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mercoledì 11 novembre 2015

Google Maps funzionerà senza Internet: Arriva la rivoluzione sul navigatore

Google Maps consultabile anche offline: l'App per Android che funzione anche senza connessione Internet




Da oggi Google Maps permetterà la navigazione passo-passo, la ricerca delle destinazioni e le informazioni utili anche offline. Lo annuncia l'azienda nel suo blog ufficiale, specificando che d'ora in avanti sarà scaricare un'area geografica sullo smartphone e, quando non ci sarà copertura internet, l'app continuerà a funzionare senza interruzioni. Al momento la novità riguarda solamente i dispositivi con sistema operativo Android ma a breve la funzionalità sbarcherà anche su iOS. Per scaricare un'area è sufficiente cercare una città, una regione o una nazione e cliccare poi su download nella relativa scheda, oppure andare su "Aree offline" nel menù di Google Maps e premere il pulsante "+". Una volta scaricata la mappa, nel momento in cui Google Maps rileverà una connettività limitata o assente, passerà automaticamente alla modalità offline, mentre tornerà a quella online quando la connessione verrà ripristinata, così da garantire l'accesso alla versione completa di Maps, che comprende il traffico in tempo reale. Per impostazione predefinita, l'applicazione scaricherà le mappe sul dispositivo solo quando ci sarà connessione a una rete Wi-Fi, in modo da evitare addebiti elevati per il consumo di dati.

"Nel 60% del mondo oggi internet non è disponibile e, anche dove è possibile accedere al web, non è detto che la copertura sia uniforme.  Per la maggior parte della popolazione - scrive la product manager Amanda Bishop - dunque non è ancora possibile, o per lo meno non è semplice, accedere alle informazioni in modo rapido e agevole. Si tratta di un problema enorme, soprattutto quando si visitano luoghi sconosciuti. In questo senso Google Maps sta facendo nuovi passi in avanti con l'obiettivo di aiutare le persone a trovare le indicazioni di cui hanno bisogno per arrivare a destinazione, anche senza connessione internet".

L'intervista scottante "Pagavo in nero i moralisti di sinistra con soldi, tartufi, cene, viaggi e sbronze"

Giuliano Soria, il papà del Premio Grinzane: "Soldi in nero, tartufi, cene , viaggi e sbronze. Così pagavo i moralisti di sinistra"


Intervista a cura di Giacomo Amadori



Giuliano Soria quando parla ama tenere le mani appoggiate dietro la testa. Quasi a stringere i ricordi. Buoni per molti, ma non per tutti. Langarolo doc, 64 anni, a marzo è stato condannato in Appello a 8 anni e tre mesi per la gestione del Premio Grinzane Cavour di cui è stato per quasi un trentennio il dominus assoluto. È accusato di aver sperperato 4 milioni di fondi pubblici. Soldi che lui sostiene di aver in gran parte utilizzato correttamente e in parte dovuto versare nella greppia che ingrassava il caravanserraglio degli habitué del castello. In particolare quella fetta di mondo progressista che camuffa l’ingordigia con pose pensose e sopraccigli corrucciati . E così il “conto” di Cavour ha rimpinzato politici, intellettuali, giornalisti, attori, per lo più girotondini del pensiero debole e della tasca robusta. Oggi Soria è ritornato in pista con mille progetti, dirigendo due collane di libri e riprendendo le sue lezioni di Letteratura spagnola all’Università di Roma Tre. Ma soprattutto ha pronti un romanzo e un pamphlet sulla sua vicenda giudiziaria che dovrebbe uscire dopo la sentenza della Cassazione. Ora con le mani a sorreggere la nuca affronta anche questa intervista.

Soria che cosa sta succedendo nel mondo della cultura torinese? Prima hanno condannato lei e adesso indagano pure sulla conduzione del Salone del libro da parte del presidente Rolando Picchioni, accusato di peculato. 

