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venerdì 12 agosto 2016

L'uomo che ha fucilato Mussolini Chi era: la scoperta che fa la storia

L'uomo che ha fucilato Mussolini: la scoperta che fa la storia



Una nuova versione sulla morte di Benito Mussolini, che emerge dalla ricerca di due appassionati di storia svizzeri. Secondo la teoria di Ettore Lucini e Dedo Tanzi, dietro la cattura e l'esecuzione del Duce ci sarebbe un super agente segreto inviato dagli Usa. La ricerca, molto dettagliata, è stata pubblicata sulla rivista Storia in rete e ripercorre, attraverso la comparazione puntuale di alcune fotografie-chiave, quel 28 aprile 1945, giorno della fucilazione di Mussolini e di Claretta Petacci.

Come riporta Il Giornale, che riprende la ricerca, i due svizzeri avrebbero analizzato due fotografie identiche pubblicate dal Corriere d'Informazione nel 1965 e da Oggi negli anni '90: le immagini ritraggono i partigiani Lorenzo Bianchi, Pier Luigi Bellini e Urbano Lazzaro, soldati e partigiani coinvolti nell'esecuzione materiale della morte del Duce. Un quarto uomo è presente nelle foto, irriconoscibile nella prima, più nitido nella seconda: è Valerian Lada-Mocarski, all'epoca numero due in Europa dell'Oss, il servizio segreto americano precursore della Cia.

Horror: l'Isis bussa a casa di Mattarella La minaccia: "Come ti ammazziamo"

Horror: l'Isis bussa a casa di Mattarella. La minaccia: "Come ti ammazziamo"



L'Isis alza l'asticella. Nel mirino, sempre di più, c'è l'Italia. E ora i tagliagole diffondono due filmati in cui compaiono anche Matteo Renzi e Sergio Mattarella. Il primo video, proveniente dalla divisione media dello Stato Islamico, mostra anche il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Il secondo, più recente, arriva dalla Siria e mostra Mattarella. L'accusa è quella di essere crociati che sostengono il governo di Fayez Serraj. Nei video, inoltre, ci sono riferimenti al passato coloniale dell'Italia in Libia.

L'esperto di islam politico, Marco Arnaboldi, intercettato dal Corriere della Sera spiega che questi video non devono essere sottovalutati: "Fin qui i riferimenti erano generici, si parlava di Roma. Ora vengono indicati precisi obiettivi come il Vaticano".

giovedì 11 agosto 2016

Caivano (Na): Profili falsi su Facebook, sulle tracce di SOS Caivano

Caivano (Na): Profili falsi su Facebook, sulle tracce di un profilo falso (SOS Caivano)


di Gaetano Daniele


Questa la foto di SOS Caivano (profilo falso)
che circolava sul web-Facebook

Quando non si ha il coraggio di esprimere un'opinione, liberamente, democraticamente, si passa al profilo falso su Facebook. Ne sa qualcosa un certo profilo falso su Facebook, "SOS Caivano", che prendeva di mira persone a lui scomode. Ultimo, un attivista del Movimento Caivano, tra l'altro candidato alle ultime elezioni comunali e che vanta un curriculum sociale da far invidia. 

Ma occhio, per i maniaci del web, che appunto si nascondono dietro profili falsi, dal 2015 questo tipo di reato è perseguibile penalmente. Difatti, da indiscrezioni, le numerose querele che ha ricevuto questo profilo falso, forse sta portando al nome dell'autore che, confermandosi un vigliacco nato, ha bene pensato, dopo le numerose denunce, di cancellare la pagina SOS Caivano, dove appunto prendeva di mire le sue vittime ai fini denigratori. 

Secondo quando stabilito dalla Suprema Corte questa condotta può essere considerata un REATO, se tale comportamento illecito è fatto per creare danni a terzi o un vantaggio a se stessi.

Quindi ricordate che se venite molestati da una persona che non conoscete su Faceebook e questo poi si rivela un profilo falso, lo stesso chiunque esso sia può essere denunciato per il reato di “SOSTITUZIONE DI PERSONA“.

E’ utile precisare una cosa: Chi apre più di un account su Facebook non è perseguibile penalmente anche se il regolamento Facebook impedisce questo tipo di utilizzo del social da parte dei suoi Utenti, il reato di SOSTITUZIONE DI PERSONA si configura solamente se questi profili detti in gergo Fake vengono utilizzati per scopi illeciti.

