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mercoledì 30 marzo 2016

MATTEO RENZI UMILIATO "Non è in grado di capire": la bastonata della Gabanelli

Gabanelli umilia Renzi: "Non è in grado di capire la differenza tra gufi e cani da guardia"



Milena Gabanelli a tutto campo. In un'intervista al Fatto Quotidiano parla d'informazione, partendo dalla fusione La Stampa-Repubblica: "Immagino che ci siano delle ragioni economiche", premette. E dopo aver affermato che per i lettori non cambia nulla, aggiunge che "per quel che riguarda la concorrenza direi che quel che manca non sono i giornali, ma gli editori puri e anche un po' illuminati". Dunque parla della difficoltà del suo lavoro, e sottolinea: "Non c'è dubbio che l'abitudine di portarti in tribunale a prescindere ha un effetto intimidatorio sul nostro lavoro e quindi sulla libertà d'informazione".

Dunque si passa alla politica, e quando le si ricorda che i giornalisti che un tempo erano montiani oggi sono renziani, lady Report spiega: "La ragione è sempre la stessa. Conformarsi è più facile e non ti fai dei nemici". E ancora: "Quando si insedia un nuovo governo penso sia giusto fidarsi della sua politica economica, e credere che ci porterà fuori dalla palude. Dopodiché, strada facendo, il giornalista deve monitorare i fatti in modo pragmatico. Troppo spesso invece lo fa in modo ideologico o si limita a riportare gli slogan". Infine, la frecciata a Matteo Renzi. Si ricorda alla Gabanelli l'ormai celeberrima classifica dei titoli peggiori, e quando le chiedono cosa ne pensa risponde così: "Che i gufi esistono, ma spesso (Renzi, ndr) li confonde con i cani da guardia".

L'asse tra camorra e jihadisti Per cosa lavorano fianco a fianco

A Napoli camorra e terroristi uniti nel business dei documenti falsi


di Peppe Rinaldi 


Non esiste «agenzia» di contraffazione di documenti più grande della Campania: e Napoli è la sua capitale. Lo sanno tutti, lo dicono tutti, lo confermano spesso i fatti quando incrociano la grande cronaca. «Allah si è fermato a Eboli» titolava Libero sabato scorso: tempo dodici ore dall' uscita in edicola e finiva in manette proprio nell' area descritta dal reportage, Djamal Eddine Ouali, algerino quarantenne, inseguito da gennaio da un mandato di cattura internazionale chiesto dalla polizia belga per i fatti di Parigi. Membro di una cellula terroristica, il suo compito sarebbe stato fornire passaporti agli attentatori del Bataclan, a loro volta collegati con quelli di Bruxelles. Un ruolo centrale, determinante. Ouali non ha aperto bocca dinanzi ai giudici che ne hanno convalidato il fermo in attesa dell' estradizione (si deciderà il primo aprile) ma a chi l' ha avvicinato nel carcere di Salerno-Fuorni pare abbia detto di non sapere nulla né di terrorismo né di documenti contraffatti. Si vedrà.

Certo è, oggi, che la saldatura tra due grandi «tradizioni», quella indigena, ultra-specializzata da sempre nella contraffazione, e quella dell' estremismo islamico, rende tutto più preoccupante. Anche perché i casi venuti finora alla luce parlano di una qualità e di un grado di perfezione tecnologica raggiunti dai falsari nella produzione dei documenti spesso sconosciuti altrove, anche nel circuito legale.

Non molto tempo fa, in città, nel cuore della Napoli islamica (l' area della stazione centrale, Piazza Mercato, corso Arnaldo Lucci) di fronte al centro di preghiera più grande, è finito in manette un marocchino, Brahim Chougred, titolare di una stamperia clandestina, capace di riprodurre permessi di soggiorno, passaporti, carte d' identità, patenti, carte di circolazione, certificati di proprietà del Pra, contratti di assicurazioni automobilistiche e tanto altro ancora: il tutto in duplice nazionalità, sia marocchina che italiana, a seconda delle esigenze. Decine di altri episodi scoperti nel corso degli anni qua è là sul territorio della Campania, in particolare tra Napoli, Salerno e Caserta, danno il segno di un' inedita alleanza con il crimine locale, almeno per quanto riguarda le forniture di documenti, materia vitale per un terrorista. Girano soldi e i soldi non hanno odore, neppure per la «cattolicissima» camorra. Altro discorso è poi la convivenza con le popolazioni locali, ambito nel quale i clan, a struttura prevalentemente «popolare» riescono a far da contraltare, contenendo fenomeni degenerativi grazie ad un certo controllo mantenuto sul territorio. Se chiedi a un abitante di Posillipo o del Vomero ti dirà che l' integrazione è un valore, che non ci sono problemi con le comunità musulmane, eccetera. Farsi un giro nel cuore della Moleenbek ai piedi del centro storico di Napoli partendo dal quadrilatero di Piazza Garibaldi, racconta invece tutta un' altra storia. A Porta Nolana, non più tardi di otto mesi fa, una napoletana del quartiere fu strattonata da un immigrato tunisino, ovviamente abusivo, infastidito dall' urto che la donna aveva involontariamente dato alla sua merce.

