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lunedì 10 novembre 2014

Renzi dà il via libera ai sindaci: alzeranno le tasse quanto vorranno

Local Tax, il governo Renzi toglie il tetto alle aliquote: i Comuni ci potranno massacrare di tasse

di Fausto Carioti 



Con l’annuncio della «local tax», la tassa unica comunale sugli immobili che ha promesso per il 2015, il governo di Matteo Renzi ha compiuto un doppio capolavoro di illusionismo. Primo. È stato rivenduto agli elettori come taglio della spesa pubblica centrale quello che si rivelerà un aumento della pressione fiscale locale. Secondo. Dietro un’apparente operazione di moralizzazione, rivestita dal nobile principio per cui i sindaci saranno - finalmente - i soli responsabili delle tasse cittadine, c’è una verità che di etico e responsabilizzante non ha proprio nulla: la piena libertà per gli amministratori comunali di fissare le aliquote che preferiscono. Senza che lo Stato ponga alcun limite. Della local tax si sa che, come ha detto Renzi, entrerà in vigore il prossimo anno e a partire dal 2016 dovrebbe arrivare nelle nostre case precompilata. Si sa anche che accorperà tributi locali attualmente esistenti, e dunque rappresenterà una meritoria opera di semplificazione. 

L’ufficio studi della Cgia di Mestre ha fatto il conto: se dovesse sostituire Imu e Tasi (valore 18,8 miliardi di euro), la tassa sull’asporto rifiuti (Tari, valore 7,3 miliardi), l’addizionale Irpef (4,3 miliardi), l’imposta sulla pubblicità (426 milioni), la tassa sull’occupazione di spazi e aree pubbliche (218 milioni), l’imposta di soggiorno (105 milioni) e quella di scopo (14 milioni), questa maxi gabella unica avrebbe un peso di oltre 31 miliardi. Non tutti questi prelievi, però, confluiranno nella nuova tassa: la Tari, ad esempio, essendo basata sui metri quadrati e i componenti familiari anziché sulle rendite catastali, con ogni probabilità resterà fuori.

Oggi una famiglia con reddito da lavoro di 22.000 euro per coniuge e un figlio a carico, in una casa accatastata come A2 (abitazione di tipo civile), di dimensioni medie, nel capoluogo di regione più caro, Bologna, paga 867 euro di Tasi, 308 euro di addizionale comunale Irpef e 435 euro di Tari, per un totale di 1.610 euro. A Milano le stesse voci, sommate, arrivano a 1.379 euro, a Roma a 1.294, a Napoli a 1.289. Ma la local tax non si limiterà ad accorpare queste imposte: sarà qualcosa di nuovo e di diverso. «Una grandissima rivoluzione», promette Graziano Delrio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio.

La novità è infiocchettata da belle parole come «autonomia» e «federalismo». All’assemblea dell’Anci che si lamentava per i tagli ai trasferimenti decisi dal governo, Renzi ha illustrato la sua ricetta: «Noi vi diamo degli obiettivi e voi fate come vi pare, è evidente che poi ne risponderete di fronte ai cittadini». Pochi giorni prima aveva annunciato agli industriali bresciani l’arrivo di «un’unica tassa che faccia funzionare i servizi e sia affidata al sindaco, senza che lo Stato ci metta bocca. Federalismo è dare al sindaco la possibilità di decidere». 

Concetti ribaditi venerdì da Delrio: «La cosa importante», ha detto ai sindaci, è che ci sia «autonomia fiscale dei Comuni completa». Cosa che oggi non avviene, perché le città hanno pezzi di Irpef e lo Stato ha un pezzo dell’Imu. Il governo, ha spiegato il sottosegretario, vuole invece restituire la categoria D dell’Imu ai Comuni e l’Irpef allo Stato, così «ognuno saprà a chi dare la colpa se le tasse sono troppo alte». I tempi per varare la local tax, ha avvisato, saranno gli stessi della legge di stabilità: poche settimane, in teoria. 

La bellezza della mossa di Renzi è tutta qui: il governo, semplicemente, si limita a strizzare l’occhio ai sindaci e a togliere loro il guinzaglio, rendendoli liberi di tassare le case come vogliono («autonomia fiscale completa» questo vuol dire). Oggi, invece, un freno alla voracità degli amministratori locali è previsto, sebbene ancora per poco. La legge di stabilità votata lo scorso anno prevede infatti per la Tasi che grava sull’abitazione principale un limite pari al 2,5 per mille, che può salire di un altro 0,8 a patto che sia compensato da detrazioni. Questo tetto è comunque valido solo per il 2014; dal 2015 l’aliquota Tasi sull’abitazione principale potrebbe salire fino al 6 per mille. Non solo, dunque, il governo Renzi non intende rimettere il «calmiere» alla Tasi, ma promette di assorbirla in una nuova imposta gestita dai Comuni in totale libertà.