«A Torino la pentola ha perso il coperchio. Non c’è solo il salone del libro in crisi, ma un sacco di altri enti, dal museo del cinema, alla film commission al teatro stabile. Chiuso il vivaio Fiat che aveva collocato i suoi in mille incarichi, la città è nuda in mano alla solita cricca comunista che blocca tutto, guardando al passato e non al futuro. Usa la cultura per piazzare personaggi scomodi o peggio. Per esempio Picchioni, lo hanno nominato al Salone perché in politica “rompeva”, “sapeva troppo”, “era un rompicoglioni”». 

In appello ha ottenuto un’importante riduzione della condanna che le aveva inflitto il tribunale e ora è in attesa della Cassazione. Nel frattempo sta preparando un pepatissimo pamphlet su chi si è rimpinguato grazie al premio Grinzane. 

«Sì, ma sarà anche un libro-denuncia sul linciaggio morale che ho subìto. Pensate che un giornale torinese ha dedicato una pagina intera a mia madre inventandosi che era stata in carcere. Sono stati querelati ed hanno pagato fior di quattrini! Per fortuna mia mamma non si è persa d’animo e anzi, a 90 anni suonati, ha inaugurato un blog di cucina e ha scritto il suo romanzo d’esordio, intitolato La littorina di Nosserio».  

Alcuni suoi stretti collaboratori sostengono che il suo pamphlet contenga nomi eccellenti. Dicono che varie pagine siano dedicate a importanti magistrati… 

«Dicono il vero, del resto basta andare a controllare i verbali di approvazione dei bilanci del Grinzane per trovare personaggi interessanti. Comunque su questi argomenti ho l’assoluto divieto da parte del mio difensore Luca Gastini a proferire anche una sola parola. Si aspetta un grande risultato dalla Cassazione e non vuole che qualche mia uscita possa interferire negativamente. Ma questo mi sento di dirlo comunque: pensate che avrei chiesto a un autorevolissimo magistrato torinese di far parte del consiglio del premio se avessi avuto qualcosa da nascondere nei conti? In ogni caso nel mio libro denuncia non parlerò solo di giudici».  

Non ha paura delle querele? 

«Se vuole saperlo io ho accusato decine di persone del mondo della politica e dello spettacolo, ma nessuno, dico nes-su-no, mi ha querelato. Come mai?». 

Allora passiamo al piatto forte: gli scrocconi della politica, del mondo dell’arte, del giornalismo e del cinema. Da chi cominciamo? 

«Dai giornalisti. Ho dovuto pagare in nero un’enormità di servizi direttamente a chi li realizzava. Nella vostra categoria Corrado Augias era ed è il più sfacciato di tutti. Lui lavora solo in nero. Lo sanno tutti. Fa il moralizzatore in pubblico e poi in privato è indecente. Sarà venuto 15-20 volte a presentare il premio e mi diceva se mi paghi in nero mi devi dare 5-7 mila euro, se no il doppio. Me li ha chiesti persino quando abbiamo presentato un suo libro al Grinzane Noir di Orta (Novara ndr)». 

Sono accuse gravi. Mi vuole dire che neppure Augias l’ha denunciata? 

«Assolutamente no. E su di lui non ho finito. Veniva spessissimo a Parigi a pranzo da me con la moglie e mi diceva sempre: “Bisogna che una volta ti inviti io”. Ebbene una sera lo ha fatto, nella sua casa in Montparnasse. L’appartamento era molto piccolo ed erano attesi otto invitati. Allora io gli chiesi: “Ma dove ci metti?”. Lui mi guardò e disse: “Hai ragione, allora andiamo al ristorante”. Scelse il prestigioso La Coupole, a tavola eravamo tre uomini e cinque donne. Alla fine sentenziò che il conto andava diviso tra i soli cavalieri. In pratica mi ha fatto offrire a due sue ospiti la cena che si sarebbe dovuta tenere a casa sua». 

Veniamo alla politica. Lei ha raccontato di aver elargito all’attuale governatore del Piemonte Sergio Chiamparino un sostanzioso finanziamento in nero.  