Ne scaturì il finimondo, con i napoletani da una parte e gli immigrati dall' altra a lanciarsi contro di tutto, scene in scala quasi da «Quattro Giornate di Napoli». Una situazione ancora irrisolta nella metropoli più «islam-friendly» d' Italia, con un sindaco ammaliato dall' epica terzomondista, sostenitore di onlus simpatizzanti di Hamas (storica la colletta fatta in consiglio comunale per Freedom Flotilla contro l' embargo di Gaza), dove concedere la cittadinanza onoraria al presidente palestinese Abu Mazen è stata presentata come una conquista di civiltà.

Ma la storia incredibile di Napoli, alla luce dei fatti di questi giorni, è chiedersi che fine abbiano fatto Soufienne Blel e sette suoi amici, tutti tunisini e tutti con sede eletta a Napoli, almeno fino a novembre scorso, quando la loro storia è venuta alla luce. Ma chi è Soufienne Blel?

C' è chi lo ha definito il John Nash della jihad perché si tratta di un giovane e brillante tunisino di buona famiglia, laureatosi alla Federico II a pieni voti e in tempi record in matematica. Descritto come una specie di genio, sembra si sia radicalizzato proprio qui, nel cuore di Napolislam, dopo un percorso sulla via della salafismo sunnita integrale avviato pochi anni prima. Con lui altri sei complici di una cellula che chiamava alle armi in favore dell' Isis attraverso la propaganda via social network. Dopo la strage nella redazione di Charlie Hebdo a Parigi, sia lui che i suoi sodali ebbero uno scontro cruento con un «imam» napoletano, reo di esser stato critico nei confronti del blitz terroristico nel settimanale satirico: Blel e i suoi cantavano invece le lodi dei fratelli Kouachi, i martiri che sparavano all' impazzata sui vignettisti francesi inneggiando alla grandezza di Allah. Individuato dai servizi segreti, sottoposto a controllo continuo e dichiarato di pericolosità «Livello 5» (su 10) almeno fino a quel momento, sembra sia stato inghiottito dal nulla, dopo che la sua vicenda era emersa in un' inchiesta di Simone Di Meo per Lettera43.

Nella moschea di via Arnaldo Lucci, immobile ospitato su due livelli, è un andirivieni di fedeli di ogni etnia, in prevalenza maghrebini, molti senegalesi, ivoriani, pakistani. Il venerdì pregano, come pregano anche in altri due centri culturali nelle vicinanze. Scene consuete d' Eurabia, a seconda della prospettiva con cui si guardano le cose. La pagina Facebook della comunità islamica di Napoli non è operativa dal 13 gennaio scorso, l' ultimo post risale alla strage di Istanbul con il comunicato di condanna dell' Ucoii (Unione delle comunità islamiche italiane). Un paio di post prima campeggiava un rigoglioso «Denunciate Libero» per bocca dell' imam locale: si riferiva a questo giornale, ovviamente, per la storia del titolo «Bastardi islamici» successivo alle carneficine di Parigi e che tanto scandalo suscitò al tempo. «Postini del diavolo» - ci definisce Amar Abdallah, l' imam in questione, in un accorato articolo del Mattino postato subito dopo, «perché fomentano l' odio».

Una bella torsione della logica, che spiega meglio di centinaia di articoli, lo squilibro della convivenza. Anche a Napoli.

Il vescovo anti-islam senza censura Occhio: le frasi-terremoto sul Corano

Il vescovo senza censura. Le frasi contro l'islam: il suo giudizio tombale



Non usa mezzi termini il vescovo polacco Tadeusz Pieronek per definire la natura della religione islamica, a pochi giorni dalle stragi di Bruxelles in Belgio e Lahore in Pakistan. Come riporta lafedequotidiana.it, l'ex segretario della Conferenza episcopale polacca ha detto di non poter escludere che possa esistere un piano per cancellare l'identità dell'Europa, collegato al flusso di migranti. Il vescovo si è dichiarato particolarmente scetticco sulla possibilità che i musulmani riescano davvero a integrarsi con gli europei: "L'Occidente da molta parte degli islamici è visto come nemico e questo abbiamo il dovere di considerarlo. Certamente - ha continuato - esistono islamici bravi e non violenti, e con loro dobbiamo dialogare e convivere, ma per tanti di loro eravamo e siamo infedeli da sottomettere".

