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domenica 28 febbraio 2016

Belpietro smaschera Napolitano "Vi svelo il suo piano con Renzi"

Maurizio Belpietro: "Napolitano tira i fili pure a Renzi"


di Maurizio Belpietro



Quando il 14 gennaio di un anno fa Giorgio Napolitano firmò la lettera di dimissioni e lasciò il Quirinale, tirai un respiro di sollievo. Finalmente usciva di scena uno dei peggiori presidenti della Repubblica che la storia ci avesse riservato e per giunta quello che più a lungo era riuscito a restare in sella. Con lui sul Colle si arrivò là dove nessun capo dello Stato si era mai spinto, non solo per il doppio mandato, ma anche per una supplenza che di fatto lo aveva trasformato nel monarca di una Repubblica presidenziale. Un sovrano non eletto dal popolo, che pur senza avere alcun mandato degli elettori agiva e si comportava come se lo avesse e come se disponesse di pieni poteri, compresi quelli di fare e disfare governi. Dunque, quando Napolitano lasciò, salutai l’addio festeggiando con un brindisi. Purtroppo mi sbagliavo. E non perché il suo successore si sia rivelato peggio di lui (così non è stato). E nemmeno perché Sergio Mattarella si sia dimostrato l’opposto del predecessore, ossia talmente poco presidenzialista da apparire più simile a un fantasma che a un presidente. No, la ragione per cui mi sbagliavo è che Napolitano pur dimettendosi dall’incarico di fatto non se ne è mai andato.

Altro che presidente emerito: l’ex inquilino del Quirinale è un presidente nel merito. Sì, sul Colle c’è quell’altro, ma in campo resta sempre lui, il nonno della Repubblica, il quale pur avendo mollato la poltrona, si è tenuto stretto tutto il resto, intrighi compresi. È lui che briga, traffica, suggerisce e incoraggia il Parlamento. Legge elettorale, riforma del Senato, Unioni civili. Nonostante non abbia alcun ruolo ufficiale, li esercita tutti per indirizzare le cose secondo il suo volere. Colloqui, interviste, indicazioni: la sua pressione si fa sentire ovunque. Una moral suasion che ai miei occhi è quanto di più immorale e poco democratico ci sia. Che il vecchio comunista non si sia fatto da parte, ritirandosi a vita privata, lo dimostra non tanto il fatto che stazioni perennemente nell’aula del Senato, tanto perennemente da dimenticarsi la tessera per votare inserita anche quando lui non c’è, ma che il suo zampone sia spuntato anche nella polemica che nei giorni scorsi ha visto fronteggiarsi l’attuale presidente del Consiglio con quello passato. Non mi riferisco ovviamente a Enrico Letta, che dopo essere stato defenestrato da Palazzo Chigi ha fatto perdere le proprie tracce. No, il richiamo è a Mario Monti, l’ex bocconiano che proprio Napolitano volle alla guida di un governo tecnico nel novembre del 2011. Il professore con un intervento nell’aula di Palazzo Madama ha bocciato la linea del governo sull’Europa e per farsi capire meglio ha anche scritto una lettera al Corriere della Sera. Matteo Renzi ovviamente non l’ha presa bene. Un po’ perché è allergico a qualsiasi critica, anche la più lieve (non a caso si prepara a tappare la bocca ai pochi programmi tv che non esaltano il verbo renziano) e un po’ perché nell’intervento del senatore a vita ha intravisto la mano dell’ex presidente della Repubblica, il quale sui rapporti con l’Europa e sulle relazioni con i cosiddetti partner ha sempre voluto mettere bocca e soprattutto il naso. La nascita del governo Monti e il siluramento di quello Berlusconi del resto sono opera pacificamente riconosciuta di nonno Giorgio, il quale con Angela Merkel aveva (e ha) buoni rapporti e pure con Francois Hollande.

Del resto, che l’uomo non stia in Senato al solo scopo di godersi il vitalizio ma semmai di godere del potere di condizionamento che ancora esercita, lo si è visto anche ieri, quando Jean Claude Juncker, ossia l’arcinemico di Renzi, prima di incontrare il presidente del Consiglio ha voluto far visita all’ex capo dello Stato. E quando mai si è visto un presidente della Ue in visita ufficiale che si attarda per tre quarti d’ora con uno che in teoria non dovrebbe contare più niente? E non dopo essersi recato a Palazzo Chigi o al Quirinale, ma prima, quasi che servisse quell’appuntamento per dissodare il terreno.