«Confermo di avergli consegnato un bel gruzzolo in contanti: 20.000 euro glieli ho dati in un bar in piazza Vittorio a Torino e ho i testimoni. Glieli ho messi in una busta nascosta dentro a un giornale. Lui era imbarazzato dalla presenza della scorta, ma ha preso la busta. Eccome se l’ha presa! Altri 5.000 glieli ho portati in casa dell’ex assessore alla Cultura Fiorenzo Alfieri, uno che mi scroccava spesso casa a Parigi e che faceva il ”raccoglitore” dei fondi pro Chiamparino». 

Si prende la responsabilità di quel che dice? 

«Certo che sì». 

Una delle ospiti più assidue della sua corte è stata Mercedes Bresso, l’ex governatrice del Piemonte. Lei nella sua memoria difensiva ha scritto che aveva imposto il marito Claude Raffestin in tutti i viaggi e persino dentro a una giuria. Ha pure detto che «Bresso esigeva che si invitassero i suoi amici a spese nostre».  

«La Bresso ha avuto molto dal Grinzane, soprattutto in termini d’immagine. Poi sul piano personale anche una grandiosa festa per il suo compleanno nel teatro d’opera dell’ex ambasciata prussiana a San Pietroburgo, dove mi aveva chiesto di organizzare un’edizione del premio. Fu un ricevimento per duecento ospiti, da vera zarina! Anche il marito ci deve molto. In alcune occasioni hanno utilizzato gli eventi del Grinzane per ritagliarsi i loro personali vantaggi».  

Lei asserisce di essere intervenuto per far pubblicare il noir della Bresso Il profilo del tartufo? 

«Certo. Era una cosa che non stava in piedi da sola. Io me ne occupai pagando di tasca mia anche un pesante lavoro di editing. Quando uscì, la signora nelle prime pagine si sperticava in lodi nei miei confronti. Poi, dopo che mi indagarono, fece fare in fretta e furia una nuova edizione. È tutta da ridere!». 

A proposito di tartufi, è vero che gli scrocconi del suo seguito ne andavano matti? 

«Il più ghiotto era il “compagno” Gianni Oliva, ex assessore regionale del Pd, un gran mangiatore di trifola. Dovevo rifornirlo spesso, ovviamente gratis: pare che il tartufo sia un afrodisiaco e, parola di Oliva, con lui sortiva quell’effetto». 

Nel suo libro nero ci sono altri politici? 

«Sì, per esempio c’è un onorevole romano: era insistente ed insaziabile, in particolare ai tempi in cui era sottosegretario. Lui veniva a prendere i soldi qui nel mio ufficio torinese al primo piano e mi chiedeva di chiudere le tende perché non ci vedessero dal palazzo di fronte. Avrà ritirato 30-40 mila euro e gli amici della sua corrente, che conosco personalmente, sospettavano che non li avesse portati al partito, ma se li fosse tenuti per sé». 

Non ha elargito solo buste, ma anche lussuosi soggiorni. Ci indichi qualche bon vivant a spese dei contribuenti… 

«A parte i nomi che ho già fatto e che sono quindi noti c’è un famoso storico dell’arte, Salvatore Settis». 

Settis? Ma è appena stato adottato dal blog del Movimento5stelle. Sarà un brutto colpo per gli attivisti… 

«Su Settis posso dire che ha fatto modificare lo Statuto della Scuola Normale di Pisa pur di essere rieletto la terza volta direttore. Giudicate voi!».  
Ha detto di aver ricompensato in nero star come Stefania Sandrelli, Isabella Ferrari, Charlotte 

Rampling, Michele Placido, Giancarlo Giannini, Franco Nero, Vincenzo Cerami. Chi era il più avido?  

«Il più ingordo era Giannini. Finita la cerimonia voleva essere pagato subito, ovviamente cash. Mi ricordo che una volta mi chiese insistentemente i soldi in un corridoio, altrimenti non sarebbe entrato nella sala dove si teneva la cena di gala. L’ho dovuto saldare sull’unghia, credo nell’anticamera di un bagno. Cose da matti. In realtà pochi attori italiani e stranieri sono immuni dal sistema del nero. Pensi che ho dovuto retribuire in contanti Eleonora Giorgi persino per farla venire alla festa della Vendemmia nell’ottobre del 2008…». 

