Anche i piloti con il diabete possono ora guidare un aereo
Uno studio presentato all’EASD in corso a Monaco di Baviera fa cadere uno degli ultimi tabù sul lavoro: il diabete, anche quello trattato con insulina, non può e non deve rappresentare una preclusione assoluta all’attività lavorativa. Nemmeno quando il lavoro consiste nel pilotare un aereo. Lo dimostrano i risultati di uno studio presentato al congresso della European Association for the Study of Diabetes (EASD) a Monaco (Germania), che dimostra come i piloti delle linee aeree commerciali inglesi con diabete in trattamento con insulina abbiamo condotto negli ultimi tre anni un aereo su voli dal breve al lungo raggio, senza problemi, mantenendo i livelli di glicemia in buon compenso e monitorandoli con un glucometro in cabina di pilotaggio. Nel 2012 la Gran Bretagna è stata la seconda nazione al mondo (la prima è stata il Canada) a consentire ai soggetti con diabete in trattamento insulinico di ottenere un Certificato Medico di Classe 1 per la Licenza di Pilota Commerciale (CPL). Nel mese di aprile del 2015 l’Irlanda ha seguito l’esempio della Gran Bretagna ed ha adottato un Protocollo di Valutazione Medica nell’ambito del regolamento della European Aviation Safety Agency (EASA).
Una task force composta da esperti medici e dell’aviazione britannica ha sviluppato un protocollo ad hoc che regola la certificazione medica dei piloti in terapia con insulina. I piloti che ottengono questa certificazione sono soggetti a requisiti molto stringenti (controllo della glicemia prima e durante il volo), sotto la supervisione diretta dei dipartimenti medici di UK Civil Aviation Authority (CAA) and Irish Aviation Authority (IAA). Lo studio presentato all’EASD ha valutato i primi risultati e la sicurezza del programma inglese. Sono stati analizzati tutti i file medici dei 26 piloti insulino-trattati con certificato di Classe 1, prendendo in considerazione età, durata e tipo di diabete, trattamento, comorbilità, monitoraggio delle complicanze del diabete, valori di emoglobina glicata prima e dopo il conseguimento del certificato di Classe 1, tutti i voli effettuati con il relativo monitoraggio delle glicemie durante il volo.
L’identikit dei piloti considerati da questo studio era il seguente: maschi, di età media 41 anni, l’85% dei quali affetti da diabete di tipo 1 insorto in media 8 anni prima, con licenza conseguita in media 19,5 mesi prima. Le glicate pre e post-certificazione sono risultate sovrapponibili (53,1mmol/mol e 54,8mmol/mol). Nell’arco di 4.900 ore di volo sono state registrate 8.897 misurazioni della glicemia, classificate in 3 diverse categorie, secondo i colori del semaforo: verde (90-270 mg/dl), giallo (72-90 e 270-360 mg/dl) e rosso (< 72 or >360 mg/dl). Per i voli di breve-medio raggio (sotto 6 ore) il 96% delle 7.829 letture di glicemia è risultato nel range ‘verde’; per quelli di lungo raggio (più di 6 ore), il 97% dei 1.068 valori di glicemia rilevati in volo è risultato nella categoria ‘verde’. Complessivamente, sommando le letture ottenute nei voli di breve-medio e lungo raggio, solo 19 misurazioni (lo 0,2%) sono risultate nel range rosso, ma al momento non risultano casi di piloti inabilitati al volo per una glicemia troppo bassa o troppo alta. Il protocollo CAA sembra dunque funzionare molto bene, garantendo la sicurezza in volo, senza bisogno di discriminare i piloti con diabete. Il monitoraggio della glicemia nella cabina di pilotaggio con un semplice glucometro consente di rilevare prontamente delle alterazioni potenzialmente a rischio e di correggerle rapidamente. Alla luce di questi risultati ‘real life’ diverse nazioni europee hanno manifestato interesse in questo programma. Dall’altro lato dell’oceano, di grande equilibrio è anche la posizione dell’American Diabetes Association (ADA) che suggerisce come approccio più appropriato quello di valutare caso per caso i soggetti con diabete, per determinare se una persona sia idonea o meno a svolgere determinate attività. Seguendo questa linea, l’ADA sta sviluppando delle raccomandazioni da condividere con la US Federal Aviation Administration (FAA) allo scopo di consentire alla FAA di individuare i potenziali piloti con diabete senza rischi particolari di inabilitazione, rispetto a tutti gli altri. Al momento tuttavia anche negli USA, la diagnosi di diabete preclude la possibilità di condurre aerei commerciali.
“L’attuale normativa italiana - ricorda il professor Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Diabetologia - non consente la concessione della licenza a piloti di linea con diabete in trattamento con insulina o farmaci orali che possano causare ipoglicemie. Se questa restrizione appare dettata da logiche motivazioni di buonsenso, i progressi del trattamento del diabete con nuovi farmaci che non causano ipoglicemie e con insuline sempre più intelligenti che riducono i rischi d’ipoglicemia aprono alla possibilità che questa patologia possa essere trattata in assoluta sicurezza anche con insulina. Lo studio sui piloti inglesi con diabete insulino-trattato dimostra chiaramente che è possibile pilotare aerei su rotte commerciali in piena sicurezza attraverso un attento monitoraggio della glicemia e un protocollo terapeutico rigoroso. La SID è disponibile a collaborare con le autorità regolatorie italiane per approfondire la tematica e sviluppare protocolli per il trattamento e il monitoraggio della terapia”. Dal canto suo l’Ente Nazionale Aviazione Civile ENAC, interpellato in proposito, fa sapere che “nel confermare la propria attenzione agli importanti sviluppi emersi dai recenti studi e che indicano la necessità di un'innovazione della normativa in materia, ha evidenziato che il tema deve comunque essere portato avanti nel contesto europeo che è regolamentato dall'EASA, l'Agenzia Europea per la Sicurezza Aerea". Al momento la Gran Bretagna dispone della più vasta ‘flotta’ al mondo di piloti diabetici trattati con insulina e rappresenta dunque un esempio per tutti nel campo della non discriminazione sul lavoro per le persone con diabete.
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