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mercoledì 21 gennaio 2015

Le cifre da record delle pensioni dei giudici che ci levano la pensione

Corte Costituzionale, quanto prendono di pensione i giudici che ci tolgono la pensione





No al referendum. Un deciso "niet", quello dei Giudici della Corte Costituzionale, che hanno bocciato l'iniziativa promossa dalla Lega Nord per eliminare la riforma Fornero e restituire agli italiani quegli anni di pensione che hanno perso da un giorno all'altro (senza neppure citare il dramma degli esodati). La Consulta, insomma, conferma il furto ai pensionati. E' curioso allora andare a vedere quanto prendono loro, i giudici della Consulta, una volta raggiunta la pensione.

Cifre-monstre - A disposizione ci sono i dati del 2013. Dati che parlano da soli. Per quell'anno la Corte Costituzionale aveva previsto di pagare ai suoi ex giudici e loro superstiti 5,8 milioni di pensione. A quell'epoca c'erano 20 giudici precettori di pensione e 9 superstiti. Impressionante la cifra media, pari a 200mila euro all'anno per ogni singolo pensionato. Cifre che spiegano perché la consulta bocciò il (minimo) taglio alle loro pensioni d'oro proposto dal governo Monti. C'erano poi, ovvio, le spese totali per le pensioni di ex dipendenti e superstiti, pari a 13,5 milioni. In totale, vi erano 120 ex dipendenti e 78 superstiti precettori di pensioni, che avevano diritto ad uno stipendio medio di 68mila euro.

Gli stipendi - Un accenno, infine, anche alle retribuzioni delle toghe della Consulta. La retribuzione lorda del presidente è pari a 549.407 euro annui, mentre quella di un "semplice" giudice è pari a 457.839 euro. Come ricordava lavoce.info, un confronto con ciò che accade negli altri paesi è doveroso: in Gran Bretagna la retribuzione media è pari a 217mila euro, in Canada a 234mila euro, negli Usa, invece, siamo a 173mila euro per il presidente contro i 166mila euro dei giudici.

martedì 20 gennaio 2015

Lo schiaffo dei giudici a Salvini "La legge Fornero non si tocca"

La Corte costituzionale: "No al referendum che cancella la Fornero"





No dei giudici costituzionali al referendum promosso dalla Lega per cancellare la legge Fornero di riforma delle pensioni. Per la Corte è inammissibile. "La Corte costituzionale, nell'odierna camera di consiglio - si legge in una nota di Palazzo della Consulta - ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum relativa all'articolo 24 (Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici) del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo risultante per effetto di modificazioni e integrazioni successive". La sentenza, con le motivazioni della decisione, sarà depositata "entro i termini previsti dalla legge". 

Lo sfogo - Questo referendum era un cavallo di battaglia di Matteo Salvini che ora molto amareggiato commenta a Radio Padania: "Questa Italia mi fa schifo", si sfoga, "questa è una infamata nei confronti di milioni di italiani. È uno Stato di m... che ha dei giornalisti di m..." che non hanno dato risalto all'iniziativa. E tornando sulla bocciatura del referendum ha continuato: "Era l'unico cambiamento vero per la gente, ma questa è stata fottuta. Giornata del ca..., governo del ca... Spero che l'Italia si svegli. In Italia un cavillo lo trovi sempre. E' un furto, una beffa per milioni di italiani che speravano di non dover morire sul lavoro. Il popolo non conta un ca..., se non ti chiami Matteo Renzi non conti nulla". Ora, continua Salvini, "vediamo quali saranno le scuse formali" della Consulta.

L'interessata - Gongola invece Elsa Fornero. Per l'autrice della riforma la Corte Costituzionale "avrà avuto le sue buone ragioni. Ritengo questa decisione positiva per il Paese". E ha aggiunto l'ex ministro del Lavoro: "Ora il Parlamento se vuole esamini la riforma con pacatezza e lungimiranza".

Giubbotti arancioni per gli immigrati Ordinanza clamorosa del sindaco Pd

Giubbotti arancioni per gli immigrati, l'ordinanza del sindaco Partito Democratico 





Gli immigrati di colore che si spostano di sera o di pomeriggio devono indossare un giubbotto catarifrangente. L'ordinanza del sindaco di Flumeri, in provincia di Avellino, Angelo Lanza, del Pd, ha scatenato un putiferio. E se il primo cittadino si difende ("lo faccio per il loro bene", "ci sono troppi incidenti lungo la ex Statale 91"), la Cgil lo accusa di discriminazione e razzismo.

Il provvedimento - Lungo quella strada sorge infatti un centro per immigrati che richiedono asilo. "Non mi ha mai sfiorato l’idea di mettere in atto un provvedimento discriminatorio: l'ordinanza che ho firmato ha il solo obiettivo di evitare il ripetersi di incidenti sempre più frequenti su quella strada, alcuni dei quali anche recentemente hanno fatto registrare tragiche conseguenze" ha spiegato Lanza. L'ordinanza, riporta il Corriere del Mezzogiorno, è stato notificata alla cooperativa locale che assiste gli extracomunitari, tutti giovani provenienti da paesi africani: "Da tempo avevo chiesto alla cooperativa di farsi carico della sicurezza dei nostri ospiti e di quella degli automobilisti, ma le sollecitazioni verbali sono cadute nel vuoto". Per questo è dovuto intervenire.

