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domenica 11 gennaio 2015

Pansa: "In guerra, deboli e disarmati Ricordate cosa accadde con le Br?"

Giampaolo Pansa: siamo in guerra, ma senza armi per combatterla

di Giampaolo Pansa 



Non ci sono dubbi. Quanto è accaduto in questi giorni a Parigi si ripeterà. Forse in Francia o in un altro paese europeo. E dovunque accada, a cominciare dall’Italia, riscopriremo una verità: non sapremo difenderci e il terrorismo islamico farà di noi quello che vorrà. Dopo daremo la caccia ai killer, forse li uccideremo o si potrà catturarli. Ma intanto il danno sarà fatto. E altri terroristi al servizio del Califfato nero dell’Isis, di Al Qaeda, o di qualche gruppo di tagliagole senza nome, si preparerà a fare di noi le nuove vittime di questa nuova guerra mondiale.

Sono abbastanza anziano per essere vissuto nel ricordo di almeno quattro conflitti armati. Mio padre Ernesto, classe 1898, si era fatto tutta la prima guerra mondiale come soldato del Genio. Un paio di cugini il fascismo li aveva mandati a combattere in Grecia e in Africa settentrionale. Un altro cugino era stato partigiano nella guerra civile. Il quarto conflitto l’ho visto e raccontato da giornalista: la lunga guerriglia delle Brigate rosse, un’altra storia coperta di sangue.

In questi giorni dominati dalle dirette televisive sul massacro di Parigi, ho ripensato più volte all’interminabile guerra dichiarata dalle Br, da Prima linea e da una fungaia di bande minori. Di quell’epoca piena di morti accoppati, di gente gambizzata e resa invalida, di drammi politici e di amicizie finite, che cosa rammentiamo oggi? Poco o niente. Eppure la memoria può aiutarci a non essere impreparati di fronte a quanto rischiamo.

Molti si domandano se la guerra islamica contro l’Occidente durerà a lungo. È un interrogativo inutile. Durerà sino a quando non avranno vinto loro o noi. Siamo entrati in un percorso senza altri sbocchi. Dunque l’unica risposta razionale è che dobbiamo prepararci a vivere in una condizione sconosciuta a tanti italiani. Dove la sicurezza sarà più importante della libertà.

Le Brigate rosse apparvero sulla scena nei primissimi anni Settanta. Si pensò a un incendio che si sarebbe spento quasi subito. Una previsione sbagliata. I due primi delitti dei brigatisti arrivarono nel 1974 a Padova e da allora il terrorismo rosso non smise di uccidere. Nell’aprile 1988 a Forlì venne assassinato un senatore democristiano, Roberto Ruffilli. E tutti pensammo che fosse l’ultimo delitto delle Br. Non era così. Nel maggio 1999 le nuove Br uccisero Massimo D’Antona, consulente del governo. E nel marzo 2002 fu assassinato il professor Marco Biagi.

A conti fatti, il terrorismo brigatista è rimasto sulla scena per un trentennio. Se applicassimo lo stesso metro alla guerra islamica, collocandone l’inizio nel 2014, arriveremmo al 2044! Con quale esito? Nessuno può dirlo. Anche le guerre che sembrano perdute per uno dei due fronti in lotta, possono riservare sorprese. Non è escluso che il vincitore risulti l’Occidente, sia a pure a costo di mutamenti profondi nel suo modo di vivere.

Perché l’Italia riuscì a battere le Brigate rosse? Le ragioni sono tante. Per cominciare, i grandi partiti, la Dc e il Pci, non persero la testa. Il dissenso con il Psi durante il sequestro Moro, non arrivò mai a una rottura drammatica. Tennero anche i sindacati e gli operai delle grandi fabbriche. La sinistra si gingillò con la teoria dei «compagni che sbagliano». Poi cambiò opinione, anche a prezzo di vedere che non tutti i suoi militanti si schieravano contro il terrorismo brigatista.