Si ricorda che è possibile risalire alla vera identità di un Utente anche se esso si nasconde dietro dati falsi in quanto ogni utente Facebook accede con il proprio indirizzo IP il quale nel gergo di rete è la propria carta di identità virtuale.

"QUANTO HO IN BANCA" Un clamoroso Matteo Renzi: ecco le cifre (mai visto prima)

"Quanto ho in banca". Un clamoroso Matteo Renzi: ecco le cifre (mai visto prima)



Quanti denari accumula un presidente del Consiglio? Matteo Renzi non si fa troppi problemi a dirlo, e forse è il primo premier a farlo. Alla festa de l'Unità di Villalunga, interpellato sulla questione da Enrico Mentana, Renzi senza girarci troppo attorno ha affermato: "Io in banca ho 30mila euro, i politici guadagnano tanto rispetto ai cittadini normali, ma guadagno più o meno quanto guadagnavo quando facevo il sindaco di Firenze". E sempre parlando di denari, Renzi ha chiosato sulla vicenda Banca Etruria: "Certo che abbiamo scontato la vicenda delle 4 banche e in particolare Banca Etruria, ma abbiamo preso il cda e lo abbiamo commissariato, quindi non solo la legge è uguale per tutti ma è strauguale per tutti, anche se siamo passati per chi ha salvato le banche. E chi dice che lo abbiamo fatto per salvare il babbo della Boschi - ha concluso - sappia che noi abbiamo la coscienza pulita in questa vicenda, anzi di più, pulitissima".

Alex Schwazer risponde al telefono "Alcol, microdosi e...": drastico sfogo

Alex Schwazer risponde al telefono. "Alcol, microdosi e...": drastico sfogo



Ormai è tristemente arcinoto: otto anni di squalifica, carriera finita, figurarsi le Olimpiadi. I signori dell'antidoping hanno silurato, calpestato, umiliato Alex Schwazer. Lui ha reagito in silenzio, sfuggendo alla conferenza stampa e rifugiandosi in un bar, da solo, silenzioso. Poi una battutaccia contro i giornalisti e la fuga in macchina lungo le strade di Rio de Janeiro, la città in cui doveva risorgere e dove invece è stato ucciso. Ha fatto passare lunghe ore, Schwazer, prima di parlare. Poi ha risposto al telefono. Lo ha fatto con l'agenzia di stampa Agi, con la quale si è sfogato.

"Se avessi preso microdosi di testosterone non avrei potuto festeggiare, sarei dovuto andare a dormire alle nove di sera e soprattutto non avrei dovuto bere alcolici. I fatti, documentati con testimoni, dimostrano il contrario perché sono ritornato a casa alle 4". Esordisce così il campione, entrando subito nel merito della difesa presentata al Tas di Losanna. "Sono stato io ad insistere a venire qui in Brasile per l’udienza di fronte al Tas. Volevo metterci la faccia per non lasciare nulla di intentato. Sandro (il suo allenatore Sandro Donati, ndr) e anche l’avvocato Brandstaetter mi avevano sconsigliato", ha aggiunto.

Ma tant'è, il Tas ha di fatto distrutto la carriera sportiva dell’altoatesino basandosi sulla presenza di testosterone nelle sue urine e non ha preso in considerazione tutto l’esame dove i legali e i periti di parte avevano dimostrato "l’assoluto profilo antidoping". In occasione della conferenza stampa tenutasi sulla terrazza dell’hotel, alla quale non era presente Schwazer, l’allenatore Sandro Donati ha affermato: "È stata tutta una beffa per umiliare Alex che resterà per sempre il miglior marciatore del mondo anche perché nelle due gare che ha fatto non ha ricevuto alcuna proposta di squalifica. Lo hanno voluto eliminare e ci sono riusciti. Questo è un comportamento persecutorio nei suoi confronti".

L’operazione di redenzione di Schwazer, iniziata il primo aprile del 2015, è complessivamente costata all’atleta circa 50mila euro, spesa che non è stata supportata da alcun sponsor ("Alex si è pagato tutto di tasca sua"). "Apprezziamo che il Tas abbia ordinato la compensazione delle spese processuali perché la Iaaf (federazione mondiale di atletica, ndr) aveva beffardamente chiesto che pagassimo noi tutto il procedimento - ha concluso Donati -. Percorreremo la strada giudiziaria fino in fondo. La Procura di Bolzano si focalizzerà sui controlli antidoping, quella di Roma su altri aspetti altrettanto molto gravi".

