Cassazione, se la banca chiede il recesso di un mutuo la tassa aumenta del 1600%
Una sentenza della Cassazione del 6 febbraio scorso (la n. 2188) ha sorprendentemente sovvertito le regole e la prassi finora applicate per il calcolo delle imposte sui mutui in caso di recesso. I giudici hanno stabilito che l'imposta sostitutiva dello 0,25% sul capitale erogato non è applicabile al contratto di mutuo nel quale è prevista la possibilità per la banca o la finanziaria che ha emesso il mutuo di recedere per giustificato motivo. La clausola, riporta il Sole 24 ore, è presente con varie sfaccettature in qualsiasi contratto di questo genere e porta ad una vera e propria mazzata per chi ha ricevuto il finanziamento. Il mutuo infatti dovrà essere tassato con l'imposizione ordinaria, cioè con un'aliquota del 2% sull'importo garantito, pari al 1600% in più. La decisione della Cassazione rappresenta un velato disincentivo alla finanziabilità delle imprese e va in controtendenza anche con la decisione dell'Agenzia delle entrate che aveva ritenuto di non voler più riscuotere queste imposte (risoluzione n.121/2011).
L'abbaglio - Il quotidiano di Confindustria sospetta che la Cassazione abbia confuso la clausola di recesso ad nutum, quindi completamente discrezionale, con quella per giustificato motivo. Finora tutte le regole vigenti, e la prassi consolidata negli istituti eroganti, prevedevano che in caso di recesso ad nutum, il mutuo poteva essere recesso in qualsiasi momento: se era la banca a chiedere di interrompere il rapporto, poteva chiedere al cliente l'immediato rientro del finanziamento. A parti inverse, era il soggetto finanziato a poter restituire quando voleva il capitale ricevuto con gli interessi. I giudici sarebbero stati vittime di una svista, perché nella stessa sentenza sono citati dei precedenti che fanno chiaro riferimento ai casi di recesso ad nutum. Rimane per ora la situazione incredibile dell'imposizione al Fisco italiano di riscuotere crediti che la stessa Agenzia delle entrate non ritiene di dover riscuotere, in barba a chi viene ad investire in Italia che spera di sapere da subito a quali costi di natura fiscale deve andare incontro per pianificare i propri investimenti.