Sono affermazioni gravi... 

«Me ne assumo la responsabilità». 

Ha scritto che il grande romanziere statunitense Philippe Roth è costato 30.000 euro in forma non ufficiale. Ci spieghi meglio. 

«Quando premiavamo uno scrittore all’estero, lo facevamo cash e senza fattura. L’ho rimunerato personalmente all’Italian Academy della Columbia university. Ricordo che era irritato perché i giornalisti italiani non parlavano in inglese e nemmeno il direttore editoriale dell’Einaudi».  

Chi altro è stato pagato sottobanco? 

«Quasi tutti. Da José Saramago a Osvaldo Soriano, da Paulo Coelho, ad Adolfo Bioy Casares a Sepulveda. Non è andata diversamente con i cubani. Pensi che Tahar Ben Jelloun, da presidente della giuria, mi disse che non voleva la ricevuta, ma essere liquidato in contanti. Una cosa impossibile per i giurati, che venivano ricompensati in modo ufficiale. Ben Jelloun ha un rapporto particolare con il denaro. Ricordo che voleva divorziare dalla moglie e quando scoprì quanto gli sarebbe costato iniziò a sussurarle “j’e t’aime”. L’ho pure dovuto salvare da una grana giudiziaria, visto che per cupidigia aveva venduto i diritti di un suo libro a due diversi editori». 

Col Grinzane lei ha anticipato diversi premi Nobel, come quello al nigeriano Wole Soyinka.  

«Uno snob. Mi scrisse che non trovava giusto che dei ragazzi di liceo giudicassero uno scrittore del suo livello, visto che era un principe dell’antico popolo Yoruba. C’è da dire che dopo che lo abbiamo premiato alcuni protestarono facendoci notare che l’opera con cui aveva vinto era un rimaneggiamento di quella del leggendario Amos Tutuola, un nomade che trasmette i suoi racconti per via orale». 

Tutuola chi? 

«Amos Tutuola. Si presentò a un appuntamento con me in Africa con la sua tribù e i suoi cammelli, annunciato da una nuvola di polvere. Quando lo invitammo in Italia, si fermava per strada ad abbracciare i copertoni delle ruote».  

Come sono questi premi Nobel visti da vicino? 

«Umanissimi. Mi ricordo che il polacco Czeslaw Milosz, ormai ottantenne, venne al premio e si ubriacò di Barolo. Gli chiedemmo perché a fine serata si stesse scolando tutto il vino che era rimasto sulla tavola e lui ci spiegò che quello era l’unico modo “to fuck” la giovane e splendida moglie che lo attendeva in stanza. A| contrario, Soynka non aveva certo bisogno dell’alcol per soddisfare le donne, quel monumentale africano era un grande amatore. Almeno così mi assicurò una mia collaboratrice. Con Sepulveda, invece, ricordo tremende ciucche di grappa».  

Ha conosciuto anche il grande Jorge Luis Borges. 

«Parlavamo di tutto e sul conflitto delle Falkland mi regalò un aforisma fulminante: la definì la guerra tra due calvi per un pettine. Quando gli domandai quale fosse il più grande errore della sua vita mi mise una mano sulla spalla, quasi accarezzandomi, e disse: “Caro Soria, mi sono dimenticato di essere felice”».  

Torniamo al suo j’accuse. Lei sembra particolarmente divertito dalla voracità di Alain Elkann, padre di John, il presidente della Fiat Chrysler Automobiles… 

«È un flagello per le lettere italiane: vacuo e spendaccione con i soldi degli altri. Al grande evento del Grinzane a New York superò sé stesso: pretese la first class per sé e la moglie, allora era Rosi Greco, e l’alloggio all’Hotel Carslyle, un 5 stelle lusso. Mi ricordo quanto mi disse l’avvocato Gianni Agnelli di lui: “Possibile che mia figlia Margherita tra tutti gli ebrei geniali abbia finito per sposare l’unico c…”».  

