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martedì 7 aprile 2015

Alberghi con piscina e agriturismi Ecco dove mettiamo i clandestini

Clandestini, ecco dove li ospitiamo

di Matteo Pandini 



Il governo italiano spende circa 35 euro al giorno per ogni profugo. La cifra finisce solo in minima parte agli stranieri (meno di tre euro al dì) mentre il resto è destinato a chi si occupa della loro accoglienza. Solitamente, si tratta di cooperative specializzate o albergatori. L’esecutivo, il ministro dell’Interno Angelino Alfano in testa, giudica  questa politica un esempio di civiltà e di doverosa accoglienza per chi sbarca nel nostro Paese scappando dalla fame o dalla guerra. Di ben altro avviso alcuni partiti, su tutti la Lega Nord di Matteo Salvini, che parlano apertamente di spreco e di discriminazione verso gli italiani indigenti. È un dibattito che si trascina ormai da alcuni mesi, e con la bella stagione è lecito immaginare che gli arrivi sulle coste meridionali possano moltiplicarsi. Nelle ultime ore, per esempio, è stata segnalata una partenza di circa 1.500 persone dalla Libia a bordo di imbarcazioni fatiscenti, dalle quali sono subito partite richieste di aiuto. In queste pagine Libero ha raccolto solo qualche esempio fotografico delle strutture che, in tutta Italia, ospitano i profughi: ci sono alberghi, alcuni dei quali di categorie più che dignitose, alcuni edifici comunali che erano destinati agli anziani, bed and breakfast, ostelli. Va ricordato che ai profughi vanno garantiti colazione, pranzo e cena. Beni di prima necessità per l’igiene personale, dal sapone al rasoio. Poi schede telefoniche e lenzuola pulite. 

Telefoni e l'incubo del cambio gestore: tutti i consigli per evitare fregature

Telefoni, come cambiare operatore telefonico senza dover pagare costi inutili





Ci sono legami che rischiano di essere soffocanti. Mentre in Parlamento si discute di accelerare i tempi per il divorzio per liberarsi da un matrimonio che non funziona, resta ancora complicato riuscire a liberarsi dell'operatore telefonico che in un momento di debolezza ci ha ammaliati con offerte imperdibili, ma che si sono presto rivelate poco convenienti, se non addirittura truffaldine. Il primo allarme sta arrivando in questi giorni a milioni di utenti. Telecom sta avvertendo che dal 1 maggio cambia nome e tariffe, chi c'è c'è: si chiamerà solo Tim, la bolletta sarà mensile e non avrà il più canone, ma secondo gli esperti aumenterà di 10 euro al mese.

Tempi - Sono quasi 5 mila i reclami che arrivano alla sola sede nazionale dell'Unione nazionale consumatori a proposito di compagnie telefoniche avvinghiate ai proprio clienti. Nel caso di telefono fisso, le regole dell'Agcom impongono 10 giorni lavorativi per il passaggio da un operatore all'altro. Ma le aziende se ne fregano delle eventuali sanzioni, secondo il Fatto quotidiano, prolungano i tempi insistendo con offerte e presunti problemi tecnici finché il cliente, preso per sfinimento, non rinuncia al cambio.

Doppia fattura - Il decreto Bersani del 2007 aveva annullato ogni costo a carico del cliente che vuole cambiare fornitore, ma le compagnie riescono a infilare una tassa per la separazione che può arrivare anche a 100 euro. E peggio succede se non si leggono bene le clausole rescissorie dei contratti, perché succede non di rado di ritrovarsi a pagare due fatture a bimestre: quella del nuovo operatore scelto e quella del vecchio che ancora reclama denaro per servizi di cui non si usufruisce più.

Cellulari - Va meglio se si vuole cambiare operatore sul proprio telenino, i tempi di solito non superano le 48 ore. Ma gli i problemi nascono quando si vuole rescindere un contratto. Bisogna assicurarsi che l'azienda mollata abbia ricevuto chiaramente la nostra comunicazione, altrimenti continuerà ad inseguirci - anche prelevando automaticamente dal conto, se abbiamo attivato la domiciliazione - chiedendo qualche centinaio di euro a volta.