Non per tutti - Ma il provvedimento - e questo è il punto - è indirizzato solo agli extracomunitari e non agli altri cittadini di Flumeri. Il sindaco Lanza si giustifica: "Non essendo italiani non conoscono il codice della strada che, anche per i miei concittadini, impone una serie di precauzioni, come quella appunto di rendersi visibili agli automobilisti soprattutto se da pedoni percorrono una strada poco illuminata".

Renzi, piano kamikaze: se esplodo io salta pure il Pd

Il piano kamikaze di Renzi: con me faccio esplodere tutto il Pd





E' amareggiato Matteo Renzi, la minoranza del Pd "punta a votare una legge elettorale contro di me e contro il partito. Mi vogliono accoltellare, ma attenzione: devono prendermi. Se sbagliano il bersaglio poi sono loro ad avere un problema". Perché se l'Italicum si ferma o viene stravolto facendo quindi saltare il patto del nazareno allora però "si va a votare. Anche con il Consultellum". Sul tavolo, scrive Repubblica, c'è la minaccia del voto anticipato: "La minoranza organizza un blitz con Salvini, Minzolini, Grillo e Vendola. Questo è il menù del Senato. Incredibile no? Per non votare un accordo con Berlusconi si mettono con quella compagnia? Vallo a spiegare poi alle feste dell'Unità".

E in effetti sarebbe difficile per i dissidenti giustificare la rottura. Tant'è. Oggi i nodi verranno al pettine: se gli emendamenti non passano, la legge va avanti. Intanto Palazzo Chigi ha preparato le contromisure. Il senatore Stefano Esposito ha presentato un emendamento "suggerito" dal premier che sintetizza i fondamenti dell'Italicum 2.0 e annulla le altre proposte di modifica. Lì si misureranno le forze. "Hanno avuto un sacco di roba - ricorda Renzi. Il ballottaggio, il premio alla lista, le preferenze. Se il Pd vince avrà solo il 30 per cento di nominati. E vogliono il Consultellum ossia il proporzionale? Così sono loro a determinare l'inciucio permanente con Berlusconi ". Hanno "24 ore di tempo per chiarirsi le idee", ricorda il premier. "Io vado avanti e non intendo vivacchiare".

Berlusconi e Alfano, patto Quirinale: "Ecco quale candidato vogliamo..."

Silvio Berlusconi e Angelino Alfano, vertice sul Quirinale: "Un candidato moderato per il centrodestra"





Un "candidato moderato" per il Quirinale. Silvio Berlusconi gioca d'anticipo e incontra in serata Angelino Alfano a Milano per definire una strategia comune in vista della partita del Colle, ormai entrata nel vivo. Contano solo i numeri e il Cav, che non si fida dei renziani quando i giochi si faranno duri la prossima settimana al Parlamento in seduta comune, pensa a una rosa di candidati condivisi con l'ex delfino per sparigliare e costringere Matteo Renzi a scoprire le carte. La mossa, raccontano, sarebbe stata preparata in questi giorni e ufficializzata nel vertice di oggi, che sancisce di fatto la "riconciliazione" tra i due leader, almeno nella battaglia per il Quirinale. "Con Berlusconi abbiamo deciso di unire le forze del Ppe per condividere la scelta di un candidato presidente della Repubblica di area moderata e non del Pd", annuncia Alfano al termine della riunione con l'ex premier in Prefettura e precisa: "Si tratta di una intesa sul metodo", che si tradurrà in un nuovo colloquio "nei prossimi giorni per indicare un nome". 

I "quirinabili" del centrodestra - Forza Italia e Area Popolare, è il ragionamento nel centrodestra, insieme valgono circa 250 grandi elettori e sono determinate a dire la loro per la scelta del successore di Giorgio Napolitano. Se Renzi non scopre il suo nome, allora loro ne presenteranno un altro per costringere il premier a trattare. Già circolano i "quirinabili" di profilo moderato che il presidente di Fi e l'ex segretario del Pdl vaglieranno in questi giorni. Tra questi, Giuliano Amato e Pier Ferdinando Casini. Dalla "rosa" di nomi, probabilmente tre, uscirà quello che meglio potrà garantire tutti: questo è l’obiettivo di Fi e Ncd.