Fu decisiva la figura di un militare: il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. A sinistra molti lo consideravano un potenziale golpista. Furono costretti a ricredersi. Il suo prestigio e i risultati ottenuti nella guerra contro le Br affermarono l’importanza di quella che oggi si chiama l’intelligence. Un’arma indispensabile per entrare nella testa e nei programmi del terrorismo, prevenirne le azioni e catturarne i capi.

Risultò essenziale anche la legge che prevedeva sconti di pena per i pentiti disposti ad aiutare gli inquirenti. In totale furono più di sessanta. Molti di loro, benché ritenuti colpevoli di una serie di omicidi, scontarono soltanto pochissimi anni di carcere. Un beneficio che a gran parte dell’opinione pubblica sembrò eccessivo. Ma la casta politica di allora non arretrò. Insieme alla carota, si continuò a usare il bastone. Ossia la mano dura nelle indagini e negli interrogatori.

Anche in questo caso si confermò l’importanza del nucleo speciale di Dalla Chiesa. Non più di sessanta o settanta uomini, fra carabinieri e agenti di polizia, selezionati con cura. Il generale rispondeva soltanto al ministro dell’Interno. Non fu un affare da poco ottenere il consenso delle forze politiche. I dibattiti in Parlamento furono molto accesi, ma venne trovata un'intesa.

In questo 2015 i nostri partiti sono in grado di ripetere l’esperienza positiva del ceto politico di quel tempo? Ho molti dubbi in proposito. Oggi la politica ha le ossa rotte. Sa di essere screditata nei confronti dell’opinione pubblica. È frantumata e divisa come non mai. Di certo non possiede l’energia necessaria ad affrontare un’emergenza simile a quella che ha incendiato Parigi. La debolezza anche morale si manifesta in ogni occasione. Venerdì il ministro dell’Interno che illustrava a Montecitorio i provvedimenti decisi per stoppare i combattenti islamici residenti o in transito in Italia, ha parlato davanti a una distesa di scranni vuoti.

Anche il presidente del Consiglio non sembra l’uomo adatto per questi tempi di ferro. Sempre venerdì sera, a Otto e mezzo di Lilli Gruber sulla Sette, si è prodotto in un monologo torrenziale, recitato a velocità supersonica. Parlava, strillava, scherzava e rideva senza offrire nessuna proposta seria per affrontare la tempesta che può investire anche l’Italia e mandare a ramengo il suo governo.

Mentre lo ascoltavo, mi sono domandato se Renzi sia in grado di essere il leader di una nazione che, da un giorno all’altro, potrebbe trovarsi sotto il fuoco del terrorismo islamico. Non voglio sembrare un critico ingeneroso. Ma esiste un dato di fatto: Renzi ha conquistato Palazzo Chigi in un’epoca ormai da considerare al tramonto. Tutti i suoi infiniti programmi erano immaginati per un paese in pace e non in guerra. L’infantile parola d’ordine per il 2015, «Ritmo», ha un suono ridicolo se la pronunciamo nel frastuono delle raffiche di kalashnikov sparate a Parigi. E davanti al sangue che scorre dagli assalti di questi giorni, di fronte ai giornalisti morti nel primo assalto, ai poliziotti uccisi, agli ostaggi ebrei giustiziati.

La storia del mondo procede senza tener conto delle beghe italiane sulla riforma del Senato, sull’Italicum e le sue trappole, sulla pubblica amministrazione da mettere in riga, sui codicilli fiscali a vantaggio di Tizio o di Caio, sui Patti del Nazareno e la riabilitazione di Berlusconi. E soprattutto sull’ottimismo forzato che il premier continua a predicare e le promesse che seguita a ripetere con la petulanza del ragazzino presuntuoso.

Il sangue di Parigi non si ferma alla frontiera tra la Francia e l’Italia. Arriva anche in casa nostra. Ci fa aprire gli occhi su un paese debilitato dalla crisi economica, alle prese con il nuovo mostro della deflazione. E in pratica indifeso contro un attacco sferrato da qualche altra coppia di fratelli pronti a uccidere e a morire per l’Islam. Siamo alle corde, amici di Libero. Auguriamoci di non essere costretti a rinchiudere papa Francesco in un bunker segreto nel sottosuolo di Roma.