Allarme dichiarazione dei redditi: perché ci costerà più che nel 2014

Fisco, Cgia Mestre: "730 precompilato più costoso per 10 milioni di contribuenti"





Il 730 precompilato sarà più complicato e anche più costoso. L'allarme arriva dalla Cgia di Mestre, secondo cui saranno 10 milioni i contribuenti "obbligati" a ricorrere all'aiuto di un Caf o di un commercialista per presentare la dichiarazione dei redditi. "Nonostante le promesse fatte nei mesi scorsi da autorevoli esponenti del Governo, per la stragrande maggioranza dei contribuenti italiani il modello 730 costerà di più rispetto all'anno scorso", spiega il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi. Nei modelli precompilati da scaricare online, infatti, non si potranno inserire detrazioni e deduzioni, a cominciare da quelle per le spese mediche. Occorrerà dunque integrare il 730 precompilato e secondo la Cgia saranno chiamati a farlo 14.300.000 contribuenti, il 71% dei 20 milioni complessivi. "A nostro avviso, almeno i 2/3 dei contribuenti, pari in termini assoluti a circa 10 milioni, saranno costretti a ricorrere ad un intermediario fiscale - spiega Bortolussi -. Sarà molto difficile che un pensionato o una persona con poca dimestichezza con il computer possa procedere autonomamente: nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, ricorrerà ad un Caf o ad un professionista". E proprio per questo pagheranno di più le loro dichiarazioni: da quest'anno, infatti, gli intermediari saranno chiamati a rispondere degli errori nelle dichiarazioni sia per le sanzioni sia per le imposte. Conseguenza: gli studi dei commercialisti hanno dovuto adeguare al rialzo i massimali delle loro assicurazioni, facendone ricadere il peso sui clienti: "I Caf, a seconda della complessità - conclude Bortolussi -, stanno facendo pagare l'elaborazione dei modelli cosiddetti precompilati che, fino all'anno scorso, erano gratuiti".

Aumento Iva, sarà bagno di sangue: quanto si spenderà in più e per cosa

Def, occhio all'aumento dell'Iva: 842 euro di spesa in più a famiglia





Una corsa contro il tempo (e i conti) per scongiurare l'aumento dell'Iva e una stangata da 842 euro a famiglia. Sono le associazioni dei consumatori Adusbef e Federconsumatori a lanciare l'allarme: se il governo non riuscisse ad eliminare dal Def l'attuazione delle clausole di salvaguardia, gli aumenti dell’Iva e delle accise, tra ricadute dirette e indirette, rischiano di comportare un aggravio pesantissimo sugli italiani. 

Cosa crescerà, voce per voce - "Desta forte preoccupazione - denunciano le due associazioni - l'allarme circa la necessità del Governo di reperire le risorse necessarie (circa 10 miliardi) ad evitare l'attuazione delle famigerate clausole di salvaguardia". Tali clausole, calcolano Adusbef e Federconsumatori, "prevedono l'aumento dell'Iva dal 10 al 12% nel 2016, al 13% nel 2017 e dal 22 al 24% nel 2016, al 25% nel 2017 ed al 25,5% nel 2018", con un costo di 176 euro a famiglia nel 2016, di 90 euro nel 2017, cioè 266 euro, cui vanno aggiunti 461 euro per gli aumenti dell’Iva negli anni successivi e 28 euro per l'aumento delle accise sui carburanti. A questa stangata si dovrebbero poi aggiungere altri 87 euro delle ricadute indirette per l'aumento dell'Iva su gas, elettricità, più le accise sui carburanti che incidono su costi di produzione e costi di trasporto. Per un totale a regime, appunto, di 842 euro a famiglia.

"Meno sprechi e più lotta all'evasione" - "Un importo insostenibile - sostengono Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti, i leader delle due associazioni - soprattutto in un momento delicato e difficile come quello che il Paese sta attraversando. Tale aggravio comporterebbe una ulteriore contrazione della domanda interna, con risvolti drammatici per l'intero sistema economico". "Per questo - concludono Trefiletti e Lanutti - è indispensabile che il governo agisca con prontezza e responsabilità, reperendo le risorse attraverso l'eliminazione di sprechi e privilegi, nonché attraverso il potenziamento della lotta all'evasione fiscale e facendo di tutto per evitare nuovi irresponsabili aumenti dell'Iva e delle accise".

