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sabato 8 novembre 2014

Il sondaggio-bomba sui due Matteo: Salvini "vede" il sorpasso, ecco quando

Matteo Salvini Matteo Renzi: se si vota tra un anno vince il leghista




Matteo Renzi da una parte, Matteo Salvini dall'altra. Il leader del Carroccio sta prepotentemente conquistando la scena politica: i sondaggi lo danno ormai da qualche mese in crescita continua e lui, in un'intervista a Libero ha messo le cose in chiaro spiegando che il suo obiettivo è quello di riunire tutto il centrodestra. Affaritaliani.it ha chiesto a Coesis Research che cosa accadrà nella sfida tra i due Matteo.  La risposta dell'Istituto demografico è stata chiarissima: dipende dalla data delle elezioni. Perché se si votasse a marzo, Renzi arriverebbe al 40% mentre Salvini si fermerebbe al 30%.

Il colpo di scena -  Ma già se ci fosse più tempo, se si andasse al voto a giugno le cose potrebbero cambiare. Il Pd perderebbe consensi fermandosi al 38% mentre parallelamente continuerebbe l'ascesa di Salvini che arriverebbe al 34%. Ma la partita sarebbe vinta ancora dall'attuale premier. La grande svolta per Salvini ci sarebbe se si andasse al voto nell'autunno del 2015: il leghista arriverebbe al 40% mentre Renzi perderebbe per strada altri voti fino al 36%. Salvini ha bisogno di tempo sia per convincere il Sud (come ha scritto il direttore di Libero Maurizio Belpietro) sia per attrarre a sé i forzisti e i grillini delusi. 

CENA DEI RENZINI Chi sono gli 800 imprenditori in fila per fare un'offerta di mille euro a Renzi

Tutti gli imprenditori che pagano il premier

di Claudio Antonelli 


Pochi volti noti e tante srl. Alla cena milanese organizzata dal Pd per la raccolta fondi ieri sera si è assistito a una lunga fila di imprenditori, soprattutto piccoli, disposti a versare come minimo mille euro a testa per finanziare il nuovo partito Democratico made by Matteo Renzi. Tanto che tra gli 800 presenti a Milano e i quasi 900 previsti stasera a Roma, si arriva alla considerevole cifra di 18 milioni di euro. Stando al tweet di Renzi.

Ma a parte il fatto che il Pd sia riuscito a evitare cassa integrazione per i dipendenti e abbia messo fieno in cascina per il futuro, non si può non notare che la pancia delle Pmi italiane abbia fatto la propria scelta. Brianza, Pavia, Milano, Franciacorta, Piacenza, Novara, Verona e Vercelli. Tutte zone industrializzate e in fila per sostenere il premier. Per mettersi in prima fila per suggerire un’idea o semplicemente per dire di esserci stati. 

Ovviamente sotto i riflettori delle telecamere sono finiti Oscar Farinetti, il patron di Eataly. Benedetta Arese Lucini, general manager di Uber Italia. Già stata protagonista di un dibattito alla Festa dell'Unità, ma certo la sua presenza alla cena è una tessera del mosaico del nuovo Pd come lo immagina Renzi. Avvistato Giuseppe Recchi, presidente di Telecom Italia, che ha preferito non rilasciare interviste. Beniamino e Marcello Gavio, i patron di Serravalle e delle autostrade e i due celebri stilisti, Dolce & Gabbana, dopo aver aderito e probabilmente inviato il bonifico, hanno invece scelto di non andare a cena. E non fare la passerella sotto il Diamantone, uno dei nuovi grattacieli milanesi che delimita la città della moda.