Sta di fatto che dopo aver parlato con Napolitano, Juncker ha visto Matteo Renzi e sono state rose e fiori. Altro che fuochi d’artificio, come aveva promesso il nostro capo del governo. L’incontro si è concluso a tarallucci e vino, con una dichiarazione del nostro presidente del Consiglio che è apparsa come un modo per abbassare le penne. «Il governo è dalla parte delle regole, crede nel rispetto delle regole e fa di tutto per essere all’avanguardia». Poi ha aggiunto: «Condividiamo la linea della commissione sulla flessibilità. Per noi il riferimento è quello che ha scritto la Commissione europea sulla flessibilità, non chiediamo di cambiare».

Ma come? Fino a ieri Renzi minacciava sconquassi se non avesse avuto in cambio la flessibilità di bilancio, e ora fa retromarcia? Stai a vedere che con le sue manovre il presidente a riposo ha messo sull’attenti il presidente (del Consiglio) in carica. In tal caso si capirebbe chi è il burattinaio e chi il burattino.

L'attacco della Meloni alla Boschi Il morso di Giorgia: "Così ci rovina"

Meloni, attacco finale alla Boschi: ecco come rovina gli italiani



"Il Governo Renzi mette in atto una nuova infamia per aiutare le banche ad accanirsi sulla povera gente. Dopo la vergogna del prestito vitalizio ipotecario e delle case in leasing e dopo lo scandalo del decreto salva banchieri e truffa risparmiatori, ora Renzi e la Boschi si inventano un decreto per dare la possibilità alle banche di espropriare la casa a chi salta anche poche rate del mutuo, senza dover nemmeno passare per la sentenza di un giudice". E' furibonda Giorgia Meloni, che sul suo profilo Facebook attacca il governo e in particolare il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, che stanno per cambiare la normativa sui pignoramenti delle case per chi è moroso sul pagamento delle rate del mutuo. In pratica, basterà non aver saldato sette rate anche non consecutive per vedersi portare via l'appartamento dalla banca.

"Come al solito, la porcata a favore delle banche e contro la povera gente è ben nascosta tra le pieghe di un provvedimento complesso e difficile da interpretare, che con freddo cinismo il governo ha definito a tutela del credito". Peccato però, conclude la leader di Fratelli d'Italia, "che non sia a tutela del credito dei normali cittadini, bensì a tutela del credito delle banche e dei poteri forti che hanno piazzato a Palazzo Chigi Renzi e il suo giglio magico e che oggi pretendono la giusta riconoscenza. Fratelli d'Italia si batterà contro questo ennesimo regalo alle banche, come ha sempre fatto".

Sondaggio, numeri choc per Matteo Che brutta fine fanno i suoi candidati

Sondaggio: a Milano e Roma centrodestra a un soffio dal Pd



di Salvatore Dama


Il centrodestra se la può giocare. A Milano e Roma, soprattutto. Dove Stefano Parisi e Guido Bertolaso sembrano entrare in partita per giocarsi il ballottaggio. Altro che pura testimonianza. I sondaggi di Tecnè per TgCom24 indicano una tendenza. Le forchette tra i candidati delle tre coalizioni in ballo - centrodestra, centrosinistra e Movimento 5 Stelle - sono ravvicinate. Si incrociano. Vedono il Pd in vantaggio, ma non in fuga, considerando i mesi che ancora mancano al giorno delle urne.

Prendiamo Milano. Beppe Sala era dato come strafavorito. Invece l’ex commissario dell’Expo, nei sondaggi, non rivela un margine tale da poter considerare già vinta la sfida. Il candidato renziano è stimato tra il 34 e il 37 per cento. Stefano Parisi, il manager scelto dal centrodestra per la corsa a Palazzo Marino, tallona l’avversario al 30-33%. La candidata dei Cinquestelle Patrizia Bedoni è al 14-17 per cento. Secondo lo studio di Tecnè, a penalizzare Sala è il suo predecessore. Una zavorra. Secondo il 59 per cento dei milanesi, infatti, Giuliano Pisapia non è stato un buon sindaco. Insomma a Milano nulla è scontato. Anche perché a tre mesi dal voto è molto alto il numero degli indecisi (il 45%).