Spunta pure la tassa sul cognome: a chi tocca pagarla

Fisco, arriva la tassa sullo stemma di famiglia





Fare cassa con gli stemmi di famiglia si  può. Parola di Paolo Grimoldi, deputato leghista primo (e unico) firmatario di una proposta di legge, unica in materia dalla nascita della Repubblica, per regolare l’araldica privata. L’introito per l’erario verrebbe garantito dal tributo che il singolo cittadino verserebbe allo Stato per registrare lo stemma di famiglia, mettendolo così al sicuro scudi, palle, torri e cavalli rampanti dai malintenzionati. E non si sta parlando di poche decine di loghi legati all’albero genealogico, perchè in Italia ci sono quasi 6mila 300 stemmi familiari. Inoltre, gli esperti sottolineano come il concetto di araldica familiare veda negli stemmi non tanto una rappresentazione grafica del cognome, quanto un segno di riconoscimento personale. Per questo, escludendone la trasmissibilità, lo stemma dovrebbe essere registrato ad ogni passaggio generazionale, con ulteriori vantaggi per il fisco. A gestire la registrazione e la protezione degli stemmi e delle armì familiari "sia di antico uso che di nuova costituzione", dovrebbe essere, secondo la proposta del Carroccio, l’Ufficio del cerimoniale di Stato e per le onorificenze istituito presso la Presidenza del Consiglio. E questo è uno dei punti di forza della proposta Grimoldi perchè l’Ufficio già si occupa dell’Araldica pubblica, come quella che riguarda i Comuni, ed è composto da personale preparato che conosce bene la materia. 

Lo scopo - Gli stemmi registrati andrebbero a formare l’archivio araldico nazionale, con sicuro beneficio per studiosi, cultori e ricercatori di tutto il mondo. Ma soprattutto, l’Araldica non potrà essere più considerata oggetto solo di convegnistica o argomento  salottiero per pochi, ma potrà diventare, anche per i singoli e le famiglie, un atto ufficiale dello Stato italiano. L’intento, insomma, al di là dei concreti benefici economici per le casse erariali, è quello di aprire la strada alla possibilità per tutti i cittadini italiani, ma anche stranieri, di poter registrare uno stemma araldico personale o familiare, come avviene già in molti altri Paesi, dall’Inghilterra alla Spagna, dall’Irlanda al Canada. Inoltre, si fa una netta distinzione tra araldica e diritto nobiliare, evidenziando come uno stemma non possa essere considerato in nessun caso un marchio. Potrebbe essere l’occasione, sottolineano gli esperti in materia, per introdurre nel sistema giuridico italiano il concetto stesso di stemma, oggi assente anche a causa della frequente confusione tra stemma, marchio e cognome, spesso erroneamente sovrapposti.

Le problematiche -  Gli stessi esperti di Araldica, tuttavia, sottolineano come vi siano alcuni aspetti della proposta da approfondire. La mancanza, ad esempio, di indicazioni sulla tutela degli stemmi storici che lascia in via teorica a chiunque la possibilità di registrare a proprio nome lo stemma dei Savoia. Analogamente, la proposta Grimoldi non impedisce ad un terzo di registrare uno stemma abbandonato dai discendenti di chi in precedenze se ne era fregiato. L’Ufficio del cerimoniale di Stato è chiamato ad esaminare le domande di registrazione, ma anche di cancellazione, di uno stemma, tenere il registro e la documentazione relativa alle domande, esaminare i ricorsi. La domanda di registrazione di uno stemma può essere  presentata sia in formato cartaceo sia online da cittadini italiani o stranieri. L’Ufficio ha 30 giorni di tempo per verificare la possibilità di registrazione ed altrettanti per effettuarla. Scaduti i termini, rilascia un diploma in carta pergamenata con la miniatura dello stemma e un certificato di iscrizione nel registro degli stemmi italiani, consultabile anche online. Attenzione, però: chiunque utilizzi uno stemma senza l’autorizzazione scritta di chi lo ha regolarmente registrato è punito con una multa fissata dal governo, chiamato anche a stabilire il quantum della tassa per la registrazione dello stemma.