L'Intervista chiave - Denis Verdini, Alfano, Stefano Parisi e... Giacomo Portas, l'uomo che può ricattarli

L'intervista chiave - Giacomo Portas, l'uomo che può ricattare Verdini, Alfano, Parisi e Lupi


intervista a cura di Pietro Senaldi


Giacomo Portas

Ma allora è vero che il segreto dei vincenti in politica è vedere le cose prima degli altri?

«Pratico l' umiltà, io vincente non sono. Certo, se si riferisce all' intuizione che ho avuto nel 2005…».

Il Partito dei Moderati…

«Allora era una parolaccia. Si diceva centristi, cespugli, ex diccì. Era il tempo degli estremismi, la sinistra a palle incatenate contro Berlusconi, i camerati di An, la Lega che voleva imbracciare i fucili. Peggio di adesso».

Come le venne l'idea?

«Ero un dirigente d' azienda con piccoli precedenti in politica, assessore nel paese di San Mauro per una lista civica. Con un gruppo di amici di Torino depositammo il simbolo del Partito dei Moderati e l' anno dopo sosteniamo Chiamparino nella corsa a sindaco: subito 4% e due consiglieri».

Subito a sinistra… 

«L'avversario era Buttiglione, persona stimabile ma di Gallipoli».

Come arriva in Parlamento?

«Non eletto, come tutti. Veltroni nel 2008 mi candidò in una buona posizione perché gli interessava avere il simbolo dalla sua in Piemonte».

Anche lei una figurina di Walter?

«Questo non glielo permetto, avevo il mio degno percorso politico alle spalle. Attualmente mi definisco un ospite del Pd, che mi ha candidato due volte, mi ha sempre rispettato e pertanto non lascio».

Giacomo Portas, 57 anni, sardo-piemontese, pressoché sconosciuto al grande pubblico malgrado si aggiri in Parlamento da oltre otto anni, è uno degli uomini più corteggiati da chi invece in Transatlantico ci naviga e vorrebbe continuare a farlo. Merito di quell' invenzione di undici anni fa, la sua mossa del cavallo si può definire visto che è scacchista provetto: il simbolo dei Moderati. «Oggi c' è una corsa a definirsi moderati» si compiace Portas «ma solo io sono l' originale, ho ricevuto molte proposte ma il simbolo non lo mollo, faccio io la selezione».

Ma non era quello umile lei?

«E lo resto. Ma dalle vacanze alla politica, faccio le cose solo con chi mi va a genio. Questa è la mia ultima legislatura con il Pd, dieci anni da ospite possono bastare, poi o il partito decolla su scala nazionale o lascio la politica. Tanto non mancherei a nessuno».

Il coordinamento unitario per il Sì al referendum che ha lanciato con Alfano, Verdini, Zanetti e Tosi è la prova gerale del decollo?

«No, quell' iniziativa è legata solo alla riforma, che reputo giusta perché taglia i parlamentari ed elimina la doppia fiducia per l' approvazione delle leggi. E poi se Renzi perde il referendum sarà il caos: lui si dimette e si va a elezioni ma prima bisognerà fare la legge elettorale, visto che la Consulta boccerà l' Italicum. Già mi immagino le pressioni dell' Europa, lo spread che decolla, le risse in aula».

Facciamo i conti: quanto valgono i Moderati?

«A Torino in giugno abbiamo preso il 6%, contro il 5 della Lega e di Forza Italia. Siamo il terzo partito in città. Ed era un voto politico, altro che balle».

Col 6% non va da nessuna parte.

«Dipende da quale sarà la legge elettorale. E poi i moderati in Italia sono il 30%, abbiamo fatto degli studi».

A parole forse, ma non nelle urne. E poi che cos' è un moderato?

«Un estremista del buon senso. Pragmatismo è la nostra parola d' ordine, niente urlatori è il nostro stile, priorità agli interessi delle famiglie, delle imprese e delle persone normali è il nostro manifesto elettorale».

Ma il moderato è di destra o di sinistra?

«Mi sono sempre collocato nel centrosinistra e ci rimango».

Confessi, lei è il solito ex dc?

«Ho votato Dc, poi Liberale».

Facciamo la squadra: a chi dà la patente di moderato? Alfano?

«Moderato ad honorem. È molto più bravo di quanto non sembri».

Peccato sia segretario del Nuovo Centrodestra e che lì vuole tornare… 

«Per ora è al governo con il Pd».