Analogo dato spicca a Roma. Nella capitale il disinteresse degli elettori è alimentato anche dalle inchieste giudiziarie e dalla rovinosa fine della giunta Marino. L’indecisione genera equilibrio. In testa ai sondaggi c’è Virginia Raggi con il 22-25 per cento. La candidata dei Cinquestelle è seguita da Roberto Giachetti del Pd (24-27) e da Guido Bertolaso (23-26). Le polemiche di questi giorni all’interno del centrodestra non sembrano aver danneggiato l’ex commissario della Protezione civile, indicato da Silvio Berlusconi per la corsa al Campidoglio e sostenuto con convinzione da Giorgia Meloni. Il problema è Matteo Salvini. La Lega non ritiene Bertolaso il miglior candidato possibile. Oggi e domenica il Carroccio lancia un consultazione molto simile alle primarie, con gazebo dove i cittadini possono espremere la propria preferenza su una lista di possibili candidati alternativi. Eppure l’ex sottosegretario non sembra essere messo così male come dice Salvini. Secondo Termometropolitico.it il candidato più performante è invece Alfio Marchini. Da solo, con la sua lista civica, ha il 12%. Se fosse il candidato unitario del centrodestra andrebbe al ballottaggio con la Raggi. E, sostiene Ipr, avrebbe valide chance di vittoria finale.

Anche a Napoli nessun candidato la spunterà al primo turno. Euromedia Research dà un discreto margine al sindaco uscente Luigi De Magistris su tutti gli altri competitor. Ma è ben al di sotto del 50. Da segnalare il tramonto bassoliniano. Il ritorno dell’ex sindaco partenopeo, in corsa alle primarie del Pd, non scalda più i cuori della sinistra. Diversa la situazione rappresentata dal sondaggi Index per Piazza Pulita. Lettieri è primo con il 27%, seguito da De Magistris e Bassolino, entrambi con il 23.5%, poi c’è il Mister X dei Cinquestelle con il 22%. Il candidato del centrodestra rimane in testa anche se la competizione dovesse essere con Valeria Valente, l’altra candidata in corsa alle primarie del Pd.

Il termometro settimanale dei partiti non segnala picchi particolari. Il Pd veleggia sopra il 30 segnando una piccola crescita rispetto a gennaio. Segue il M5S con il 28 per cento, la Lega con il 14,5 (ma in calo di un punto), Forza Italia al 12,5 e Fratelli d’Italia al 5,5. Entrambi in risalita. Quanto alla fiducia nei leader, c’è da segnalare la performance di Giorgia Meloni (36) e l’exploit di Giovanni Toti. Il presidente della Regione Liguria ha un indice di fiducia pari a 35. Superiore a quello del suo mentore Silvio Berlusconi. Che scende al 29. Giù anche Renzi e Grillo.

Lo scandalo: clienti ricattati per il mutuo C'è una banca nei guai per truffa

Clienti ricattati per il mutuo. La banca nei guai per truffa



La Banca popolare di Vicenza è al centro di tre inchieste, due sono a Prato e Udine dove si indaga, riporta Repubblica, per truffa ed estorsione nei confronti di centinaia di clienti e investitori "obbligati" a comprare le azioni dell'istituto, sotto la minaccia di revoca di fidi o mutui.

In sostanza, i clienti e gli imprenditori che avevano bisogno di chiedere prestiti sono stati costretti ad acquistare, in totale, un miliardo di euro di azioni della banca veneta. Una operazione, dichiara il procuratore capo di Prato Giuseppe Nicolosi, vietata e "condotta in assoluto spregio della buona amministrazione". E sono centinaia i risparmiatori friulani e pratesi (artigiani, piccoli imprenditori, pensionati) che hanno perso tutto dopo aver acquistato le azioni della loro banca, il cui valore è poi crollato, che hanno sporto querela.