La serata è stata organizzata al The Mall, locale di tendenza a due passi dal Bosco verticale, cuore dell’attività di Stefano Boeri, archistar già candidato sindaco. Che ieri ha partecipato all’evento facendo presente a chi chiedeva se non si sentisse a disagio a una cena di gala, come quelle che un tempo faceva Silvio Berlusconi, che le cose cambiano e il sistema americano di sostegno ai partite funziona bene perché trasparente. Un sistema che non piace a tutti. O comunque un’altra idea di sinistra: non i mercati con cui Giuliano Pisapia ha vinto le sue primarie, ma la Milano da bere che Renzi spera di resuscitare. O che gli imprenitori sognano che Renzi possa resuscitare. Pisapia non si è visto. In compenso tra i presenti c’era di tutto: avvocati, notai, esponenti dell'impresa pesante e dell’agroalimentare e soprattutto la Brianza Felix. Segnaliamo l’adesione in massa delle aziende dei vini e delle bollicine. Ferrari, Allegrini, Bertani, De Santis, Bregolato e Cantele. Presenti anche Valerio Saffirio, fondatore della società di digital design Rokivo, Alessandro Perron Cabus (ad della Sestrieres Spa), Pietro Colucci di Kinexia (energie rinnovabili), Roberto De Luca di Live Nation Italia, Flavio Paone di Dreamcos Cosmetics. Fabrizio Du Chene, ad Igp, uno dei primi ad arrivare. Senza dimenticare i vertici di Campari e Maria Grazia Mazzocchi, presidente del conservatorio di Milano.

Ha fatto capolino, Guido Alberto Vitale, ex presidente Rcs, arrivato con la moglie: «A me Renzi piace perchè sta portando l'Italia nel ventunesimo secolo». Intanto ha portato una bella schiera di persone al The Mall che è stato scelto anche per motivi logistici: è uno spazio grande, ma elegante. Forse uno dei pochi capaci di ospitare un numero così elevato di commensali. A contribuire al pienone sono stati soprattutto i parlamentari e gli europarlamentari del pd. I più attivi, stando a quanto riportavano anche altre testate, sarebbero stati Simona Malpezzi e Lia Quartapelle, Vinicio Peluffo, Franco Mirabelli, Emanuele Fiano. Ma anche Alessandra Moretti, Patrizia Toia, il ministro Maurizio Martina e Maria Elena Boschi.

Ognuno ha segnalato al partito almeno cinque persone da contattare. Chi ha accettato di partecipare (e pagare in anticipo il conto) ha ricevuto un codice Iban per il versamento. E ha firmato (o non firmato) l’autorizzazione a rendere pubblico il nome. Molti di quelli che ieri sera si sono seduti a pochi tavoli da quello di Renzi e della Boschi non vogliono apparire. Come dimostrano le Bmw e le Cayenne che si sono infilata direttamente nei sotterranei del locale.

Intercettato un deputato renziano: "Le primarie del Pd sono truccate Maiali, tiro dentro tutto il partito"

L'intercettazione del deputato renziano Marco Di Stefano indagato per corruzione: "Maiali, le primarie del Pd truccate"


di Brunella Bolloli 



C’è una tangente da 1,8 milioni di euro che il deputato Pd Marco Di Stefano, indagato per corruzione, avrebbe incassato per aiutare certi imprenditori amici suoi. E su questo la procura di Roma sta lavorando. Ma c’è, ed è ancora più preoccupante per il partito del premier, uno sfogo dello stesso Di Stefano che denuncia brogli nella composizione delle liste per i candidati alle Politiche del 2013, cioè per molti che oggi siedono in Parlamento e forse non ci dovrebbero stare.

Sentite cosa dice l’ ex assessore regionale del Lazio al telefono con un amico: "Ora inizia la guerra nucleare, a comincià dalla Regione, tiro tutti dentro». Rivolto ai colleghi di partito"

Dunque. Non imbrogli fasulli, nossignori: l’esponente ex Udc ed ex Udeur, prima lettiano, poi renziano, protagonista di uno dei tavoli dell’ultima Leopolda, ci tiene proprio a far sapere di avere partecipato a primarie farlocche, altro che trasparenza e codice etico. Tutto pilotato a sentire lui, pronto a scoperchiare il vaso di Pandora dei democrats e a fare tremare i vertici del Nazareno che, per ora, tacciono. Eppure lui va giù pesante quando annuncia la bomba atomica, «la guerra nucleare», a cominciare dal Lazio dove ha avuto un posto d’onore nella giunta di Piero Marrazzo. Assessore al Demanio, con un pacchetto di voti consistente sul territorio e un settore molto delicato da gestire. È nella veste di titolare del Patrimonio che nel 2008, secondo gli inquirenti, avrebbe fatto avere alla società dei costruttori Antonio e Daniele Pulcini contratti milionari e agevolazioni in barba alle regole previste dal bando di gara. I pm scrivono che ne avrebbe ricavato una maxitangente, al centro del caso Enpam, l’ente di Previdenza ed Assistenza di Medici e Odontoiatri. 