Lupi?

«Moderato».

Ma governa con Maroni in Lombardia: moderato anche lui?

«Moderato leghista, quindi non va bene per me».

Tosi pure era leghista… «Solo per ragioni territoriali, nel cuore non lo è mai stato».

All'iniziativa per il referendum c' era anche Verdini, che sta al governo: moderato anche lui?

«Verdini non sta al governo, dà un appoggio esterno. Denis è simpaticissimo ma ha poco da spartire con me. E poi ha gestito Forza Italia per anni, è lì che deve tornare».

E se bussasse Tremonti?

«Lo stimo moltissimo e condivido molte sue idee in economia ma ha più feeling con la Lega».

Non mi dica che le sta simpatico anche Zanetti?

«Ma quelli di Scelta Civica non sono politici, come non lo era Monti, che era un liquidatore».

Parisi è un moderato?

«Di Parisi vado pazzo. Manager abituato all'azienda, sempre calmo, competente, con una visione».
Peccato che se lo sia preso Berlusconi: sta nel centrodestra… «Ma Berlusconi - che in politica è molto moderato, meno in altre cose della vita e nell'attività di imprenditore - si stanca presto di chi arruola. E poi Parisi era socialista, ha lavorato per il governo Prodi. È così bravo perché ha fatto buona scuola politica».

Proprio ieri ha dichiarato che i moderati li aggrega lui e ha ripetuto che si colloca nel centrodestra. Come la mettiamo?

«Io sto nel centrosinistra, ma non ho Salvini. Parisi torni alle origini».

Ambisce ad allestire una squadra di campioni: con lei capitano?

«Noooo, io do il mio contributo. Ma sono tanto pigro, non potrei mai girare l' Italia come una trottola per fare comizi, non è la mia vita».

E da pedone dei moderati vuole dare scacco matto al re?

«Impossibile, solo ogni 1270 partite un pedone dà scacco matto».

Mi parli di chi la ospita: chi è più moderato tra Renzi e Bersani?

«Sono un vero democristiano e le dico che sono molto amico di Bersani, che reputo una delle migliori persone in Parlamento, e ho ottimi rapporti con Renzi, che ha fatto delle cose importanti, prime fra tutte il Jobs Act e la riforma costituzionale».

La domanda però era un' altra...

«Bersani è moderato come sensibilità e nel suo proverbiale buonsenso. Renzi lo è nella linea politica. Meno nei modi, ma è colpa dell' Italia, che non è avvezza agli ardori giovanilistici e alla dura chiarezza del premier».

Quei due distruggeranno il Pd?

«Quei due devono trovare il modo di andare d' accordo, e il Pd governerà per vent' anni».

A proposito, quando si vota?

«Nel 2018: il referendum si vince».

E con quale legge elettorale?

«Non credo che si voterà con l' Italicum. D' altronde lo stesso Renzi ha detto che non è un dogma».

A quel punto lei si riattacca al carro del Pd con i Moderati nella coalizione di centrosinistra?

«Guardi che io sono sempre stato cercato. La sfida comunque è fare finalmente un partito nazionale, indipendentemente da qualsiasi legge. Altrimenti, ritirarsi».

E se contrariamente a quanto crede la legge elettorale non dovesse cambiare?

«Proveremo a presentarci ugualmente e vedremo chi si unirà a noi e se gli elettori ci premieranno».

La vedo difficile, siamo in un sistema tripolare… 

«Aspettiamo, due anni sono lunghi. Lasciamo governare Raggi e Appendino e vediamo se gli apprezzamenti per M5s resteranno così alti».

Cosa fa, gufa?

«No, da torinese spero che la Appendino governi bene. Devo dire però che almeno finora non sta portando molta fortuna alla città. In poco più di un mese ha perso Salone del Libro ed Exor, la cassaforte Fiat».

I grillini proprio non le vanno?

«Sono moderato. Comunque una cosa in comune con loro ce l' ho. Anche noi moderati abbiamo rinunciato ai contributi pubblici: 250mila euro che abbiamo destinato a un fondo contro la disoccupazione».

Quante truppe ha il Partito dei Moderati oggi in Parlamento?

«Fini ne aveva decine con lui e ciononostante, malgrado si presentasse da presidente della Camera uscente, non è riuscito a farsi eleggere. C' è la strana convinzione che ai passaggi in tv e ai parlamentari che si riescono a mettere insieme in Parlamento, magari con una secessione o strappandoli da altri partiti, corrisponda una forza elettorale direttamente proporzionale. Mi sembra che questa convinzione abbia fatto solo grandi vittime».