Facci: "Travaglio, ti spiego la differenza tra chi rischia la vita e chi vive come te"

Filippo Facci contro Travaglio e Luttazzi: che c'entra l'editto islamico con quello bulgaro?

di Filippo Facci 



Bene, ora spiegaci che c’entra l’editto islamico con l’editto bulgaro, spiegaci che cosa c’entra - caro Marco-senza-vergogna-Travaglio - la vostra industrietta macinasoldi con la satira vera, quella degli ammazzati di Parigi che graffiavano nella carne viva del pianeta: la religione, l’islam, l’ebraismo, l’Occidente, la crisi. Spiegaci che cosa cazzo c’entra (scusa la parola cazzo, ma fa sempre satira) con le vostre cazzate dove il rischio massimo era una reprimenda di Sandro Bondi; che cosa c’entra cioè il martirio vero (inteso come pericolo di vita) con il martirio finto (inteso come requisito di carriera).

La rivista Charlie Hebdo rischiava la pelle ogni giorno senza guadagnarci granché, si faceva il mazzo per sopravvivere sul mercato: non pretendeva d’essere inserita d’ufficio nella tv di Stato con programmi scadenti, roba che poi moriva da sola anche nella tv privata (come a La7) perché semplicemente non faceva ascolti: vero Luttazzi?, vero Guzzanti?, vero Dandini?, eccetera. Le vignette danesi riprese dai francesi giocavano in un altro campionato, non erano le mutande di Anna Falchi o le cacche di Daniele Luttazzi o il Papa sodomizzato all’Inferno che tanto piaceva a Sabina Guzzanti, non erano le barzellette sporche per le quali voi presunti satiri scomodavate Senofonte e l’articolo 21 della Costituzione, ergendovi a oppressi. Gli ammazzati di Hebdo non facevano comizi a manifestazioni di capi-partito come Grillo o Di Pietro, non andavano in vacanza con fonti univoche e poi politiche come Ingroia, non facevano spettacolini teatrali e libri e dvd e pseudo-lezioni universitarie e monologhi in prima serata da Santoro: facevano satira per davvero e li ricorderemo come esempio coraggioso di libertà di opinione, non li ricorderemo per “l’odore dei soldi” di cui non è rimasto nulla se non i soldi (tuoi) e l’odore (vostro).

Gli ammazzati di Hebdo non pretendevano immunità giudiziarie e civili per autoproclamazione, non pretendevano di poter dire tutto quello che volevano su chi volevano e come volevano: senza mai pagarne un prezzo, perché “la satira non si processa”. Non evocavano di continuo il regime e la censura, non pretendevano di essere intoccabili persino da una magistratura peraltro acclamata, insomma: non avevano bisogno di pararsi il sedere col diritto di satira ogni volta che gli scappava una cazzata. Perché loro, la satira, non la facevano su Ruby e sulla Carfagna, non la facevano dicendo nano e ciccione o piegandosi su cartacce giudiziarie d’accatto: loro la facevano sulle libertà individuali e collettive sin dagli anni Sessanta, mica su Berlusconi per vent’anni di fila. E ora tu, macchietta rinsecchita e senza sorriso, a sangue caldo torni a romperci le palle coi tuoi ciclostile sul regime, e a pagina 22 del Fatto Quotidiano ospiti pure l’equilibrato Luttazzi che si paragona ai francesi e scrive testualmente che «non c’è bisogno di trasferirsi nei Paesi arabi per trovare resistenze alla satira sulla religione», rivelandoci di aver ricevuto minacce di morte e d’esser stato costretto a mesi sotto scorta.

Ma certo, è un paragone calzante, dietro casa di Luttazzi erano pronti Ferrara e la Santanché coi kalashnikov, c’era anche un piano per prendere ostaggi nel fortino clandestino della Raidue targata Freccero. O forse no, Travaglio e Luttazzi non dicevano sul serio. Forse era satira anche quella, dev’essere così. Comunque occhio: i tre terroristi francesi li hanno seccati, Ferrara e la Santanchè e Berlusconi sono ancora in giro.