Si spiega così, con la promessa di una tassa «no-limits», il rinnovato clima d’intesa tra sindaci e governo. Piero Fassino, presidente dell’Anci, ieri ha detto di ritenere «positive» le risposte date del premier, perché sul tema della local tax e dell’autonomia degli enti locali «corrispondono a quello che chiediamo». Chi non ha alcun motivo per dirsi soddisfatto è il contribuente, vittima immolata sull’altare dell’accordo. Quanto alla possibilità di sapere «di chi è la colpa se le tasse sono troppo altre», che bontà sua Delrio concede ai soliti spennati, sai che soddisfazione. Perché un’idea chiara su chi siano i colpevoli ormai l’hanno tutti. Perché la possibilità di vendicarsi nelle urne ha senso solo se il sindaco è al primo mandato e si ricandida per il secondo, e comunque nulla ti garantisce che l’alternativa non sia peggiore. E poi perché il ragionamento per cui gli elettori sono liberi di reagire a certe vessazioni fiscali «votando con i piedi», cioè spostandosi in un Comune meno esoso, funziona solo nelle favole. Trasferirsi ha un costo (pure dal punto di vista fiscale) e la casa schiacciata da imposte troppo alte, inevitabilmente, perde valore di mercato.

domenica 9 novembre 2014

"Salvini provocatore, se l'è cercata" La sinistra sta coi picchiatori

Lega Nord, Matteo Salvini aggredito nel campo rom. Il Pd: "Se l'è cercata, è un provocatore"




"Salvini se l'è cercata", "ora basta con le provocazioni leghiste". Sono due commenti a caso tra le decine di rappresentanti della sinistra e del governo, tra Pd e Ncd, sull'aggressione subita dal segretario della Lega Nord Matteo Salvini a Bologna. Un tranquillo sabato di terrore al campo rom dove il leader del Carroccio si era recato in visita "contestata" dall'ultra-sinistra cittadina. E infatti ecco, puntuale, la guerriglia fisica contro Salvini, la cui auto è stata assalita da alcuni esponenti dei centri sociali, tra insulti e sassi lanciati contro il parabrezza, sfondato. Immediata la polemica leghista con il ministro degli Interni Angelino Alfano, che non avrebbe saputo gestire una situazione "a rischio" ben nota a tutte le autorità. Il capogruppo del Carroccio al Senato Centinaio ha chiesto le dimissioni dello stesso Alfano.

La stampa di sinistra - "Bastardi", è stata la reazione su Facebook del leghista. Eppure, per la sinistra, il colpevole e il violento, il "provocatore", è proprio lui, Salvini. Che non avrebbe dovuto fare quello che ogni politico in realtà dovrebbe fare, e cioè visitare luoghi sensibili, come appunto un campo rom. "Salvini provoca, ma viene respinto a sassate", titolava il sito HuffingtonPost diretto da Lucia Annunziata, con linguaggio a metà strada tra la lotta partigiana (decisamente fuori tema) e barricate stile Lotta Continua. E anche altri siti ufficialmente "meno schierati" puntavano il dito contro Salvini che avrebbe cercato di "investire" i suoi aggressori, semplicemente perché ha tentato di procedere con la sua auto oltre il cordone di esagitati che gli erano saliti sul cofano. 

Giorgio Napolitano vuole dimettersi ha già in mente una data per l'uscita

Giorgio Napolitano, perché se ne andrà alla fine dell'anno




Da mesi Giorgio Napolitano ripete agli amici e ai collaboratori più stretti che ha intenzione di lasciare il Colle. La novità, riportata dal quotidiano Repubblica, è che adesso avrebbe in mente anche una data: le fine dell'anno. Il motivo principale è la stanchezza, il numero eccessivi di impegni che la sua carica richiede per un uomo che nel mese di giugno compirà novant'anni.  Quando il presidente della Repubblica ha accettato il suo secondo incarico, aveva precisato che assumeva quell'impegno per senso di responsabilità ma era già scettico sulla possibilità di portare a termine il mandato.