Resa dei conti nel Pd, aria di scissione: ecco i tranelli dei dissidenti a Renzi

Pd, tira aria di scissione. Guerra sull'Italicum, Gotor: "Così non lo votiamo". Matteo Renzi: "Niente ricatti, non siete un partito nel partito"





Prima il salva-Cav, poi il caso Cofferati, infine l'Italicum. Ogni giorno la sinistra del Pd sembra avere a disposizione un'occasione buona per far saltare il banco. In altre parole: fare le scarpe a Matteo Renzi, o comunque metterlo in grave difficoltà. "Non ci svendiamo a Berlusconi", ha tuonato il senatore Miguel Gotor, bersaniano di ferro, durante l'assemblea dei dem a Palazzo Madama. Il tema è quello della legge elettorale: "Berlusconi vuole i capolista bloccati perché tanto, arrivando secondo o terzo, eleggerà deputati solo nominati. Ma questa è una svendita non è una trattativa", è l'accusa di Gotor davanti a Renzi. Logico che, su queste basi, sia molto complicato trovare un'intesa interna. "Senza modifiche l'Italicum non lo votiamo", ha avvertito ancora Gotor a nome della minoranza interna. Renzi, per il momento, resta sulle sue posizioni: "O troviamo un accordo o si va a votare con il Consultellum". La decisione finale, ha confermato il premier, sarà presa "entro mezzogiorno". 

"Non sono sotto ricatto" - "Non siete un partito nel partito", è la risposta brusca di Renzi ai contestatori interni, intorno all'ora di pranzo. Ma Gotor disotterra l'ascia di guerra: "Se non ci saranno novità, in trenta di noi voteranno l'emendamento" sull'Italicum con le proposte della minoranza (preferenze per tutti i candidati nei collegi e riduzione della quota "nominati"). "Critiche ingiuste e ingenerose", ha bollato Renzi le parole di Gotor, ribadendo che il premier cerca "accordi con tutti fino all'ultimo ma non sono sotto ricatto di nessuno". 

Tutti i motivi della frattura - Logico però che la battaglia, potenzialmente devastante, sulla legge elettorale sia il riflesso di una frattura più profonda, che parte dalla vittoria di Renzi alle primarie per la segreteria nell'autunno 2013. Da allora la scalata del baldanzoso Renzi non ha conosciuto freni, sostenuto da spregiudicatezza politica e abile strategia comunicativa. Il trionfo alle Europee di maggio 2014 ha messo a tacere i dissidenti, costringendoli a mettersi il bavaglio. L'autunno caldo, il calo nei sondaggi (l'ultimo, confermato dai dati Ipsos) il fallimento della manovra e delle politiche finanziarie del governo, il pasticcio clamoroso sul decreto fiscale (il "salva-Cav") e il caos delle primarie liguri con Sergio Cofferati che prima denuncia brogli (favorevoli alla renziana Paita) e poi straccia la tessera del Pd, sono le perle di una collana che sta per stracciarsi. Se sarà scissione (magari per seguire proprio Cofferati, "Tsipras italiano" come già definito dai più entusiasti nella sinistra dura e pura, fuori e dentro il Nazareno), si vedrà forse già nelle prossime ore. Di sicuro, se Renzi supererà l'imboscata dell'Italicum, la prossima patata bollente sarà l'elezione del nuovo presidente della Repubblica, come già annunciato minacciosamente da un altro dissidente Doc, Stefano Fassina.

Regioni, tra due mesi il piano choc Addio a Piemonte e... / La mappa

Regioni, tra due mesi parte l'accorpamento





Dite addio alla carta geografica dell'Italia così come la conoscete. Tra due mesi si entrerà nel vivo di una delle riforme più importanti e complesse all'ordine del giorno: quella delle Regioni. Entro sessanta giorni, infatti, il governo riceverà la relazione della Commissione tecnica appena costituita per definire il perimetro della riforma. Nel mirino ci sono regioni del nord e regioni del sud. Se l'idea così com'è stata concepita dai parlamentari Pd Roberto Morassut e Raffaele Ranucci andasse in porto, dovremmo prepararci a dire addio alla cartina dell'Italia così come la conosciamo oggi. Niente più Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria: ecco l'Alpina. Arrivederci Marche, Abruzzo e Molise, nella nuova mappa della Penisola ci sarà un'unica grande macchia con il nome di Adriatica. Di fatto scompariranno 8 regioni. Ne resteranno solo 12. 

La nuova mappa - A Nord, l'unica amministrazione a rimanere inalterata sarebbe la Lombardia. Al suo fianco, oltre all'Alpina, nascerebbe il Triveneto, unione di Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige. Al centro Italia, l'Emilia guadagnerebbe dalle Marche la provincia di Pesaro e accanto alla già citata Adriatica, nascerebbe l'Appenninica, unione di Toscana, Umbria e provincia di Viterbo. Il Lazio scomparirebbe, diventando un unico grande Distretto di Roma Capitale, lasciando le province meridionali alla neonata regione Tirrenica, insieme alla Campania. Sempre al Sud, la Puglia guadagnerebbe dalla Basilicata - soppressa - la provincia di Matera, trasformandosi in Levante. Mentre la Calabria. Immutate, infine, Sicilia e Sardegna.