In questi mesi qualcuno l’ha chiamata per chiederle di essere cancellato dal suo mémoire? 

«Moltissimi mi hanno contattato per essere risparmiati. Esponenti della politica e della Rai. Ma qui non vale il noto proverbio africano: “Dove c’è un desiderio si trova sempre un cammino”. Qui non ci sarà cammino».

È allarme in tavola sull'olio d'oliva: extra-frode, i 7 grandi marchi nei guai

Torino, frode sull'olio d'oliva spacciato per extravergine: indagati 7 grandi marchi




L'olio d'oliva spacciato per extravergine da 7 grandi marchi, alcuni recentemente acquisiti da gruppi stranieri. A scoprire il raggiro sono stati i carabinieri del Nas di Torino dopo le verifiche partite a seguito di una segnalazione di una rivista di consumatori alla procura torinese. Secondo le analisi eseguite a campione dai laboratori dell'agenzia delle Dogane e dei Monopoli su oli di note marche, il prodotto non era extravergine come invece pubblicizzato sulla bottiglia. Per questo il pm Raffaele Guariniello ha iscritto nel registro degli indagati una decina di rappresentanti legali di varie aziende per frode in commercio. Il magistrato ha anche informato il ministero delle politiche agricole. Nel mirino sono finite Carapelli, Bertolli, Sasso, Coricelli, Santa Sabina, Prima Donna e Antica Badia.

La denuncia di Coldiretti - A favorire le frodi è certamente il record di importazioni con l'arrivo dall'estero nel 2014 di ben 666mila tonnellate di olio di oliva e sansa, con un aumento del 38% rispetto all'anno precedente. È quanto afferma la Coldiretti nel commentare l'indagine torinese: "Occorre fare al più presto luce per difendere un settore strategico del Made in Italy con l'Italia che - sottolinea la Coldiretti - è il secondo produttore mondiale di olio di oliva dopo la Spagna con circa 250 milioni di piante su 1,2 milioni, con un fatturato del settore è stimato in 2 miliardi di euro con un impiego di manodopera per 50 milioni di giornate lavorative". L'Italia, continua Coldiretti, è però anche "il primo importatore mondiale di oli di oliva che vengono spesso mescolati con quelli nazionali per acquisire, con le immagini in etichetta e sotto la copertura di marchi storici, magari ceduti all'estero, una parvenza di italianità da sfruttare sui mercati nazionali ed esteri. Un comportamento che favorisce le frodi che vanno combattute anche con l'applicazione della disciplina del settore".

Arriva una carognata sulle multe: chi, quanto e perché pagherà di più

I comuni vogliono cancellare lo sconto del 30% per i pagamenti delle multe saldate entro i primi 5 giorni




La possibilità di pagare le multe con il 30% di sconto se saldate entro cinque giorni potrebbe non esistere più. La volontà di cancellare il seppur piccolo incentivo viene dai comuni. L'Associazione dei Sindaci ha proposto in Senato l'abolizione e una serie di misure che ad hoc per incassare più soldi. Lo sconto dei 5 giorni è in vigore solo da due anni ma sembra destinato ad avere vita breve. Secondo quanto dichiarato da sindaci e amministratori delle casse comunali il decreto varato dal governo Letta è stato un flop. Il motivo sarebbe riconducibile all'aumento del gettito complessivo delle multe perché quando i vigili multano un cittadino tutto finisce nel bilancio del Comune. Non ci finisce, cioè, quello che materialmente i comuni incassano, ma il totale teorico che dovrebbero ottenere se tutti pagassero nei tempi previsti. Una somam teorica che senza quel 30% si alzerebbe consentendo di aumentare il bilancio comunale. Come sempre però, se il Senato dovesse approvare la manovra, a rimetterci saranno i cittadini.