Vietato fumare (quasi) da tutte le parti: sigarette, l'ultima (tostissima) stretta

Sigarette, la nuova stretta: vietate nei film, nei parchi e in auto se c'è un minore





A dieci anni dalla legge Sirchia, c'è in vista una nuova tostissima stretta sul fumo: niente sigarette nei parchi pubblici, negli stadi, nelle spiagge attrezzate ma anche nelle macchine, se a bordo c'è un bimbo. Il bando alle "bionde", inoltre, riguarderà i film e le serie tv nazionali, almeno se vengono accese in un numero eccessivo di scene. "Si tratta di possibili iniziative, il cui successo in altri Paesi è documentato", sottolineano al ministero della Salute. E Beatrice Lorenzin, titolare del dicastero, conferma il progetto "estremista": "Sì - esordisce -, ci sarà una stretta ulteriore. Partiamo da film e auto con minori e poi studieremo eventuali nuove misure. E' una materia da approfondire su cui eventualmente aprire un confronto". E ancora: "Il fumo uccide, dobbiamo essere tutti consapevoli di questo. Sono convinta che sia fondamentale agire sui giovani in via prioritaria per evitare che entrino nella spirale di questo vizio". Per inciso, l'Italia tra il 2007 e il 2013 è scesa dall'ottavo al quindicesimo posto nella classifica dei Paesi europei più impegnati nella lotta al tabagismo: Lorenzin, dunque, vorrebbe invertire la rotta (forse calcando un po' troppo la mano?).

sabato 10 gennaio 2015

Fitto e Forza Italia separati in casa Tutti i big sulle nevi, mentre lui va con...

Fitto escluso dalla kermesse di Forza Italia





Separati in casa. E' ormai ridotta a questo la presenza di Raffaele Fitto all'interno di Forza Italia. L'ennesima prova è di questi giorni. Nel fine settimana, i vertici del partito azzurro sono a Roccaraso in Abruzzo per la kermesse di "Neveazzurra" che domenica verrà chbiusa da Silvio Berlusconi. Ci sono Giovanni Toti, Mariarosaria Rossi, Paolo Romani, Maurizio Gasparri, Renato Brunetta, Mariastella Gelmini. Insomma, tutti i big. Ma non Raffaele Fitto. L'ex ministro e governatore della Puglia non è stato invitato a parlare del futuro del centrodestra, argomento centrale dell'evento di Roccaraso. Sarà invece a Roma, al cinema Adriano, Per un incontro con Giorgia Meloni, Flavio Tosi e Adolfo Urso, accomunati dal sostegno alla proposta di primarie per dare un nuovo leader al centrodestra.

Renzi si accorge di averci riempito di islamici e adesso corre ai ripari: il piano anti-terroristi

Procura unica contro i terroristi. E partire per il Jihad sarà reato penale

di Enrico Paoli 



Per colpire e prevenire il terrorismo non servono fughe in avanti, basta la riproposizione di strumenti vincenti già adottati nel passato. L’obiettivo del governo è l’istituzione di una Procura nazionale antiterrorismo, sulla scorta dell’esperienza maturata con la versione dedicata alla mafia. L’ipotesi è già allo studio dell’esecutivo e la strada per la sua istituzione potrebbe essere la creazione di una struttura ad hoc. Le opzioni sono una nuova «superprocura» o l’estensione della Procura nazionale antimafia. L’importante, però, è fare presto.

Se dovesse prevalere questo secondo orientamento, la scelta sarebbe quella della Direzione unica, che si occuperebbe contemporaneamente di antimafia e antiterrorismo. Magistrati particolarmente esperti come Franco Roberti, Otello Lupacchini e Gian Carlo Caselli, confermano la necessità di costituire questo strumento. A studiare la questione saranno i tecnici dei dicasteri di Interni e Giustizia mentre sul tema è previsto un incontro tra i ministri Angelino Alfano e Andrea Orlando. Di una procura nazionale antiterrorismo, in realtà, si discute da tempo. Il riferimento è al disegno di legge presentato dal parlamentare di Scelta civica, Stefano Dambruoso, magistrato esperto di antiterrorismo, che estende le competenze della Dna alle indagini relative ai reati di associazione per delinquere con finalità di terrorismo, anche internazionale, e istituisce le Direzioni distrettuali antiterrorismo, mutuandone la struttura dalle direzioni distrettuali antimafia.