I moderati - La distinzione per mons. Pieronek tra islamici moderati e fondamentalisti ha poco senso: "Non credo che sia corretto fare la distinzione tra Islam buono e Islam cattivo. L'Islam si basa sul Corano, un testo nel quale la violenza esiste ed è contemplata. Questo non elimina il mio giudizio sul Corano, che è la base dell'Islam, siamo al cospetto di un libro nel quale si predica la sottomissione con la forza degli altri, tra i quali ci sono i cristiani".

L'invasione - Il rischio anche in Europa è che i cristiani diventino minoranza: "Io credo che ci sia un rischio di islamizzazione nel continente europeo. Una sorta di invasione insidiosa da non sottovalutare. Mentre gli islamici pregano cinque volte al giorno e sono costanti nella loro fede, i cristiano, anzi l'Europa, ha smarrito le sue radici e non ha il coraggio di manifestare in pubblico la fede e di testimoniarla nella vita di ogni giorno. La sole vera risposta all'Isla, senza scontri di civilità, è il rafforzamento dell'identità cristiana".

Aereo Egyptair, epilogo da barzelletta Ecco qual'era l'"arma" del dirottatore

Il dirottatore dell'Egyptair aveva addosso solo delle custodie per smartphone



Per l'Egitto un'altra figuraccia. Che peserà ancor di più sull'industria turistica del Paese, che appare sempre più senza controllo. Una diretta durata ore sulle tv di tutto il mondo in cui un aereo della compagnia di bandiera Egyptair veniva tenuto in scacco da un dirottatore con a bordo decine di ostaggi. C'è voluta una mezza giornata per capire che l'uomo, Seif Al-Din Mustafa non era un pericoloso terrorista dell'Isis o di Al Qaeda, ma un disperato mezzo matto. Minacciava di farsi esplodere con la cintura che aveva indosso. Ma dopo la resa s'è scoperto che quell'arma, altro non era che una cintura di custodie per smartphone tenute insieme con fili e cotone. Insomma, roba che può aver portato a bordo senza suscitare sospetti per poi legarsela addosso dopo il decollo. Ma per l'Egitto, quella di oggi resta un'altra giornata nera. Che poteva essere nerissima...

L'ultimo "capolavoro" della Fornero Lo sfregio: chi va in pensione oggi

Fornero, l'ultimo "capolavoro": calciatori e artisti in pensione prima dei minatori


di (S.IAC.)


Ballerini, cantanti e calciatori potranno andare in pensione prima dei minatori, di chi maneggia l’amianto o di chi presta servizio la notte. Proseguono, anche nel 2016, gli effetti paradossali della legge Fornero. Nel provvedimento presentato alla fine del 2011 con le lacrime agli occhi, l’ex ministro del Lavoro aveva individuato una serie di categorie a cui garantire, fino al 2022 uno speciale regime di armonizzazione tra le vecchie e le nuove norme. Si tratta di lavoratori che non rientrano nelle tradizionali attività usuranti, ma che, per la specificità del lavoro svolto, subiscono, secondo il legislatore, gli effetti di un fattore temporale.

Si tratta di alcuni tipologie di lavoratori delle spettacolo, degli sportivi professionisti, dei marittimi e del personale viaggiante addetto ai pubblici servizi di trasporto. Per coloro, in ottemperanza della Fornero, il Dpr 157/2013 ha stabilito regole speciali per l’accesso alla quiescenza. Fino al 31 dicembre 2013 questi lavoratori potevano andare in pensione a 60 anni (55 per le donne). Dal 2014 il requisito è stato fissato, con alcune deroghe, in 5 anni prima dell’età pensionabile del regime generale obbligatorio. Anche le eccezioni alla Fornero hanno subito, nel corso degli ultimi anni, alcuni innalzamenti dell’asticella dovuti alla progressione prevista per tutti i comuni mortali, compresa quella dovuta all’innalzamento dell’aspettativa di vita stabilito dall’Istat. Ma il risultato è che nel 2016 i marittimi addetti al pilotaggio hanno diritto alla pensione di vecchiaia a 61 anni e 7 mesi (60 anni e 7 mesi le donne), i marittimi adibiti al servizio di macchina a 57 anni e 7 mesi, gli autoferrotranvieri a 61 anni e 7 mesi (60 anni e 7 mesi le donne), il gruppo ballo a 46 anni e 7 mesi, gli sportivi professionisti a 53 anni e 7 mesi (50 anni e 7 mesi le donne), il gruppo cantanti, artisti lirici ed orchestrali a 61 anni e 7 mesi (58 anni e 7 mesi le donne), il gruppo attori, conduttori e maestri d’orchestra a 64 anni e 7 mesi (61 anni e 7 mesi le donne). Questi ultimi due gruppi in assenza di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 saranno soggetti alle regole generali.