Gli impegni da qui alla fine dell'anno -  Pare inoltre che, nonostante sia rimasto soddisfatto dell'interrogatorio come testimone che si è svolto le scorse settimane al Quirinale, davanti ai giudici e agli avvocati, Napolitano sia rimasto molto ferita dall'intera vicenda. Finora - come fa riflettere Repubblica - Napolitano ha rispettato tutti gli impegni con puntualità, sia quelli interni che quelli internazionali ma sta diradando l'agenda se si tratta di lasciare il Colle. Il 17 novembre sarà a Milano alla Bocconi per celebrare il vent'anni della morte di Giovanni Spadolini e poi due appuntamenti europei e infine il messaggio di fine anno. L'ultimo dopo nove pronunciati a partire dal 2006. Renzi vorrebbe che Napolitano si fermasse al Colle almeno fino al termine di Expo 2015, tra un anno. 

Il successore - Ovviamente Napolitano avrebbe voluto legare la fine dal suo mandato alle riforme istituzionali, alla legge elettorali. Avrebbe voluto riformare il sistema bicamerale, la riforma della pubblica amministrazione, della giustizia e altro. Tra un impasse e l'altro, tra le discussioni, e i rinvia la riforma della legge elettorale non è ancora pronta. Ma Napolitano adesso non intende più sottostare ai tempi dei partiti. Non vuole farsi condizionare: lascerà anche senza riforma della legge ritenendo che il Parlamento debba essere in grado di eleggere il suo successore. Certo lui non ha intenzione di indire elezioni anticipate né scioglierà le Camere. E' ovvio che l'elezione del Presidente della Repubblica sarà un osservatorio, quasi la prova del nove per capire dove andrà la prossima legislatura. Ieri sul Corriere della Sera Luigi di Maio aveva detto che avrebbe deciso col Pd anche la scelta del successore di Napolitano. 

Negozianti, artigiani, piccoli imprenditori Le partite Iva a rischio povertà

Cgia: lavoratori automomi a rischio povertà




Le famiglie con fonte principale da lavoro autonomo sono quelle più a rischio povertà. Nel 2013 il 24,9 per cento ha vissuto con un reddito disponibile inferiore a 9.456 euro annui (soglia di povertà calcolata dall’Istat). Praticamente una su quattro si è trovata in seria difficoltà economica». È l’allarme lanciato dalla Cgia di Mestre che annuncia: "Per quelle con reddito da pensioni, il 20,9 per cento ha percepito entro la fine dell’anno un reddito al di sotto della soglia di povertà, mentre per quelle dei lavoratori dipendenti il tasso si è attestato al 14,4 per cento (quasi la metà rispetto al dato riferito alle famiglie degli autonomi). Secondo il presidente Bortolussi: "A esclusione dei collaboratori a progetto che possono contare su un indennizzo una tantum, le partite Iva non usufruiscono dell’indennità di disoccupazione e di alcuna forma di cassaintegrazione in deroga e/o ordinaria/straordinaria. Una volta chiusa l’attività ci si rimette in gioco e si va alla ricerca di un nuovo lavoro. Purtroppo non è facile trovarne un altro: spesso l’età non più giovanissima e le difficoltà del momento costituiscono una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo queste persone verso forme di lavoro completamente in nero".

"Macché accordo, Renzi è un parolaio" Crimi distrugge l'asse tra M5S e Pd

Vito Crimi e l'accordo Pd-M5S: "Con Renzi non facciamo asse"




Sull'esistenza di un asse tra il Movimento Cinque Stelle e il Pd interviene con un post pubblicato sul blog di Beppe Grillo, il senatore Vito Crimi. "A tutti i giornalai che titolano e dedicano prime pagine a presunti assi, accordi, intese e via farneticando: tutte balle. Non c'e' nessun accordo  M5S-Pd. Non c'e' nessun asse M5S-Pd. Non c'è nessuna intesa M5S-Pd. Lo scrive, in un post pubblicato sul blog di Beppe Grillo, il senatore del M5S Vito Crimi.

Il caso della Consulta - "L'elezione del giudice della Corte costituzionale - aggiunge Crimi - ha solo dimostrato ciò che da sempre sosteniamo e dichiariamo: ogni volta che una parte politica, Partito democratico, Forza Italia, Ncd, Sel, Lega, eccetera, avanza una proposta di buon senso, noi siamo pronti a votarla favorevolmente. Senza pretendere merce in cambio, senza staccare promesse di sorta. Non è  cambiato niente. Il Partito democratico rimane per noi il partito delle lobby e degli affari. Il partito che vota in massa 35 fiducie ad altrettanti provvedimenti in poco più di un anno, annientando il dibattito democratico in aula e isolando i dissidenti al suo interno". "Il partito - osserva Crimi - che non ha battuto ciglio nel vedere il proprio premier defenestrato e sostituito con un piazzista prezzolato senza passare dal voto, anzi avallando la scelta nell'assemblea del partito. Il partito che a braccetto con Berlusconi ha fatto scempio dell'assetto istituzionale del Paese in pieno agosto, con i cittadini in vacanza. Il partito che con una mano da dei mafiosi agli altri e con l'altra vota per abbassare le pene del voto di scambio politico-mafioso. Il partito dei berlusconiani travestiti da renziani.A concepire la politica come un mercato delle vacche sono altri. La nostra e' semplice coerenza, quella di chi con fatica cerca di mantenere le promesse", conclude Crimi.