Ma nei piani del ministro dell’Interno e del governo non c’è solo la Procura antiterrorismo. Per farla funzionare servono gli «utensili» giusti. Le nuove norme che l’esecutivo vuole portare rapidamente all’esame delle Camere guardano alla figura del terrorista molecolare, cosiddetto «home made», capace di trasformarsi in un’impresa individuale terroristica nel senso che si autoradicalizza e si autoaddestra anche ricorrendo al web, si procura le armi e le istruzioni per l’uso, progetta da solo o comunque senza appartenenza a reti strutturate azioni terroristiche. In particolare il questore potrà ritirare il passaporto ai sospettati, proponendolo per le misure della sorveglianza speciale o dell’obbligo di soggiorno in modo da restringerne capacità di movimento e campo di azione.

Il provvedimento, poi, incide anche sull’organizzazione e sul finanziamento dei trasferimenti nei teatri di guerra con l’introduzione di una specifica figura di reato che, colmando un’oggettiva carenza, colpisce i combattenti stranieri ma anche chi agisce dietro le quinte tirando le fila degli spostamenti verso l’estero. Infine un controllo più stringente della rete potrebbe limitare la propagazione delle informazioni sensibili.

Islam, Berlusconi e gli sci... Il sondaggio che fa tremare Matteo

Sondaggio Swg: crolla la fiducia nel governo, Forza Italia primo partito centrodestra





Il nodo "salva-Silvio", i voli di Stato per andare in vacanza e le deboli politiche anti-Islam affossano nei sondaggi il governo di Matteo Renzi. Il premier comincia a perdere quello slancio che aveva avuto nei suoi primi mesi a palazzo Chigi e inizia a soffrire sul fronte dei numeri. Secondo i sondaggisti la caduta del consenso sarebbe fisiologica, ma comunque i dati allarmano e non poco il Nazareno e palazzo Chigi. La fiducia nel governo è scesa al 50 per cento contro una media del 52 nel 2014. Brunetta già gode: "Governo in caduta libera! Per Swg perdita consenso progressiva e inarrestabile". Infatti secondo l'ultima rilevazione il Pd è a 38,1 per cento ben sotto il 40 delle ultime europee. Tiene Ncd al 3,2 per cento mentre Forza Italia resta primo partito del centrodestra al 14,1 per cento seguita poi dalla Lega Nord all'11,5 per cento. Fratelli d'Italia scende sotto il 3 per cento e si ferma al 2,7. In crescita Sel che è al 3 per cento. Scompare un partito: Scelta Civica che è allo 0,8 per cento. Infine il Movimento 5 Stelle al 20,6 per cento. 

Ercolano - On. ANTONIO AMATO (Presidente commissione regionale bonifiche) : La questione ambientale del Parco nazionale del Vesuvio è un’emergenza nazionale

ANTONIO AMATO (Presidente commissione regionale bonifiche) : La questione ambientale del Parco nazionale del Vesuvio è un’emergenza nazionale


A cura di Gaetano Daniele




 «La situazione ambientale dell’area vesuviana, all’interno del Parco Nazionale del Vesuvio da Ercolano a Boscoreale, la messa in sicurezza e la bonifica delle ex discariche oggi abbandonate e delle aree recentemente sottoposte a sequestro per il ritrovamento di fusti tossici e amianto, la salvaguardia di zone dove si verificano sversamenti e combustione di rifiuti, tutto questo rappresenta un’emergenza nazionale con ripercussioni dirette sulla salute dei cittadini. Oltre al Prefetto di Napoli contatteremo urgentemente il ministro all’ambiente chiedendo che venga a verificare personalmente la vicenda ci sia un intervento fattivo e non differibile del Governo. 