Lasciando da parte l’impietoso confronto con gli altri lavoratori, che nel 2016 possono andare in pensione solo se hanno raggiunto i 66 anni e 7 mesi (65 anni e 7 mesi le donne del privato) di età, il paragone clamoroso riguarda chi svolge attività fisicamente e usuranti. Malgrado la presenza, anche per questi lavoratori, di un regime speciale, in alcuni casi gli «armonizzati» continuano a godere di una corsia preferenziale. Chi effettua un lavoro faticoso e pesante potrà andare a riposo a 61 anni e 7 mesi, ma solo se è dipendente, Gli autunomi dovranno aspettare fino a 62 anni e 7 mesi. Per chi svolge un’attività notturna esistono diverse fascia. Chi colleziona durante l’anno più di 78 giorni di turni di notte avrà il diritto di lasciare a 61 anni e 7 mesi. Chi ha fatto un po’ meno notti, da 72 a 77 giorni l’anno, dovrà aspettare 62 anni e 7 mesi (63 e 7 mesi gli autonomi). Per chi ha lavorato durante la notte «solo» da 64 a 71 giorni l’asticella si alza a 63 anni e 7 mesi (64 anni e 7 mesi per gli autonomi).

La beffa più grande è poi per i macchinisti delle ferrovie. I loro «colleghi» di tram e autobus vanno tranquillamente a riposo a 61 anni. Per avere lo stesso trattamento chi guida un locomotore (misteriosamente escluso dagli armonizzati) dovrà dimostrare, certificazioni alla mano, di aver viaggiato di notte almeno 78 giorni l’anno. 

MASSACRATI Aumenta la tassa più odiata Quando dovrai pagare 508 €

Il maxirincaro sulla tassa più odiata. Massacrati: quando pagherai 508 €



L'ultimo rapporto della Corte dei conti è impietoso sul futuro delle tasche degli italiani, apparentemente condannati a subire un rincaro del costo della vita, che sia diretto o indiretto. I giudici infatti hanno detto chiaramente che se non verranno tagliate le spese fiscali, l'aumento dell'Iva entro il 2018 sarà inevitabile. In realtà più che un taglio generale, i giudici indicano la necessità del riassetto della base imponibile "redistribuendone la collocazione tra aliquota ordinaria e quelle agevolate". Per il governo c'è poco margine di manovra e come riporta Italia Oggi, già le clausole di salvaguardia del 2016 costeranno a ogni famiglia in media 414 euro nel 2017. Nel 2018 la cifra salirà a 508 euro, considerando l'inflazione all'1,74%.

Dove intervenire - Secondo i giudici contabili le detrazioni in Italia sono fin troppe. Nel 2001 erano 720 e costavano all'erario 254 miliardi di euro. Nel 2016 sono arrivate a 799 per un valore complessivo di 313 miliardi. Dati da record per l'Italia, secondo paese al mondo per erosione della base imponibile, che comporta: "una significativa riduzione dell'are di azione e dei margini di manovra della politica fiscale". Troppi regali da parte del governo quindi, per i giudici ci vuole un maggior impegno nella lotta all'evasione e meno concessioni a chi magari qualche servizio può benissimo pagarselo da solo.

martedì 29 marzo 2016

Casa inagibile, va a vivere in tenda Equitalia lo umilia: cosa gli chiede

Casa inagibile, va a vivere in tenda. Equitalia lo umilia: cosa gli chiede



Un vero paradosso. Ma succede anche questo in Italia. Un signore polacco di Belluno vive da anni in una tenda dato che la sua casa è stata dichiarata inagibile. Andrej Jez, tecnico industriale, musicista da 26 anni in Italia, ha comprato una casa a Ceresera, in provincia di Belluno. Sta ancora pagando il mutuo ma l'abitazione non ha l'allacciamento dell'acqua dunque non è abitabile.

L'uomo ha quindi allestito una tenda di fronte a casa dopo che, per un certo periodo, ha alloggiato nelle case comunali d'emergenza. Il 7 marzo riceve una busta da Equitalia, una raccomandata in cui l'ente riscossione gli chiede i soldi della tassa dei rifiuti, la Tares. Immediata la protesta del signor Jez: "Non abito in quella casa, è inagibile. Per 5 anni sono stato a Triches e ora dormo in tenda", si sfoga sulle pagine del Gazzettino, "Praticamente  a Ceresera non posso avere residenza, né domicilio. Allora perché devo pagare tasse? Da 12 anni non posso ristrutturare l’edificio per mancanza di accesi carrabili, cosa devo fare?".