Drammatico il caso di un pensionato friulano che ha perso tutti i suoi risparmi, 170mila euro, che erano destinati alle cure della moglie malata di cancro. "Non vorremmo che queste indagini si fermassero all'esecutore materiale (ovvero i dipendenti delle filiali che hanno materialmente processato le sottoscrizioni, ndr) che così diventerebbe il capro espiatorio, lasciando impuniti coloro che realmente hanno implicazioni su scala nazionale", spiega Barbara Puschiassis della Federconsumatori del Friuli. 

sabato 27 febbraio 2016

TRAPPOLA MUTUO Occhio a banche e governo, così possono toglierti la casa

TRAPPOLA MUTUO Occhio a banche e governo, così possono toglierti la casa



Cambieranno le norme sull'esproprio veloce della casa in caso di morosità nel pagamento delle rate del mutuo. A proporre una rivoluzione nei pignoramenti, riporta il Tempo, è il governo con un decreto legislativo sui finanziamenti ipotecari. E' stato infatti trasmesso alla Camera l'atto del governo n. 256 che modifica alcuni punti salienti del testo unico della Finanza. Nel recepire la direttiva europea 2014/17, il provvedimento agevola le vendite forzose degli immobili da parte delle banche cancellando l'articolo 2744 del codice civile, che vieta il cosiddetto "patto commissorio" e cioè "il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore".

Le banche potranno quindi impossessarsi dell'immobile e metterlo in vendita per soddisfare il proprio credito qualora il mutuatario sia in ritardo con il pagamento di 7 rate, anche non consecutive. Il decreto dà anche la possibilità alle banche di vendere gli immobili a qualsiasi prezzo pur di recuperare i propri crediti. 

PIANO DIABOLICO Le mani di Equitalia e Pd sui nostri conti correnti

Le mani nei nostri conti correnti: il piano diabolico di Equitalia e Pd



Contro l'evasione fiscale ci vogliono poteri speciali. Lo sostiene l'amministratore delegato di Equitalia Enrico Maria Ruffini davanti alla commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria. Insomma, i risparmi degli italiani (conti correnti, depositi, azioni, obbligazioni), scrive il Giornale, sono in pericolo.

"Allo scopo di consentire che siano intraprese azioni di recupero puntuali ed efficaci", spiega Ruffini, "sarebbe importante accordare alle società del gruppo la fruibilità, in forma massiva e a cadenze ravvicinate, di informazioni attuali in ordine alla consistenza effettiva dei rapporti che i debitori intrattengono con gli operatori finanziari". In sostanza, se diventasse legge, gli esattori con un clic potrebbero passare subito all'incasso, saltando l'eventuale verifica in contraddittorio (anche giudiziario) con il cittadino interessato. 

Tra il 2000 e il 2015 su 1.058 miliardi di crediti da riscuotere Equitalia ne ha intascati solo 51, il 5 per cento. E ora tira dritto, forte anche di una promessa del Pd, che in Commissione Finanze del Senato, attraverso la relatrice Lucrezia Ricchiuti, aveva fatto: "Restituire al concessionario pubblico efficienza di recupero", garantire "libero accesso a tutte le informazioni finanziarie che riguardano i contribuenti, come i conti bancari italiani e quelli all'estero, la compravendita di auto o di imbarcazioni, i conti titoli".

Gira una voce su Renzi, "Lo abolirà". Altra mancia elettorale (con fregatura)

"Abolirà il bollo auto": la mossa elettorale di Renzi (con fregatura)



Bonus 80 euro, bonus per i 18enni, il concorsone scuola. Ad ogni scadenza elettorale, Matteo Renzi ha sempre preparato un'arma in grado di convincere gli scettici a votare per lui e per il Pd. D'altronde, tra le capacità innegabili del premier va riconosciuta quella di trasformare ogni appuntamento con le urne in un referendum sulla propria persona. E si sa, se quella persona elargirà qualche mancia, qualche elettore si lascerà pur convincere. Ora il voto incombe ancora ma a differenza degli ultimi 2 anni il governo ci arriva con il fiatone, tra Pd spaccato, maggioranza-Frankenstein e provvedimenti non sempre graditi all'elettorato, anche quando rivisti e corretti come nel caso delle unioni civili. Come ricorda Francesco Verderami sul Corriere della Sera, Renzi ha speranze concrete di vittoria solo a Milano, mentre da Napoli a Roma passando per Bologna le prospettive per i suoi candidati sono decisamente complicate. Urge, dunque, un colpo a sorpresa. Secondo il retroscenista del Corsera l'asso nella monica è lì lì da essere calato in tavola: "Nella maggioranza - scrive - circola voce sull'abolizione del bollo auto". Mossa assai gradita a tutti gli italiani possessori di un mezzo. La fregatura? Dietro l'angolo, perché "il conto è da lasciare alle Regioni".