PENSIONI SARANNO PIU' BASSE Ecco quanto perderemo / Le tabelle

Pensioni, il tasso di capitalizzazione del montante è negativo: ecco quanto ci perderemo




Le pensioni di domani a rischio sforbiciata. A renderlo noto è il documento inviato dal Ministero del Lavoro al Dicastero dell'Economia, Istat e casse di previdenza. Secondo il Sole 24 Ore, il calo del Pil degli ultimi cinque anni (sempre giù) renderà inevitabile nel 2015 il crollo del tasso di capitalizzazione dei montanti contributivi, per la prima volta negativo (a -0,1927) dall'anno della riforma Dini, nel 1995.  

Gli esempi pratici: quanto si perde - Questo significa, di fatto, che i contributi versati negli anni lavorativi precedenti non aumenteranno più ma anzi diminuiranno. Esempi pratici: se ho versato 10mila euro, me ne ritroverò effettivi 9.980,73. Allo stesso modo, se il montante è di 50mila euro si ridurrà di 96,35 euro, scendendo a 49.903,65 euro. Con un montante di 150mila euro, il taglio sarà di 289,05 euro. Una piccola stangata non così piccola se si pensa che al taglio del montante dovuto al calo del Pil, tra l'altro, si aggiunge l'inasprimento fiscale sulla previdenza integrativa già deciso dal governo. 

Come funziona il "montante contributivo" - L'applicazione del tasso negativo riguarda tutti, non solo chi ha iniziato a lavorare (e accantonare contributi) dopo il 1995, dal momento che la riforma Monti-Fornero del 2011 ha fissato l'obbligo di passaggio al metodo contributivo anche per chi lavora da prima della riforma Dini. Il meccanismo del "montante" è semplice: alla base imponibile si applica l'aliquota di computo legata al Pil e il risultato ottenuto si rivaluta ogni 31 dicembre, escludendo però la contribuzione dello stesso anno. In altre parole, il montante è quello al 31 dicembre dell'anno precedente. Nel caso del 2014, per calcolare il montante contributivo si deve rivalutare il montante accumulato al 31 dicembre 2013 con la nuova aliquota (negativa, dunque riducendolo) e aggiungervi i contributi versati nel 2013. Stesso procedimento l'anno successivo. Alcune casse autonome, però, stanno cercando di evitare l'impatto negativo del calo del tasso di capitalizzazione. Enpacl (consulenti del lavoro) e Inarcassa (ingegneri) hanno chiesto ai ministeri di utilizzare un altro tasso di rivalutazione, agganciando la rivalutazione al gettito contributivo complessivo della categoria e non appunto al Pil. Anche l'Enpap (psicologi) sta studiando la stessa opzione, per garantire agli iscritti un tasso di rendimento minimo dell'1,5 per cento.

sabato 8 novembre 2014

I 30 avvocati più potenti

Ecco i 30 avvocati più potenti


di Gianpaolo Iacobini



Sono soprattutto le toghe che curano privatizzazioni, quotazioni in Borsa e operazioni di alta finanza. Valgono 1,6 miliardi di euro. Lungimiranti come manager, abili comunicatori, capaci di entrare nel futuro prima che arrivi. Magari perché lo hanno costruito loro. 

Almeno secondo il mensile GQ , diretto da Carlo Antonelli e il sito Legalcommunity.it , che la créme de la créme l'ha tirata fuori dal calderone in cui nel Belpaese ribollono i professionisti del foro: ben 230.435, con una proporzione di 3,8 avvocati (6,7 in Calabria) ogni mille residenti ed un tasso di crescita annuo dell'1,6%. L'elenco non tiene conto solo di bravura e fama. Altri i criteri usati: capacità manageriale, visione strategica, impatto mediatico, bagaglio tecnico. Soprattutto, altro il campo di riferimento, ed ecco perché mancano tanti volti noti, ma che operano in settori meno ricchi: quello delle privatizzazioni e delle fusioni, delle quotazioni in Borsa e delle operazioni di finanza strutturata.

