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venerdì 7 novembre 2014

Gli amici di Renzi hanno il braccino corto Silvio vince la corsa agli sponsor

Fondi privati ai partiti: Silvio doppia Renzi

di Franco Bechis 


Matteo Renzi non ha cambiato un granché nella tradizionale disaffezione che gli italiani nutrono verso la politica. Più ancora della scarsa propensione a recarsi alle urne fatta vedere alle ultime elezioni, vale la raccolta fondi privati fatta dai principali partiti italiani e dai loro esponenti nei primi 10 mesi del 2014: stando alle dichiarazioni pervenute alla tesoreria del Parlamento in tutto si sono racimolati 7 milioni e 786 mila euro. Circa 780 mila euro al mese, che sono davvero pochini se si pensa che questo 2014 era il primo anno di riduzione del finanziamento pubblico ai partiti, che quindi avevano tutto l’interesse di raccogliere fondi privati. Non solo: il 2014 è stato anche un anno elettorale, e gli italiani sono andati alle urne oltre che per le Europee, anche per il rinnovo di qualche importante consiglio regionale e numerose amministrazioni locali.

Renzi non ha attratto come una calamita fondi di privati e imprese, come ci si sarebbe immaginati. Non è il Pd (nonostante il successo di molte campagne elettorali personali dei suoi candidati) ad avere raccolto il maggiore numero di fondi privati in questi mesi. Ad attrarre più di tutti è ancora Silvio Berlusconi: Forza Italia e i suoi principali esponenti o candidati alle europee hanno raccolto in tutto finanziamenti per 2 milioni e 923 mila euro. Renzi e il suo Pd sono arrivati poco sopra la metà di quella raccolta: in tutto un milione e 976 mila euro. Al terzo posto nella classifica della raccolta fondi politici si è piazzato Angelino Alfano con il Nuovo centro destra e la squadra dei candidati alle europee: insieme hanno raccolto 629 mila euro. Quarto posto in classifica per Sel: 472 mila euro raccolti. Nella raccolta però ci sono anche partite di giro interne, come i 130 mila euro che Sel stessa ha versato nelle casse della «Associazione Fabbrica di Nichi» a Bari, che è stata fondata da Nichi Vendola, leader di Sel. Quinto posto nella raccolta per Scelta civica, che ha racimolato 360 mila euro compreso il versamento personale (non stratosferico) del fondatore Mario Monti, che ha donato 6 mila euro.

Sesto posto per la Svp (272 mila euro raccolti), settimo posto per il Partito radicale (140 mila euro, ma il versamento è della Lista Pannella), ottavo per la rediviva Italia dei valori (130 mila euro, ma si tratta quasi sempre di trasferimenti dal partito stesso ai candidati), nono posto per Fratelli di Italia (126.800 euro) e decimo e ultimo posto per la Lega Nord (82.500 euro). Matteo Salvini conquista a passo di marcia elettori, ma sui portafogli che contano è un po’ indietro.

Nei singoli versamenti non mancano numerose sorprese. Una è quasi simbolo della nuova era politica del renzusconismo: a Torino l’ex senatore e tutt’ora dirigente di Forza Italia, Aldo Scarabosio, ha versato 20 mila euro a Sergio Chiamparino per le regionali piemontesi. Una scelta di campo che secondo le voci maligne ha anche delle ragioni familiari: la signora Scarabosio, Patrizia Polliotto, era membro del comitato di gestione della Compagnia di San Paolo, su nomina della Regione Piemonte. Comprensibile volersi tenere buono Chiamparino, che era vincitore sicuro nella corsa elettorale, e a cui sarebbe spettato il potere di conferma o meno della signora Scarabosio. Fra le curiosità anche il portafoglio che Maurizio Mian ha aperto per le europee. Non grandi somme: 20 mila euro per Simona Bonafè e 9.900 euro per l’altro renziano toscano Nicola Danti (ex vicesindaco di Pontassieve). Mian però era azionista rilevante de l’Unità (quando vi entrò si nascose dietro la leggenda del cane lupo Gunther, fantasioso ereditiere): in quelle stesse settimane si è rifiutato di contribuire al salvataggio del quotidiano, ma ha versato contributi ai renziani. Curioso ma non troppo il versamento di 10 mila euro fatto da Diego Della Valle al Pd Leonardo Domenici, predecessore (e rivale evidente) di Renzi sulla poltrona di primo cittadino di Firenze.

