Contratti di solidarietà, per 100mila lavoratori stipendio tagliato
di Antonio Castro
Quasi 100mila lavoratori che hanno accettato il contratto di solidarietà (o che ne firmeranno uno quest’anno), nella busta paga di gennaio 2015 scarteranno il “regalino” del governo Renzi: un taglio ulteriore della retribuzione del 10%. Insomma, porteranno a casa non il 70% dello stipendio (come nel 2014), ma solo il 60%. In sostanza: né con la legge di Stabilità 2015, né con il decreto Milleproroghe il governo ha messo a bilancio le risorse per integrare i tagli di stipendio dei lavoratori che navigano (con ansia) nel mare magno dei contratti di solidarietà. Sarebbero serviti oltre un centinaio di milioni per garantire l’integrazione (al 70%) degli stipendi decurtati. Al ministero del Lavoro, tutti presi dal parto (incompleto) del Jobs Act hanno fatto finta di dimenticarsene. Cosa volete che sia: sempre meglio che starsene a spasso. Il problema è che la decurtazione del 10% si accompagna già con un taglio del 30% dello stipendio. Morale nel 2015 - salvo rinsavimento di Palazzo Chigi - oltre 100mila lavoratori che pagano la crisi in busta paga vedranno sparire l’integrazione al reddito del 10% garantita nel 2014. E non è la prima volta. Nel 2013 l’integrazione al reddito copriva per le aziende (oltre 2mila quelle che l’hanno richiesta e attivata presso il ministero del Lavoro), l’80% dello stipendio perso.
La procedura dei Cds - semplice e meno burocratica della mobilità o della cassintegrazione - prevede che azienda e sindacati si mettano d’accordo per ridurre lo stipendio. Di conseguenza al lavoratore vengono assicurati un certo numero di giornate libere in base alla percentuale di riduzione del compenso. Il lavoratore resta “agganciato” all’azienda, l’impresa ottiene uno sconto sui contributi, e nessuno (almeno per i 48/60 mesi che può durare la Cds), viene licenziato. La solidarietà è tra i lavoratori che accettano tutti di ridursi lo stipendio per evitare licenziamenti. Peccato che dal 2009 ad oggi il ricorso alla solidarietà sia letteralmente esploso. Secondo calcoli del ministero del Lavoro le aziende che hanno attivato la procedura sarebbero oltre 2mila. Però ci sono grandi gruppi (come Telecom che ha messo in Cds oltre 32mila dipendenti). Morale se le statistiche dell’attuario dell’Inps parlano di 31.156 lavoratori in Cds al 31 dicembre 2013, c’è da notare un boom delle richieste. «Nell’ambito degli interventi straordinari», spiega un monitoraggio 2013 realizzato proprio dal dicastero di Poletti, «stanno assumendo sempre maggior rilievo i contratti di solidarietà, come strumento di difesa del livello occupazionale aziendale attuato attraverso una riduzione dell’orario di lavoro degli addetti. Ai contratti di solidarietà si applicano, in linea di massima, le disposizioni normative che regolano le integrazioni salariali straordinarie. I beneficiari di contratti di solidarietà, espressi in Ula (Unità lavorative anno, ndr), sono in crescita in tutto il periodo 2011-2013; si passa dai 16.710 beneficiari del 2011 a 31.156 del 2013, con variazioni annue del 27,1% nel 2012 e 46,7% nel 2013».
Peccato che il ministero di Poletti - che tanto punta con il Jobs Act proprio sul maggiore utilizzo della Solidarietà invece della costosa (per l’Inps) Cassintegrazione - trascuri il censimento mensile dei lavoratori in Cds. Anzi si preferisce adottare un calcolo Ula che falsa e mischia con altri ammortizzatori il fenomeno crescente della Cds. In soldoni i lavoratori in Solidarietà invece di finire in Cig (a carico dello Stato), si autotassano per conservare la speranza di avere ancora un posto di lavoro. «Nel 2015», chiarisce l’Ufficio Studi Consulenti del Lavoro, «non è stata stanziata in alcun modo la somma di 40 milioni di euro e dunque dal 2015 le aziende che hanno in corso un contratto di solidarietà, oppure stipulino a partire dal 1 gennaio 2015 un contratto simile, avranno una integrazione del 60% e non del 70%». Resta da vedere se si tratti di una dimenticanza o di un intento premeditato per risparmiare. C’è da chiedersi poi se è questo il modello di welfare solidale che ha in mente Renzi. Lavorare meno, per guadagnare meno. Peccato che così, di certo, il Pil non decollerà.