DE LUCA INDAGATO Nuova botta delle toghe al Governatore-padrone

Nuovi guai per De Luca: indagato l'ex braccio destro (e forse anche lui)




Carmelo Mastursi, l’ex capo della segreteria di Vincenzo De Luca, risulta indagato nell’ambito di una inchiesta aperta dalla Procura di Roma che coinvolge anche un magistrato del Tribunale di Napoli, Anna Scognamiglio. Iscritto nel registro degli indagati anche il marito del magistrato partenopeo, la stessa che ha firmato il 22 luglio la sentenza di sospensione della sospensiva per il governatore della Campania. Si indaga per rivelazioni di segreto d’ufficio e per corruzione. Nei giorni scorsi la Squadra Mobile di Napoli aveva perquisito gli uffici di Mastursi in regione e la sua abitazione a Salerno sequestrando un telefono cellulare e un computer portatile. Secondo quanto si apprende, gli indagati in questa vicenda, anche se come atto dovuto, sarebbero sette e uno di questi sarebbe proprio il governatore della Campania, Vincenzo De Luca. Il fascicolo è stato aperto da un’intercettazione nella quale il marito del giudice Scognamiglio, parlando con Mastursi, ha chiesto «un favore» spiegando che in cambio avrebbe fatto "intervenire" la moglie su una vicenda che stava a cuore all’ex capo della segreteria del presidente della Giunta campana.

martedì 10 novembre 2015

Il record della "patonza d'autore": venduta per 170 milioni di dollari. Ecco a chi

Il record della "patonza d'autore": venduta per 170 milioni di dollari. Ecco a chi




È stata la seconda asta su un'opera d'arte più cara di sempre quella sul capolavoro "Nu couché" di Amedeo Modigliani, venduto questa notte a New York per 170,4 milioni di dollari, circa 158 milioni di euro. A sborsare la cifra record è stato il musero Long di Shangai dopo nove minuti serratissimi di rilanci. Una cifra incredibile, anche per la stessa casa d'aste Christiés che sperava inizialmente di ricavare al massimo 100 milioni di dollari sull'opera di Modigliani. Finora aveva fatto meglio solo Pablo Picasso con la famosa "Donne di Algeri", battuto all'asta per 179,4 milioni di dollari. Nel club dei 100 milioni ci sono stati anche sculture di Alberto Giacometti, opere di Andy Warhol, Eward Munch e Francis Bacon. L'asta però potrebbe avere effetti notevoli sulla quotazione dell'opera artistica di Modigliani, che nei suoi 35 anni di vita ha prodotto appena un centinaio di opere, mentre di Picasso e Warhol ne esistono centinaia.

L'intervista Rivera: "Io politico sì, calciatore no L'Abatino? Non l'ho mai sopportato"

Gianni Rivera: "Mai stato un calciatore, ho solo giovato a pallone"



Intervista a cura di Giancarlo Perna



Oggi che ha 73 anni...» dico a Gianni Rivera che reagisce all' istante: «Settantadue, non cominciamo a invecchiare la gente!» e aggiunge scherzosamente piccato: «Ho vissuto 17 anni ad Alessandria dove sono nato e ho tirato i primi calci al pallone, 35 a Milano dove ho fatto tutta la carriera di calciatore e dirigente rossonero, da 20 abito a Roma, gli anni della mia attività politica. Facendo le somme viene fuori la mia età». Settantadue, appunto. Un riassunto della sua vita, in stile parabola. Diavolo di un Rivera. Uomo di poche parole e parchi gesti, ma tutti significativi.

Il luogo dell' appuntamento, per cominciare. Simboleggia i due momenti della sua esistenza, lo sportivo e il politico. Siamo nel Circolo del Tennis sotto la collina di Monte Mario, preferito dai parlamentari. Mentre parliamo, seduti in terrazzo con vista sulla terra rossa, Giorgio La Malfa si esibisce in un doppio. Assiduo è pure Giuliano Amato, il più accanito, che davanti alla tv studia i colpi dei vari Federer e cerca di riprodurli sul campo. Gli altri soci sono contenti di salutare Rivera, anche se per discrezione non si avvicinano, e si capisce che è ancora vivissimo il mito del celebre centravanti milanista. L' unico a scambiare due parole è Ciro Cirillo, anima del Circolo, ex prima categoria e maestro di Adriano Panatta. «Se Gianni non avesse fatto il calciatore, sarebbe stato un campione di tennis», sentenzia e spiega: «Come tutti quelli che hanno occhio per la palla». Ossia, se la palla è la tua passione, ne sarai comunque un giocoliere. Lo ignoravo ma vedo che anche Gianni approva con la testa. Ha i capelli candidi, Rivera, ma mossi e ondulati come nelle foto anni '60. È in completo scuro molto distinto e la camicia bianca col colletto slacciato. Nel taschino della giacca ha la cravatta pronta all' uso se si presentassero circostanze più formali.