lunedì 6 aprile 2015

L'Aquila ha i soldi, ma non sa spenderli La città cade a pezzi e aumenta la droga

L'Aquila ha i soldi, ma non sa spenderli e cade a pezzi


di Miska Ruggeri 


Sono ormai passati sei anni dal devastante terremoto (ore 3.32 del 6 aprile 2009, con 309 vittime, oltre 1600 feriti e circa 65mila sfollati) che ha distrutto L’Aquila e il suo circondario. E ci piacerebbe molto poter dire che le cose sono migliorate. Invece, la situazione non è nemmeno identica al drammatico day after. Incredibile dictu, è peggiorata. Il capoluogo abruzzese è sempre più a pezzi. Non per colpa della Natura imprevedibile quanto degli uomini, quelli sì prevedibili e incapaci di risollevare una città in ginocchio. Nella ricostruzione, dopo la fase di emergenza e di assistenza ben gestita dalla Protezione civile, non ha funzionato nulla. E ancora oggi non funziona nulla.

Lasciamo stare, per carità di patria, i vari problemi giudiziari gravitanti attorno a quello che dovrebbe essere considerato in prospettiva il più grande cantiere d’Italia: mazzette, truffe, avvisi di garanzia, arresti, infiltrazioni camorristiche (il clan dei Casalesi...), ditte sospese, scandali vari e tante altre cose che non sono ancora emerse ma ci sono eccome. Se ne occuperà, speriamo con maggiore energia, la procura aquilana. Vediamo piuttosto i disagi maggiori ancora sofferti dai cittadini.

In centro è stato sì finalmente aperto qualche cantiere, ma il 90% degli abitanti non è ancora riuscito a rientrare nelle proprie case o ha preferito aspettare poiché non si può certo stare in una sorta di fortezza Bastiani. Gli unici segni di vita tra la Villa comunale e la Fontana Luminosa (l’asse nord-sud equivalente al cardo medievale, mentre del decumano non si sa niente) sono dati dai locali della movida universitaria (e anche qui si avvertono più le negatività - rumore, sporcizia, risse tra ubriachi - che i fattori positivi). Tutto il resto, durante il giorno, è avvolto in un silenzio spettrale. E le case abbandonate, sempre più in rovina per il gelo e le intemperie, senza più la zona rossa attiva e sorvegliata dai militari, sono in balia dei ladri, con un impressionante aumento di furti. Nessuno passeggia sotto i portici o per i vicoli, si vedono soltanto operai - per la gran parte stranieri - in tuta da lavoro, ogni rapporto umano si svolge nei centri commerciali in periferia come “Il Globo” o “L’Aquilone”, così che quanti non hanno la macchina, i giovani e gli anziani, sono tagliati fuori dalle relazioni sociali. Perché da una città, antica e preziosa, fornita di un grande patrimonio artistico, si è passati a uno squallido arcipelago di periferie. I ragazzi, una volta usciti da scuola, non sanno cosa fare, si sentono in trappola, e così bevono, si drogano e compiono spesso atti vandalici nell’assoluta mancanza di controlli. Gli adulti, da parte loro, sono sfiniti e demotivati, fino al punto di dedidere di andarsene per sempre. 

Inoltre alcune delle 19 new town - quartieri-dormitorio privi di ogni servizio costruiti in tempi record (talvolta da imprese ora fallite: e a chi vai a chiedere i danni?) tutti sparpagliati in un territorio tanto vasto, tra Assergi e Preturo, quanto mal collegato e non in un unico luogo come inizialmente avrebbe preferito il governo Berlusconi - cadono letteralmente a pezzi. C.A.S.E. (Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili: ospitano 10.752 persone) e M.A.P. (Moduli Abitativi Provvisori: ospitano 2.328 persone) presentano infiltrazioni d’acqua, perdite, pavimenti che si scollano, isolatori sismici sotto le piastre che non hanno resistito alle prove di laboratorio... A Cese di Preturo nel settembre scorso è crollato un balcone e quindi ben 800 sono stati messi sotto sequestro con gli inquilini “sigillati” all’interno degli appartamenti. E ora il Comune, interrotte le forme onerose di assistenza alla popolazione, per esempio il contributo di autonoma sistemazione, vorrebbe che la gente si trasferisse proprio negli alloggi (C.A.S.E. e M.A.P.) rimasti vuoti.