Sulla vicenda Di Stefano si proclama «estraneo ai fatti contestati. Rimango perplesso, non essendo neanche chiuse le indagini e non avendo per cui notizie in merito, dell’attacco mediatico, ma nonostante ciò credo fermamente nella magistratura». Se la prende con Il Messaggero che lo ha messo in prima pagina e ha pubblicato l’intercettazione, ma non accenna agli sfracelli politici che potrebbero derivare dalle sue mosse. Né intendono commentare i tanti esponenti del Pd che abbiamo cercato per chiedere lumi sulle presunte irregolarità. Il segretario regionale del Pd del Lazio di allora, Enrico Gasbarra, rimanda al Pd nazionale. L’attuale, Fabio Melilli, in carica da pochi mesi, fa sapere che è troppo presto e bisogna avere elementi in più per giudicare. Ugo Sposetti, potente tesoriere dei Ds e senatore ben radicato nel Lazio, assicura che non sa nulla di questa storia. Nessun segnale neppure da Nico Stumpo, uomo delle liste sotto la gestione bersaniana. E i renziani? Silenzio e imbarazzo. In attesa delle verifiche della procura. È vero che Di Stefano è passato dall’Udc all’Udeur al Pd, grazie all’intercessione del guru della sinistra romana Goffredo Bettini, ed è così esuberante che forse un’ala del partito non lo ha mai digerito fino in fondo. Era finito indietro in lista nella circoscrizione Lazio1, primo dei non eletti alla Camera, e ha potuto entrato a Montecitorio solo ad agosto 2013, quando il sindaco Ignazio Marino, che aveva rimediato una raffica di no dalle donne del Pd, ha scelto Marta Leonori come assessore, liberando un posto. Così Di Stefano ha potuto occupare quel seggio e pochi giorni fa era in grande spolvero alla Leopolda. Ora è nel mirino dei pm. Oltre alla corruzione, occhi puntati anche sui presunti brogli targati Pd.

Altra stretta contro i furbetti: le banche denunceranno gli evasori

Spiati dalle banche per conto del fisco




Addio al segreto bancario. Dal 1 gennaio 2016 saremo schedati dalla nostra stessa banca, che trasmetterà al fisco tutte le informazioni relative a saldi di contro, controvalori di vendita delle attività finanziarie, interessi, dividendi. Ogni correntista (persona fisica e giuridica) si vedrà infatti attribuire un cartellino, una sorta di etichetta che lo renderà immediatamente identificabile presso l'amministrazione tributaria, con tutti i dati del correntista o dell'investitore.  Il tutto anche al fine di individuare, come riporta Italia Oggi, i capital gain sulle compravendite di attività finanziarie. A carico delle banche ci sarà anche il compito di effettuare una sorta di valutazione preventiva sulla "qualità" del correntista, in modo che l'amministrazione finanziaria sia in possesso di una bussola per orientare eventuali controlli. Il nuovo sistema di controllo dei conti correnti entrerà in vigore come conseguenza dell'adesione del nostro Paese all'accordo globale dell'Ocse Common reporting standard, cui entro il 2018 aderirà un totale di 90 Paesi nel mondo.

venerdì 7 novembre 2014

Due professoresse facevano sesso con gli alunni: sms in codice per gli incontri

Due professoresse facevano sesso con gli alunni: sms in codice per gli incontri


di Luisa De Montis 




Lo scandalo è scoppiato ad Arezzo. Sms in codice per fissare gli appuntamenti hard in un casolare. Sembra un film degli anni Settanta, una di quelle sexy commedie che tanto piacevano agli italiani, con Edwige Fenech, Gloria Guida e l’immancabile Pierino di Alvaro Vitali. In una scuola superiore di Arezzo è scoppiato uno scandalo perché due professoresse facevano sesso con gli studenti. A scoprirlo sono stati gli investigatori privati assoldati dal marito di una delle insegnanti. La notizia è stata riportata dalla cronaca locale de "La Nazione". A quanto pare le due prof erano molto generose con alcuni loro allievi, non solo per i voti e le lezioni.

"Mia moglie è diventata assente, non so cosa le stia succedendo", aveva detto l’uomo all'agenzia privata a cui si è affidato per chiedere il controllo sulla consorte. Gli investigatori in poco tempo hanno scoperto la ragione di tanta freddezza. Due insegnanti dell’ultimo anno avevano avevano affittato un casale in aperta campagna che era il teatro degli "incontri proibiti". A far scattare l'appuntamento bastava un sms in codice: "Oggi gita in campagna". Chi doveva capire capiva e il pomeriggio veniva dedicato al ripasso delle lezioni. Solo che non erano lezioni di latino ma un po'... più spinte.