«Internet le dà più spazio che ad Alcide De Gasperi», dico, avendolo accertato documentandomi per l' intervista. Rivera sorride: «Io sono nell' era di internet che ai tempi di De Gasperi non esisteva. Altrimenti non avrebbe avuto rivali». Saggia e coerente risposta da simpatizzante dc. «Lei ha avuto due vite -gli dico, per sondarlo un po'-, una da sportivo, l' altra da politico. Quest'ultima, meno brillante». «Sono complessivamente soddisfatto della mia vita politica - replica-. Ho fatto quattro legislature, cinque anni da sottosegretario alla Difesa e sono stato deputato Ue. Non volevo le cose a tutti i costi. Quel che mi è capitato ho preso». È pacato e realista anche quando gli chiedo: «Famiglia modesta, studi limitati (terza avviamento, ndr) ma numero uno nella vita. A cosa attribuisce il successo?». «A stimolarmi è stata proprio la modestia della nascita. Stirpe contadina. Papà fu fabbro delle ferrovie per sfuggire alla fatica dei campi. Eravamo però legati alla terra, ai valori veri. Ci si accontentava di ciò che si aveva».

Tra i calciatori dei suoi tempi, lei spiccava per garbo. Era borghese d' istinto?

"I miei  pensavano che i figli dovessero superarli nell' ascesa sociale. Mi fecero studiare. Smisi perché ero già in serie A, pensando: se va male, riprendo. Per fortuna, andò bene. Un solo pentimento: non ho studiato le lingue. Come gli anglosassoni che parlano solo inglese, io parlo solo italiano".

Lei disse: "Mai stato calciatore. Ho solo giocato a pallone". Che intendeva?

"Il calciatore è visto oggi come un protagonista. Ai nostri tempi, andavamo al ristorante dagli amici per avere lo sconto. Oggi, i calciatori sono pagati per andare al ristorante e dargli lustro. Ecco perché non sono un calciatore, nel significato attuale".

Rivera, saldamente sposato da trent' anni con Laura Marconi che gli ha dato due figli, si è sottratto solo a una domanda sulla sua precedente vita privata.

"Ho già dato"

A tratti, mi sembra diffidente. Sbaglio?

"I piemontesi sono naturalmente riservati. Io ho sempre cercato di non occupare lo spazio destinato agli altri" risponde mentre applaude un elegante smash di La Malfa.

Forse per questa reticenza, scambiata per pigrizia e snobismo, i suoi critici le rimproveravano di non correre dietro la palla.

"Se c' era da conquistarla mi davo da fare anche io. Ma avevo compiti diversi dai difensori. Io agivo da calamita con gli avversari diretti: mi stavano sempre attaccati per sorvegliarmi e difficilmente potevano essere pericolosi per la nostra porta".

Di lei è stato detto: il calciatore più amato e più odiato.

"In una città con due squadre, gli avversari ti vedono come fumo negli occhi. Il tifoso controlla prima che la squadra avversa abbia perso, poi se la sua ha vinto".

Quale dei suoi soprannomi -Signorino, Abatino, Golden boy- la rappresenta meglio?

"I meno simpatici erano i diminutivi. Comunque, non ci badavo. Sapevo da me quando giocavo bene e quanto valevo".

Si scontrava con arbitri e cronisti sportivi.

"Ho contestato gli arbitri quando era evidente che qualcosa non funzionava. Ero capitano e, visto che la società taceva, parlavo io. Con i giornalisti reagivo se, invece di parlare del gioco, toccavano sensibilità personali".