La ricostruzione delle decine di frazioni del Comune dell’Aquila, spesso borghi medioevali che hanno fondato la città nel 1294, è ferma, senza risorse né tempistiche. Stimata in 1,6 miliardi di euro, sarebbe dovuta partire in almeno cinque delle frazioni più danneggiate già nel 2013 e invece niente. 
Il crono-programma è già saltato, non per mancanza di soldi, come sottolinea lo stesso ineffabile sindaco Massimo Cialente, ma per i troppi passaggi burocratici e per la carenza del personale che dovrebbe analizzare e approvare i progetti. A proposito di tecnici, quelli assunti con il “concorsone” tanto strombazzato dove sono finiti? Sono insufficienti? Ma prima non lo immaginavano? Purtroppo manca chi dirige, un vero manager e una strategia politica ed economica. Perfino i pagamenti dei S.A.L. (saldo avanzamento lavori) - quindi con soldi presenti in banca - sono fermi da mesi perché manca una banale firma da parte del personale del Comune. 

Ah, dimenticavo. In tutto ciò, la senatrice aquilana Stefania Pezzopane più che ai drammi del post-sisma sembra pensare all’amore e alle comparsate televisive con il suo giovane fidanzato...

Uno sciatore muore mentre fa un selfie Sale ad alta quota, poi il volo di 200 metri

In Trentino un turista tedesco precipita e muore per un selfie. Vicino Bologna una valanga uccide un escursionista





Un turista tedesco di 62 anni ha perso la vita nel pomeriggio di Pasqua a Pampeago, in val di Fiemme, provincia di Trento. Salito con lo skilift a Cima Pala di Santa, mentre scattava una foto ha perso l’equilibrio ed è precipitato per 200 metri. L’allarme è scattato verso le 16 e da Bolzano si è levato in volo l’elisoccorso, con il supporto di una squadra del Soccorso alpino di Nova Levante, ma per l’uomo non c’è stato nulla da fare. L’uomo aveva accompagnato i ragazzi al corso e si era allontanato con la macchina fotografica al collo, dandosi appuntamento per il loro orario di uscita. Subito dopo deve aver deciso di andare a cercare un’inquadratura mozzafiato sul bordo della pista nera, sulla Pala di Santa. Forse un piede in fallo, o un capogiro, quando è scattato l’allarme, come da protocollo, si sono levati gli elicotteri del soccorso alpino, che in poco tempo lo hanno individuato, ormai senza vita, in fondo al crepaccio che corre di fianco alla pista. Un volo di circa duecento metri, che non gli ha lasciato scampo.

Appennino bolognese - Una vittima sulla neve anche nel comprensorio del Corno alle Scale, sull'appennino bolognese. Un escursionista, Cesare Poletti di 49 anni originario di Pistoia, è morto dopo esser stato travolto da una valanga. Con lui c'era un amico, un 50enne di Prato rimasto ferito gravemente e ricoverato ora all'ospedale Maggiore di Bologna. La valanga ha colto di sorpresa i due questa mattina. È stato lo stesso Poletti a lanciare l'allarme al 118, nonostante i due fossero immobilizzati dalla neve. Raggiunti dai soccorsi, gli operatori sanitari li hanno trovati in condizioni già critiche. Poche ore dopo il ricovero Poletti non ce l'ha fatta.

Courmayeur - Uno sciatore, che stava scendendo in fuoripista su un tratto di montagna piuttosto ripido sotto Punta Hellbronner, sul massiccio del Monte Bianco nel Comune di Courmayeur, è stato travolto da una valanga. Sul posto sono intervenuti gli uomini del Soccorso alpino valdostano che hanno salvato lo sciatore. L’uomo sarà portato in ospedale per gli accertamenti del caso ma sarebbe in buone condizioni. Le operazioni di soccorso sono state rese complicate dalle avverse condizioni meteo. Gli uomini del Soccorso alpino valdostano sono saliti con gli impianti e arrivati a piedi sul luogo della valanga. Le operazioni di soccorso non sono ancora concluse.