Fra i versamenti a Forza Italia colpiscono invece i 10 mila euro donati dalla Domus Caritatis società cooperativa sociale di Roma: è quella che ha in mano la gestione della maggiore parte dei centri immigrati e profughi nella zona centrale di Italia. Viene dal cuore della Padania invece il maggiore contributo ricevuto dall’ex ministro Cecile Kyenge: i 25 mila euro a lei versati dal Gruppo Officine Piccini di Milano. Il fatturato di quell’azienda è realizzato però per la metà in Africa, e si capisce di più la predilezione per la Kyenge. Fra i versamenti interni al Pd sono appaiati due che quasi cozzano: Rosy Bindi ha donato 10 mila euro, il ministro Marianna Madia appena 6 mila.

Fra i contributi più curiosi quello ricevuto dalla mancata europarlamentare azzurra Licia Ronzulli: 20 mila euro da Hasan Cuneyd Zapsu, fondatore e leader di partito in Turchia e a lungo collaboratore stretto del presidente turco Erdogan.

"Congiura in Vaticano, il Papa si dimette" Tutti quelli che remano contro Francesco

Dagospia, indiscrezione vaticana: "Papa Francesco verso le dimissioni. Dopo di lui Angelo Scola"




Dopo Ratzinger, Bergoglio. Un'indiscrezione vaticana dalla portata clamorosa. Parola d'ordine: dimissioni. Anche Papa Francesco potrebbe lasciare il soglio. E' quanto sostiene Dagospia in un dettagliato report in cui si sostiene che "Oltretevere tira già aria di preconclave". L'ultimo indizio? L'intervista di Camillo Ruini al Corriere della Sera, in cui negava che i cardinali tradizionalisti si fossero recati da Ratzinger per cercare di ordire una sorta di congiura contro il sinodo di Francesco. Eppure, ricorda Dago, Ruini ha spiegato che da Benedetto XVI ci andò proprio lui, proprio prima del sinodo. Insomma, le manovre "dietro le quinte" di Ruini procederebbero senza soluzione di continuità. E, soprattutto, sostiene il report, "tutti sanno che Bergoglio presto o tardi rinuncerà al soglio". Il prossimo Papa - Il passo successivo è il toto-Pontefice. Chi, dopo Francesco? Anche su questo punto ci sarebbe un'ipotesi ben precisa. Un quadro che ricorderebbe quello del 2013, quando fu eletto un Papa - Francesco - bocciato nel precedente Conclave. In questo caso il "bocciato" (nel 2013) che verrebbe "promosso" Papa al prossimo Conclave sarebbe Angelo Scola, quello che Ruini considererebbe "il male minore", l'ex patriarca di Venezia e oggi arcivescovo di Milano. Dago fa notare malizioso come Scola, lo scorso 12 settembre, "ha aperto la campagna elettorale" presentando a Milano il libro di Massimo Franco sul Papa, Francesco.

Problemi papali - A rafforzare le voci, poi, ci sarebbero i problemi di Francesco nella gestione del suo papato (si pensi alle frizioni dell'ultimo sinodo). Poi la questione delle nomine dei vescovi, che sarebbe tenuta in pugno dal cardinale Marc Ouellet - dunque non da Bergoglio -, ossia da un fedelissimo proprio di Scola. Stando a quanto si legge nel report, ci sarebbero poi altri due personaggi chiave in questo intrigo vaticano: Angelo Becciu, sostituto alla segreteria di Stato (bertoniano) e Leonardo Sapienza, il reggente della casa pontificia nominato nel 2012 da Benedetto XVI. Sarebbero loro, oggi, a decidere "tuttissimo" in Vaticano. E ci sarebbero loro dietro alla possibile e futuribile scelta di Francesco di rinunciare al soglio.

Per le toghe è finita la pacchia Sì al taglio delle ferie ai magistrati

Giustizia civile, la Camera approva la riforma: divorzio breve e ferie tagliate ai magistrati, tutte le novità




Sì alla sforbiciata alle ferie dei magistrati. E' la parte più succosa, insieme a quella relativa al divorzio breve, della riforma del processo civile approvata giovedì alla Camera con 353 sì e 192 no. Nel pacchetto di norme rientrano anche l'aumento della mora per chi non paga i debiti e nuove modalità di pignoramento degli autoveicoli.

