro, a parte i figli che lo amano all'infinito, sono anche gli amici fidati e che gli sono accanto ogni volta in cui la salute dà problemi. E sempre loro, per primi, gioiscono quando Berlusconi da malato si trasforma all'improvviso in una star del rock. Com'è successo dopo l'intervento dello scorso 14 giugno».
Le lacrime di Francesca Pascale affacciata alla finestra del San Raffaele, quella volta lì? Una commedia secondo il parere di tanti.
«Ma non è così… È stata la stampa che ha diffuso questo messaggio».
Non erano i giornalisti a piangere.
«La Pascale vuol molto bene a Berlusconi. Normale e comprensibile fosse emozionata. Dispiaciuta. Nessuno possiede gli strumenti per poter leggere i sentimenti dell'altro. Meno che meno io».
È stato scritto che voi amici, avvocati e parenti avreste però allontanato certe figure nocive alla salute del presidente. Persone che lo avrebbero fatto stancare più del dovuto, a proprio uso e consumo. Pascale compresa.
«Non è vero. Com'è falsa la storia del cerchio magico. Che non esiste. Berlusconi non ha bisogno di consiglieri, né di registi col cappello di Mago Merlino».
Però di nemici ne ha. Chi sono, se escludiamo i magistrati e gli oppositori?
«Parliamo degli ingrati? Di quelli ne avrei un lungo elenco, ma mi avvalgo della facoltà di non rispondere».
Faccia un esempio almeno.
«È capitato di leggere intercettazioni e di scoprire così che soggetti da sempre vicini, di colpo parlassero male di lui. E ogni volta Berlusconi li ha giustificati. È come se cercasse di dare una spiegazione: "Sono cose che si dicono…", commenta nonostante i piaceri fatti. Berlusconi è una persona buona. Trova la spiegazione e poi perdona qualsiasi cosa».
Lei invece è più cattivo?
«Assolutamente sì, al confronto. La scorrettezza non la accetto. La slealtà ancora di meno, la detesto. Con gli scorretti chiudo. E se qualcuno è con me sleale, io non lo perdono. Berlusconi invece sì».
Lei è anche l'uomo dei cavilli.
«Ho sempre impostato la mia difesa sulle questioni di procedura e di diritto. Il processo giusto è quello che segue le regole. Se è lento e incontra la scadenza dei termini, è colpa della norma. O del giudice che non la applica o la applica male». Non c'è avvocato sulla faccia della terra che non miri alla prescrizione. I giudici talvolta sbagliano e condannano gli innocenti. Succede perfino che lo facciano in buona fede, perché sono uomini e non Dio.
Si può mirare alla prescrizione. E non si può negare che lei in questo sia un maestro.
«Andiamo con ordine. Anzitutto io non sono un maestro di niente e Berlusconi non è stato condannato in modo corretto. E poi i suoi processi sono stati spesso su fatti molto vecchi (anche di 15 anni e oltre, con i testimoni praticamente morti), alla fine si sono prescritti a causa dell'accusa e non della difesa».
La condanna del primo agosto 2013? Quella che lo ha fatto decadere, cancellandolo dalla scena politica attivamente intesa?
«Il caso Mediaset ha avuto uno svolgimento anomalo. Il calcolo della prescrizione era diverso e questo è conclamato. Il processo scadeva a settembre, c'era tutto il tempo per assegnare la discussione a una sezione normale. Invece è stata appositamente assegnata alla sezione feriale, fissando quelle tre udienze fra luglio e il primo agosto. Una composizione della Corte anomala, nonostante il processo si prescrivesse in autunno. Lei cosa dice?».
Che vi aspettavate la condanna.
«Ci siamo resi conto subito che il processo era segnato. La sezione era diversa dal dovuto. Ripeto: era del tutto anomala».
Com'è stato dirlo a Berlusconi? Cos'ha provato quel giorno, al telefono quando lo ha sentito?
«Incredulità. Berlusconi reagisce sempre così, anche quando gli prospetto le norme o gli illustro i rischi. È normale per una persona innocente e che ha la coscienza pulita. Anche quel tardo pomeriggio era incredulo. Vede, io ho sempre difeso un innocente e l'ho sempre difeso nel processo. Lo ripeto: Berlusconi è sempre stato difeso nel processo, che poi ci sia stata una persecuzione da parte dei magistrati più o meno politicizzati, è palese e sotto gli occhi di tutti. Innegabile. A questo, ovvio, si aggiunge la strumentalizzazione da parte degli oppositori che hanno sfruttato ai propri fini la persecuzione giudiziaria stessa. Dov'è la novità?».
Strasburgo?
«Certamente. Davanti alla Corte Europea l'ingiusta condanna del primo agosto 2013 sarà riconosciuta con tutte le sue anomalie. Il Presidente Berlusconi risulterà doppiamente e totalmente innocente nel merito. Così come sarà assolto nell'assurdo processo Ruby ter che neppure sarebbe dovuto iniziare e che non è nient'altro se non un'indebita e intollerabile intromissione nella sua vita privata, per giunta impeccabile».
Quando l'esito?
«A primavera, vogliamo sperare».
Torniamo a lei, oltre a fare l'avvocato di Berlusconi cosa fa?
«Il mio lavoro è il mio hobby. Ritengo sia una fortuna. Non frequento salotti, non conosco la cosiddetta mondanità. Non vado a teatro, non scio, non nuoto, non vado a cavallo, niente. Quando non sono ad Arcore o a Palazzo Grazioli, torno a casa a Padova. Ci sono mia moglie con cui ho uno splendido rapporto e mio figlio Giuseppe che ha 18 anni ed è un ragazzo molto gradevole».
Gradevole?
«Sì, è gradevole e amatissimo. Noi siamo una famiglia molto unita. Mio padre era un avvocato di chiara fama, il nostro studio ha 400 anni. Lui è morto che io avevo 13 anni. Ci sono le mia sorelle: quattro. Una di loro è acquisita. Due fanno l'avvocato civilista, una fa l'archeologa e ho un cognato magistrato».
Un giudice in famiglia?
«Perché no?». Una volta ha detto che se entra in un salotto e vede cinque persone, lei vuole scappare mentre Berlusconi, al suo posto, chiederebbe dove sono gli altri. «Sì, mi annoiano i salotti».
La spaventano le arene agguerrite?
«Per niente. Travaglio, per esempio, mi è simpatico».
Lui le sentenze le legge. È uno dei pochi.
«Sì, ma racconta solo quello che gli piace e gli fa comodo. In ogni caso è sempre costruttivo discutere con lui. Certo, i programmi in cui c' è Travaglio non sono mai equilibrati. Altra cosa è la trasmissione di Vespa. A Porta a Porta il confronto è possibile e il conduttore lo sa gestire con equilibrio e correttezza, garantendo a tutti la possibilità di intervenire».
Niccolò Ghedini che non fa l'avvocato, sarebbe stato possibile?
«Eccome se lo sarebbe stato. Ho la laurea in Giurisprudenza, ma avrei fatto volentieri anche Agraria. Non mi sarebbe dispiaciuto lavorare in una delle nostre aziende agricole, a produrre olio o vino. Ecco, amo la campagna ed è lì che quando torno a casa mi piace andare. In campagna».