Scoperta la storia agli investigatori dell’agenzia si è posto il problema di come informare il marito dello strano vizietto della sua signora. Si è deciso, così, di rivolgersi a uno psicologo che ha assistito gli 007 al momento di spiegare tutto a chi li aveva ingaggiato. Un finale così neanche in un film di Pierino lo avrebbero immaginato.

Gli amici di Renzi hanno il braccino corto Silvio vince la corsa agli sponsor

Fondi privati ai partiti: Silvio doppia Renzi

di Franco Bechis 


Matteo Renzi non ha cambiato un granché nella tradizionale disaffezione che gli italiani nutrono verso la politica. Più ancora della scarsa propensione a recarsi alle urne fatta vedere alle ultime elezioni, vale la raccolta fondi privati fatta dai principali partiti italiani e dai loro esponenti nei primi 10 mesi del 2014: stando alle dichiarazioni pervenute alla tesoreria del Parlamento in tutto si sono racimolati 7 milioni e 786 mila euro. Circa 780 mila euro al mese, che sono davvero pochini se si pensa che questo 2014 era il primo anno di riduzione del finanziamento pubblico ai partiti, che quindi avevano tutto l’interesse di raccogliere fondi privati. Non solo: il 2014 è stato anche un anno elettorale, e gli italiani sono andati alle urne oltre che per le Europee, anche per il rinnovo di qualche importante consiglio regionale e numerose amministrazioni locali.

Renzi non ha attratto come una calamita fondi di privati e imprese, come ci si sarebbe immaginati. Non è il Pd (nonostante il successo di molte campagne elettorali personali dei suoi candidati) ad avere raccolto il maggiore numero di fondi privati in questi mesi. Ad attrarre più di tutti è ancora Silvio Berlusconi: Forza Italia e i suoi principali esponenti o candidati alle europee hanno raccolto in tutto finanziamenti per 2 milioni e 923 mila euro. Renzi e il suo Pd sono arrivati poco sopra la metà di quella raccolta: in tutto un milione e 976 mila euro. Al terzo posto nella classifica della raccolta fondi politici si è piazzato Angelino Alfano con il Nuovo centro destra e la squadra dei candidati alle europee: insieme hanno raccolto 629 mila euro. Quarto posto in classifica per Sel: 472 mila euro raccolti. Nella raccolta però ci sono anche partite di giro interne, come i 130 mila euro che Sel stessa ha versato nelle casse della «Associazione Fabbrica di Nichi» a Bari, che è stata fondata da Nichi Vendola, leader di Sel. Quinto posto nella raccolta per Scelta civica, che ha racimolato 360 mila euro compreso il versamento personale (non stratosferico) del fondatore Mario Monti, che ha donato 6 mila euro.

Sesto posto per la Svp (272 mila euro raccolti), settimo posto per il Partito radicale (140 mila euro, ma il versamento è della Lista Pannella), ottavo per la rediviva Italia dei valori (130 mila euro, ma si tratta quasi sempre di trasferimenti dal partito stesso ai candidati), nono posto per Fratelli di Italia (126.800 euro) e decimo e ultimo posto per la Lega Nord (82.500 euro). Matteo Salvini conquista a passo di marcia elettori, ma sui portafogli che contano è un po’ indietro.

Nei singoli versamenti non mancano numerose sorprese. Una è quasi simbolo della nuova era politica del renzusconismo: a Torino l’ex senatore e tutt’ora dirigente di Forza Italia, Aldo Scarabosio, ha versato 20 mila euro a Sergio Chiamparino per le regionali piemontesi. Una scelta di campo che secondo le voci maligne ha anche delle ragioni familiari: la signora Scarabosio, Patrizia Polliotto, era membro del comitato di gestione della Compagnia di San Paolo, su nomina della Regione Piemonte. Comprensibile volersi tenere buono Chiamparino, che era vincitore sicuro nella corsa elettorale, e a cui sarebbe spettato il potere di conferma o meno della signora Scarabosio. Fra le curiosità anche il portafoglio che Maurizio Mian ha aperto per le europee. Non grandi somme: 20 mila euro per Simona Bonafè e 9.900 euro per l’altro renziano toscano Nicola Danti (ex vicesindaco di Pontassieve). Mian però era azionista rilevante de l’Unità (quando vi entrò si nascose dietro la leggenda del cane lupo Gunther, fantasioso ereditiere): in quelle stesse settimane si è rifiutato di contribuire al salvataggio del quotidiano, ma ha versato contributi ai renziani. Curioso ma non troppo il versamento di 10 mila euro fatto da Diego Della Valle al Pd Leonardo Domenici, predecessore (e rivale evidente) di Renzi sulla poltrona di primo cittadino di Firenze.