Ridotte le ferie ai magistrati - Nuovi termini di sospensione feriale dei procedimenti: il periodo feriale nei tribunali sarà dall'1 al 31 agosto (non più fino al 15 settembre). Rivista anche la disciplina della durata del periodo annuale di ferie di tutti i magistrati professionali e degli Avvocati e procuratori dello Stato: 30 giorni.

Chi non paga i debiti, paga di più - In coordinamento con la disciplina comunitaria sui ritardi nei pagamenti relativi alle operazioni commerciali (attuata con decreto legislativo n. 231 del 2002, recentemente modificato), è previsto uno specifico incremento del saggio di interesse moratorio dal momento della proposizione della domanda giudiziale. Il creditore, inoltre, deve poter conoscere tutti i beni del debitore. In materia di espropriazione presso terzi in generale si provvede, quale diretta conseguenza dell'introduzione delle nuove norme in materia di competenza territoriale, ad eliminare i casi in cui il terzo tenuto al pagamento di somme di denaro deve comparire in udienza per rendere la dichiarazione (crediti retributivi). Ne consegue che la dichiarazione sarà resa dal terzo in ogni caso a mezzo lettera raccomandata o posta elettronica certificata.

Autoveicoli, nuove modalità di pignoramento - E' stata inoltre riformata la disciplina del pignoramento dei veicoli terrestri, prevedendo una modalità di pignoramento mutuata dalla disciplina contenuta nel codice della navigazione relativa all'apprensione delle navi e degli aeromobili, così da superare le criticità dell’esecuzione di questi beni.

Trasparenza dei fallimenti - Con la finalità di consentire al giudice di esercitare un controllo efficace sullo stato delle procedure concorsuali, si prevede a carico del curatore, del liquidatore o del commissario giudiziale l'obbligo di elaborazione e di deposito del rapporto riepilogativo finale, da redigere in conformità a quanto già previsto dalla legge fallimentare. L'intervento eviterà le numerosissime condanne per violazione della ragionevole durata del 
processo.

Uffici dei giudici di pace - In seguito alle attività di monitoraggio svolte presso il ministero della Giustizia, è emersa la necessità di un riequilibrio dei flussi delle sopravvenienze degli uffici di grandi dimensioni (Roma e Napoli). Per questo si è provveduto a ripristinare l'Ufficio del Giudice di Pace di Barra (Napoli) e a istituire l'ufficio del Giudice di Pace di Ostia (Roma).

Lettere dal fisco per sei miliardi Ecco chi sono i destinatari

Lettere minatorie del fisco per recuperare 6 miliardi

di Franco Bechis 


Le lettere sono pronte, e debbono solo essere spedite. L’Agenzia delle Entrate invierà nelle prossime settimane circa 2 mila missive di avvertimento alle grandi imprese italiane e alle medie imprese che negli anni scorsi risultavano ricomprese nella categoria superiore. Chi le riceverà si troverà con tono molto amicale una sorta di avviso di garanzia fiscale: l’Agenzia delle Entrate ipotizza una serie (in molte ci saranno anche esempi di dettaglio) di possibili violazioni compiute alla normativa fiscale ed è pronta ad avviare le procedure classiche di accertamento, con tutto quel che ne potrebbe conseguire. Dal tenore della lettera si comprende che l’Agenzia è pronta all’azione, ma si lascia al grande contribuente la possibilità di evitare i guai ben conosciuti. Come? Rispondendo in tempi brevi alla lettera e dichiarandosi disposto a regolarizzare le possibili mancanze fiscali individuate. Può farlo senza grandi guai suppletivi nell’arco di quasi due anni.

L’operazione è stata illustrata dallo stesso nuovo direttore del’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, durante una cena informale con un gruppo di parlamentari (deputati e senatori) circa due settimane fa. Verrà presentata ovviamente come una sorta di «Fisco amico» nei confronti dei grandi contribuenti, o per dirla in modo più tecnico, come un tassello fondamentale del capitolo «tax compliance» che deriverebbe dall’approvazione della legge delega in materia fiscale e dalle recenti direttive arrivate dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Ma è chiaro che quelle duemila lettere hanno anche la funzione di sollecitare nuove entrate nelle casse dello Stato contando sulla paura di controlli che ogni impresa ha. E infatti si ipotizzano al momento maggiori entrate oscillanti fra 5 e 6 miliardi di euro.