D' accordo, ma quanti siete?

«Quattro, ma io in realtà come le ho detto sto nel Pd. Gli altri sono Fornisano, che arriva dall'Italia dei Valori, e i socialisti Di Lello e Di Gioia».

Come sta l' Italia oggi?

«Meglio di tre anni fa».

Perché da noi la crisi non finisce mai?

«Perché abbiamo un debito pubblico mostruoso».
Che Renzi ha aumentato… «Renzi ha tagliato, ma se il Paese non cresce c' è poco da fare».

Come fa a crescere se è massacrato di tasse per coprire il debito?

«Guardi che i guai iniziano negli anni '90, quando le nostre aziende sono state aggredite da tedeschi e francesi, che le hanno comprate a pezzi e noi siamo stati costretti a cederle sotto il ricatto del debito: "volete che vi compriamo il debito? Vendeteci i gioielli", il gioco era questo».

Ricatto anche nel 2011, per far cadere Berlusconi?

«Nel 2011 i bot italiani rendevano il 9%. Come mai Deutsche Bank se ne è liberata dall' oggi al domani per un valore di 7 miliardi? Nessuna azienda lo farebbe senza avere un secondo fine, sono veramente poche quelle che realizzano utili annui del 9%».

La madre si Stasi, dà il suo cellulare "Chiamatemi. Qualcuno sa, ma non..."

"Chiamatemi al 333-253...". L'appello della madre di Stasi: "Qualcuno sa, ma non parla"



"Sono Elisabetta Ligabò. Mio figlio Alberto è in carcere da otto mesi. E se lo meritasse, credetemi, lo sopporterei. Ma io sono certa che lui è innocente e sono anche certa che qualcuno sa la verità ma non la dice. Per questo ho deciso di rompere il silenzio di questi lunghi anni e di rivolgermi direttamente a chi sta custodendo questo terribile segreto: parlate, vi prego”. Inizia così l'appello della madre di Alberto Stasi, in un pezzo pubblicato sul settimanale Giallo. Si parla, ovviamente, dell'omicidio di Chiara Poggi, per il quale Stasi, lo scorso dicembre, è stato condannato in via definitiva a 15 anni di reclusione.

Mio figlio è in carcere e io non ci dormo la notte, perché so che qualcuno sa la verità ma non la dice. La mia non è una speranza: Garlasco (Pavia) è una certezza. Quindi mi rivolgo direttamente a voi, che sapete chi ha tolto la vita a Chiara. Io vi prego: so che avete paura, lo capisco, ma mettetevi una mano sulla coscienza. Alberto ha 33 anni ed è in prigione. Non vi chiedo di mettere a rischio la vostra vita. Non pretendo che siate coraggiosi: ci sono molti modi anonimi per farmi arrivare informazioni e notizie. Per questo voglio darvi una mail e un numero di telefono. La mail è aiutiamoalberto@yahoo.com, il numero è 333.2537691. Scrivetemi, chiamatemi. Non voglio sapere chi siete, voglio solo sapere quello che avete visto. Stando zitti non fate un torto solo a Chiara, che merita giustizia, ma distruggete un’altra persona, mio figlio, che non è ancora morto, ma che non ha più una vita".

Un clamoroso appello, quello di mamma Elisabetta, che mette a disposizione addirittura il suo numero di cellulare e dei suoi riferimenti privati, convinto che qualcuno possa sapere cosa è successo a Chiara Poggi. "Nemmeno i giudici sono riusciti a dire per quale motivo mio figlio avrebbe ucciso Chiara. Lui la chiamava 'amorino', stavano per andare qualche giorno in vacanza assieme, la sera prima avevano mangiato la pizza, erano giorni felici, lei lo incoraggiava, lui stava per laurearsi, aveva il futuro a portata di mano e nessun motivo per giocarsi la vita. E poi io lo conosco da trent’anni, mio figlio: un assassino dagli occhi di ghiaccio? Ma per carità. Se lo pensassi, se avessi anche solo un minimo dubbio, ve lo giuro, lo amerei lo stesso e allo stesso modo e non lo abbandonerei mai e poi mai, ma lo guarderei scontare la sua pena, in silenzio, perché sarebbe giusto così", conclude il suo disperato appello.