Messi insieme, scrive GQ , fanno registrare un fatturato di oltre un miliardo e seicentomila euro. Sono i magnifici 30. In ordine di lista:

1 Francesco Gianni (63 anni). È il più gettonato per gli affari da chiudere sull'asse Roma-Pechino.

2 Sergio Erede (74). E' l'uomo di fiducia dei grandi capitani d'industria, da Della Valle a del Vecchio. C'è il suo zampino nel passaggio di Alitalia a Etihad.

3 Claudia Parzani (43). Si muove in campo bancario come nel salotto di casa.

4 Bruno Gattai (55). Da telecronista raccontava i successi di Alberto Tomba "la bomba". Adesso dà voce, come consulente legale, ai grandi marchi.

5 Franco Coppi (76). Penalista di razza, è noto per aver difeso (vincendo) Andreotti, Cossiga e Berlusconi.

6 Michele Carpinelli (66). Uomo di fiducia Fininvest e non solo, ha combinato il matrimonio tra La Stampa e Il Secolo XIX.

7 Federico Sutti (49). Ha seguito la vendita dell'Unità e la spending review in casa Pd, ma pure la riforma del sistema sanitaria del Veneto.

8 Alessandro De Nicola (53). Un economista in toga. È tra i punti di riferimento dell'area liberale.

9 Giuseppe Lombardi (65). L'accordo sulla bonifica dell'ex area Falck di Sesto San Giovanni porta la sua firma.

10 Roberto Cappelli (59). Non c'è mossa che Unicredit compia senza averlo prima consultato.

11 Gregorio Gitti (50). E' il politico della compagnia: deputato Pd. insegna anche alla Cattolica. Ha per suocero Giovanni Bazoli, volto di Intesa Sanpaolo.

12 Tommaso Di Tanno (65). Fiscalista, grande amico di Masismo D'Alema, è un maratoneta. Lo conoscono bene anche a New York.

13 Alberto Toffoletto (54). Fusioni e acquisizioni di case editrici sono il suo pane.

14 Andrea Zoppini (49). Docente accademico, è consigliere di ministeri e istituti bancari, oltre che della Presidenza del Consiglio.

15 Stefano Valerio (44). Tra gli emergenti. È molto attivo nel settore bancario.

16 Patrizio Messina (45). È l'esperto dei minibond, le obbligazioni a misura di piccole e medie imprese.

17 Antonio Segni (49). Il colonizzatore: ha guidato l'italiana Gtech (ex Lottomatica) alla conquista dell'americana Igt.

18 Angelo Zambelli (52). Se c'è una ristrutturazione industriale da portare avanti, c'è lui: così è stato per Versace, Belstaff, La Perla.

19 Catia Tomasetti (50). Ha assistito Banca Imi e Mps. Da qualche mese è presidente della romana Acea.

20 Giulio Napolitano, 45 anni. Figlio del presidente Giorgio, è amministrativista tra i più affermati.

21 Alberta Figari (50). Ha accompagnato la quotazione a piazza Affari di Rai Way. Siede nel board di Generali.

22 Stefano Simontacchi (44). Fiscalista, è stato il faro del riposizionamento italiano del gruppo Prada.

23 Francesco Carbonetti (73). Presidente non esecutivo di Saipem, nel 2005 fu tra i protagonisti della resistenza alla scalata di Ricucci a Rcs.

24 Marcello Giustiniani (51). Ombra dei top manager, è membro d'una onlus per la tutela dei diritti dei bambini. Perchè anche il cuore vuole la sua parte.

25 Michele Briamonte (37). Già nel 2010 era alla guida dello studio Grande Stevens, da sempre vicino al mondo Fiat.

26 Bruno Cova (54). Di recente ha assunto la regia del passaggio di Indesit alla multinazionale Whirlpool.

27 Luca Arnaboldi (53). Regista di imponenti operazioni in ambito immobiliare.

28 Filippo Troisi (49). Si divide tra l'Italia e l'America. Non a caso, è iscritto anche all'albo degli avvocati newyorkesi.

29 Andrea Accornero (48). Attivo nel settore agroalimentare, ha ereditato da papà Guido (fondatore del Salone del Libro) l'amore per la cultura.

30 Marcello Clarich (57). In estate è passato dalla Louiss alla presidenza di Mps.

Sono loro i migliori. Ma non cercateli sull'elenco telefonico. E neppure sulle pagine gialle: sono italiani, ma abitano il mondo.