Per altro non è che nel 2014 stia brillando troppo l’attività di contrasto all’evasione. Cade il Pil, si evade anche meno: c’è crisi proprio per tutti, e la Agenzia delle Entrate non ne è immune. Nella relazione sull’evasione fiscale che il ministero dell’Economia ha allegato all’ultimo Def si rivela infatti come l’anno non sia iniziato con risultati straordinari, anzi. «Nel corso del primo quadrimestre del 2014», scrive Padoan, «si è registrata una contrazione pari a 50 milioni degli incassi derivanti da attività di liquidazione dell’imposta, dovuta ad una riduzione dei versamenti diretti dello 0.69% e una cospicua diminuzione della riscossione coattiva del 7,65%». Nello stesso documento per altro si spiegava: «Ai fini del miglioramento dell’attività di contrasto all’evasione, assumono particolare rilevanza tutte le forme di contatto e comunicazione con i contribuenti, idonee a migliorare il rapporto con il Fisco, in un’ottica di fiducia, ai fini dell’innalzamento del livello di adempimento spontaneo (c.d. tax compliance)». Il ministero dell’Economia ha chiesto alla Agenzia delle Entrate di consolidare «l’attività di analisi della posizione fiscale di ciascun grande contribuente (attraverso il tutoraggio) in modo da assicurare una maggiore efficacia del giudizio prognostico circa la maggiore o minore rischiosità dei soggetti», compilando una sorta di lista di buoni e cattivi sotto il profilo fiscale che costituisce la base analitica proprio per la scelta del campione a cui inviare quelle duemila lettere. Padoan ha spiegato al Parlamento che «saranno previsti sistemi di gestione e controllo interno dei rischi fiscali da parte dei grandi contribuenti. La loro esistenza consentirà un rapporto con il fisco basato su maggiore trasparenza del contribuente circa il proprio operato, un’interlocuzione più assidua con l’Amministrazione Finanziaria, il chiarimento tempestivo di dubbi interpretativi: quindi, maggiore certezza. Sarà potenziato il tutoraggio, anche nei confronti dei contribuenti minori».

La richiesta sostanziale di presentarsi al fisco con le mani in alto viene presentata dal governo come corollario delle nuove norme sul ravvedimento operoso inserite nella legge di stabilità 2015, ma tutto sembra meno che una strizzatina d’occhio ai contribuenti. È evidente che i costi legali e organizzativi di subire un accertamento, con i rischi che comporta il procedimento, potrebbe convincere molte imprese ad aderire alla richiesta che arriva dalla Agenzia delle Entrate, senza nemmeno provare a fare valere in modo così costoso le proprie ragioni. D’altra parte la stessa Agenzia ha percentuali di successo nel settore piuttosto invidiabili. Nel 2013 ha eseguito a campione 2.981 accertamenti, e di questi 2.923 sono risultati positivi per l’Agenzia, che ha portato alla luce imposte non pagate per 1,668 miliardi di euro.

giovedì 6 novembre 2014

Bruno Vespa smaschera i voltagabbana: quei miti di sinistra che erano fascisti

Da Dario Fo ad Eugenio Scalfari: nel libro di Bruno Vespa, tutti gli intellettuali di sinistra che furono fascisti




La storia del nostro Paese è ricca di retroscena e di aneddoti destinati a fare scalpore: tra queste storie, diverse vengono svelate o ricordate da Bruno Vespa nel suo nuovo libro, Italiani volta gabbana. Dalla prima guerra mondiale alla Terza Repubblica, sempre sul carro del vincitore, in uscita oggi, giovedì 6 novembre (edizione Mondadori). Nel terzo capitolo di questo volume, Vespa parla di diversi intellettuali che si dichiararono antifascisti alla caduta del regime di Benito Mussolini, ma che prima stavano dalla parte del Duce: tra di loro ci sono nomi altisonanti, come Giuseppe Ungaretti o Dario Fo, o altri comunque ben noti, come Indro Montanelli o Enzo Biagi. Tutto nasce dalla rivista Primato, diretta da Giuseppe Bottai: il politico fascista più illuminato sul piano culturale, ma anche il più feroce sostenitore delle leggi razziali. La rivista nacque nel 1940 e chiuse il 25 luglio 1943, e furono tantissimi intellettuali a collaborare per questo giornale.