Fra i versamenti a Forza Italia colpiscono invece i 10 mila euro donati dalla Domus Caritatis società cooperativa sociale di Roma: è quella che ha in mano la gestione della maggiore parte dei centri immigrati e profughi nella zona centrale di Italia. Viene dal cuore della Padania invece il maggiore contributo ricevuto dall’ex ministro Cecile Kyenge: i 25 mila euro a lei versati dal Gruppo Officine Piccini di Milano. Il fatturato di quell’azienda è realizzato però per la metà in Africa, e si capisce di più la predilezione per la Kyenge. Fra i versamenti interni al Pd sono appaiati due che quasi cozzano: Rosy Bindi ha donato 10 mila euro, il ministro Marianna Madia appena 6 mila.

Fra i contributi più curiosi quello ricevuto dalla mancata europarlamentare azzurra Licia Ronzulli: 20 mila euro da Hasan Cuneyd Zapsu, fondatore e leader di partito in Turchia e a lungo collaboratore stretto del presidente turco Erdogan.

"Congiura in Vaticano, il Papa si dimette" Tutti quelli che remano contro Francesco

Dagospia, indiscrezione vaticana: "Papa Francesco verso le dimissioni. Dopo di lui Angelo Scola"




Dopo Ratzinger, Bergoglio. Un'indiscrezione vaticana dalla portata clamorosa. Parola d'ordine: dimissioni. Anche Papa Francesco potrebbe lasciare il soglio. E' quanto sostiene Dagospia in un dettagliato report in cui si sostiene che "Oltretevere tira già aria di preconclave". L'ultimo indizio? L'intervista di Camillo Ruini al Corriere della Sera, in cui negava che i cardinali tradizionalisti si fossero recati da Ratzinger per cercare di ordire una sorta di congiura contro il sinodo di Francesco. Eppure, ricorda Dago, Ruini ha spiegato che da Benedetto XVI ci andò proprio lui, proprio prima del sinodo. Insomma, le manovre "dietro le quinte" di Ruini procederebbero senza soluzione di continuità. E, soprattutto, sostiene il report, "tutti sanno che Bergoglio presto o tardi rinuncerà al soglio". Il prossimo Papa - Il passo successivo è il toto-Pontefice. Chi, dopo Francesco? Anche su questo punto ci sarebbe un'ipotesi ben precisa. Un quadro che ricorderebbe quello del 2013, quando fu eletto un Papa - Francesco - bocciato nel precedente Conclave. In questo caso il "bocciato" (nel 2013) che verrebbe "promosso" Papa al prossimo Conclave sarebbe Angelo Scola, quello che Ruini considererebbe "il male minore", l'ex patriarca di Venezia e oggi arcivescovo di Milano. Dago fa notare malizioso come Scola, lo scorso 12 settembre, "ha aperto la campagna elettorale" presentando a Milano il libro di Massimo Franco sul Papa, Francesco.

Problemi papali - A rafforzare le voci, poi, ci sarebbero i problemi di Francesco nella gestione del suo papato (si pensi alle frizioni dell'ultimo sinodo). Poi la questione delle nomine dei vescovi, che sarebbe tenuta in pugno dal cardinale Marc Ouellet - dunque non da Bergoglio -, ossia da un fedelissimo proprio di Scola. Stando a quanto si legge nel report, ci sarebbero poi altri due personaggi chiave in questo intrigo vaticano: Angelo Becciu, sostituto alla segreteria di Stato (bertoniano) e Leonardo Sapienza, il reggente della casa pontificia nominato nel 2012 da Benedetto XVI. Sarebbero loro, oggi, a decidere "tuttissimo" in Vaticano. E ci sarebbero loro dietro alla possibile e futuribile scelta di Francesco di rinunciare al soglio.