Quanto verificato ancora oggi non è più tollerabile» lo afferma il Presidente della Commissione Regionale Bonifiche al termine del sopralluogo presso Cava Montone, l’area di Ercolano oggi sequestrata dopo il ritrovamento di fusti bituminosi e amianto, l’ex discarica Amendola Formisano e la zona a valle della stessa, in particolare via Filaro. Al sopralluogo, accompagnati dai carabinieri del NOE e dalla polizia municipale, con Amato e la consigliera regionale Anita Sala, hanno preso parte il sindaco di Ercolano Vincenzo  Strazzullo,  Antonio Gallozzi e Pasquale Raia di “Legambiente Campania”, Franco Matrone per la “Rete dei Comitati Vesuviani”, Antonio D’Amore di “Libera”, Ciro Teodonno di “Cittadini per il Parco” e rappresentanti di altre associazioni e comitati dell’area vesuviana. «Sull’area di Cava Montone, sottoposta a sequestro giudiziario, si attendono i risultati della caratterizzazione e delle analisi di falda. Chiediamo la massima trasparenza perché bisogna dare risposte chiare ai cittadini e i risultati devono essere pubblici. 

Ci sono controversie giudiziarie in corso, a noi interessa che la messa in sicurezza dell’amianto sia realizzata quanto prima e che sia completato l’esame dell’intera area sì da predisporre tutte le azioni di messa in sicurezza previste dalle normative europee. Purtroppo, sono stati ritrovati rifiuti di ogni sorta, oltre all’amianto speciali e industriali giunti da ogni parte d’Italia. Speriamo che le indagini portino quanto prima anche all’accertamento dei responsabili, e che, soprattutto, non intervengano assurde prescrizioni». Nell’ex discarica Amendola Formisano a destare maggiore sconcerto la permanente presenza di rifiuti stoccati temporaneamente nel corso dell’emergenza del 2008 «Oltre alla storica discarica, qui sono state portate ecoballe nel 2004, poi rimosse, e tal quale nel 2008. Dovevano rimanere pochi mesi e invece sono ancora qui. Il comune, tra fitto, manutenzione, rimozione del percolato e custodia, paga oltre 50 mila euro al mese» dice ancora Amato «Poi ci sono gli interventi eccezionali come quello che servirà nei prossimi giorni per riparare il telo che si è strappato la scorsa settimana per il maltempo. E i cittadini denunciano una continua tracimazione del percolato raccolto in una piccola ed evidentemente insufficiente cisterna. 

E la domanda di fondo resta: perché quei rifiuti sono ancora lì dimenticati da tutti?». A via Filaro, sempre in questa zona di Ercolano,  poi, le scene che si ripetono quotidianamente nella terra dei fuochi: «Amianto, scarti edili e tessili, pneumatici posti a formare letti di combustione, un inferno, un’indecenza sulla quale è necessario intervenire d’urgenza, oltre che per la rimozione con azioni serie di contrasto, a partire da pattugliamento e sorveglianza oggi del tutto assenti» afferma il Presidente della Commissione Regionale «Il comune, la regione, sotto la regia del Prefetto, insieme alle forze dell’ordine, devono mettere in atto tutte le azioni necessarie perché si ponga fine a questo scempio. L’area del Parco nazionale del Vesuvio per produzioni agroalimentari e ricchezze storico naturali rappresenta un patrimonio unico al mondo» conclude Amato «Quanto abbiamo visto a dicembre nell’area Pozzelle tra le discariche Sari, quanto constato oggi, quanto verificheremo alla discarica Porcilaia a Torre del Greco e alla “Fungaia” di Somma vesuviana dove ci recheremo presto, tutto questo è la rappresentazione di uno scempio aberrante di cui ha diretta responsabilità lo Stato. Lo ribadisco: il risanamento ambientale del Vesuvio è un’emergenza nazionale, soprattutto per le conseguenze dirette che questa devastazione ha sulla salute dei cittadini. Ora basta scaricabarile e omissioni, ognuno si assuma le proprie responsabilità e si intervenga con tempestività».