Suo rivale per antonomasia fu Sandro Mazzola. Che prova per lui oggi che siete entrambi ultrasettantenni?

"Anche da avversari -capitani delle due squadre cittadine, Inter e Milan- ci siamo stimati. In azzurro abbiamo giocato quasi sempre insieme. Oggi, lui è a Milano, io a Roma e vivendo in ambienti diversi ci si perde".

A me imbarazza tifare per squadre zeppe di stranieri e una Nazionale infarcita di "oriundi". Sbaglio?

"È inevitabile. Ma basterebbe un po' di attenzione da parte delle società per le Giovanili e maggiori controlli sui contratti degli stranieri che sono quelli su cui più si sorvola".

Che senso ha fare tifo nazionalistico quando in campo si parlano tutte le lingue?

"Conta il colore della maglia. Tanto, quando giocano, i calciatori non parlano".

Il calcio l' ha fatta ricca come Gigi Buffon?

"Buffon è nato molto dopo di me e non c' è paragone. Io stavo un po' meglio dell' altro Buffon, Lorenzo, altro grande portiere azzurro. Appena ho lasciato io, negli anni '80, le squadre hanno cominciato ad arricchirsi con gli sponsor. Prima la pubblicità era vietata".

La corruzione nel calcio?

"Dove ci sono i soldi, la corruzione è automatica. Il danaro prende il sopravvento su tutto, anche sulla morale. Già il Cristo disse: O vinco io, ho vince Mammona".

È devoto?

"Nel modo giusto, alla maniera di Padre Eligio (prete dei bisognosi, oggi ultra ottantenne, noto negli anni '60 per l' amicizia col golden boy, ndr)".

Cattolico conservatore o progressista?

"Non ragiono con questo metro.
So però che il Cristo era più innovatore dei conservatori di oggi".

Entrò in Parlamento nell' 87 con la sinistra dc. Perché con la Dc e perché con la sinistra?

"Fui introdotto da Giovanni Goria e Bruno Tabacci (entrambi, sinistra dc, ndr), ma ero amico di tutti. Ero per la squadra, come nel calcio. Anche in politica, se non c' è accordo, spariscono i partiti".

Fu sottosegretario alla Difesa di Max D' Alema, l' ex comunista diventato premier. Non le si contorsero le budella?

"Se sei nell' istituzione, ti muovi nella logica istituzionale. Seguivo i ministri sopra di me. Il migliore fu il dc Beniamino Andreatta, primo a dirsi favorevole all' abolizione dell' esercito di leva".

Col Cav, invece, sempre ai ferri corti, fin da quando acquistò il Milan (1986).

"Al contrario. Auspicavo l' arrivo di un tycoon per tirare il Milan dalle secche".

Ma appena arrivò l' arcoriano, lei che era vicepresidente della vecchia società, sbatté la porta.

"Fu Berlusconi a creare le condizioni perché me ne andassi, allontanandomi dalla gestione".

Come accadde?

"Ti fa capire che se non lo consideri il Re Sole, non ti metterà tra i collaboratori. Se gli fai un po' ombra non ti accetta".

Al Berlusca premier non fece sconti.

"Consideravo Berlusconi ineleggibile perché concessionario di reti tv. Il famoso conflitto d' interessi, tuttora vigente. Io rispetto le leggi e per me un ineleggibile non deve stare in Parlamento".

Matteo Renzi?

"Appare troppo. Forse si sente costretto a occupare la scena avendo i nemici in casa. Ma dovrebbe limitarsi".

Spera qualcosa dal suo agitarsi?

"Una guerra totale alla burocrazia e una netta diminuzione del peso fiscale".

Non è un parlare da centrosinistra...

"Sono del centrosinistra che ragiona. Quello a favore della gente e non solo dell' istituzione".

Dopo 72 anni, che opinione ha di sé?

"Soddisfacente. Poteva andare meglio se fossi stato più politico. Ma se l' ho fatto di mestiere, non lo sono per vocazione».