Voltagabbana - "Fascista in eterno": si definì così Ungaretti durante il regime. Il poeta notò che "tutti gli italiani amano e venerano il loro Duce come un fratello maggiore", e firmava appelli per sostenere Mussolini, salvo poi rinnegarlo dopo il 25 luglio 1943, quando firmò documenti contrari ai precedenti, tanto da meritarsi una grande accoglienza a Mosca da parte di Nikita Kruscev. Stessa parabola per Norberto Bobbio, che da studente si era iscritto al Guf (l'organismo universitario fascista) e aveva mantenuto la tessera del partito, indispensabile per insegnare. Il filosofo e senatore a vita, cercò raccomandazioni per poter evitare problemi che gli derivavano da frequentazioni "non sempre ortodosse", e il padre Luigi fu costretto a rivolgersi allo stesso Mussolini. Bobbio ottenne la cattedra, mentre nel dopoguerra diventò un emblema della sinistra riformista: il 12 giugno 1999, a Pietrangelo Buttafuoco del quotidiano Il Foglio, il filosofo ammise: "Il fascismo l'abbiamo rimosso perché ce ne vergognavamo. Io che ho vissuto la gioventù fascista mi vergognavo di fronte a me stesso, a chi era stato in prigione e a chi non era sopravvissuto".

 Gli altri nomi - Indro Montanelli non ha mai nascosto di essere stato fascista: "Non chiedo scusa a nessuno", ribadiva sul Corriere della Sera. Stesso discorso per Enzo Biagi, che nel dopoguerra ha sempre mantenuto gratitudine per Bottai. Eugenio Scalfari, dopo il 1945, parlò di "quaranta milioni di fascisti che scoprirono di essere antifascisti", senza celare mai le proprie ferme convinzioni giovanili: anche lui, fino alla sua caduta, sostenne il fascismo e la sua economia corporativa. Più difficile è stato negare la propria fede fascista, da parte di Dario Fo, che a 18 anni si arruolò nel battaglione Azzurro di Tradate (contraerea) e poi tra i paracadutisti del battaglione Mazzarini della Repubblica Sociale Italiana. Nel 1977 Il Nord, piccolo giornale di Borgomanero, raccontò quei trascorsi della vita di Fo: l'attore querelò subito Il Nord, e al processo disse che l'arruolamento era stato soltanto "un metodo di lotta partigiana". Le testimonianze, invece, lo inchiodarono: la sentenza del tribunale di Varese, datata 7 marzo 1980, stabilì che "è perfettamente legittimo definire Dario Fo repubblichino e rastrellatore di partigiani". Dario Fo non fece ricorso.

"Ti piace il Lego?". "Ma vattene in galera" Storace-Borghezio, finisce con un "vaffa"

Francesco Storace, la gag alla Camera e quel "vaffa" a Mario Borghezio




Francesco Storace è in attesa di sentenza per l'accusa di vilipendio al Quirinale, reo di aver usato nel 2007 la parola "indegno" riferendosi al Capo dello Stato. Beccato nel salone del "transatlantico" a conversare con l'europarlamentare leghista Mario Borghezio, nel lussuoso corridoio di Montecitorio i due si lasciano andare, a sentire quel che dice il Corriere, a una divertente conversazione. L'ex presidente dellla regione Lazio rimprovera al Carroccio la scarsa solidarietà: "Salvini è l'unico che non si è sentito - fa il leader della Destra a Borghezio -, eppure quando giocavate al Lego per la Secessione eravate compatti". Borghezio si difende e poi la spara: "Se vai in galera è meglio per voi, potresti fare la vittima..." Pronta risposta di Storace: "A Borghè, ma vaffa..."

BERLUSCONI GRAZIATO (QUASI) Cosa accadde quel giorno al Colle

La grazia a Silvio Berlusconi, Angelino Alfano racconta cosa accadde al Quirinale




"Quello che a me appariva un gran risultato in realtà era il nulla, restai delusissimo". A parlare è Angelino Alfano che, in una delle ultime anticipazioni da Italiani volta gabbana, l'ultimo libro di Bruno Vespa in uscita oggi, 6 novembre, racconta l'incontro avvenuto a settembre 2013 al Quirinale con Giorgio Napolitano. "Chiesi un appuntamento al presidente della Repubblica e gli preannunciai al telefono che volevo parlargli della grazia" a Silvio Berlusconi. All'epoca le condizioni per la concessione della grazia al Cavaliere, a sentire lo stesso Berlusconi intervistato da Vespa erano due: dimissioni da senatore e rinuncia all'attività politica. Ma Alfano era riuscito, a suo dire, a strappare qualcosa di più clamoroso in ritorno dal Colle, che però fu accolto con freddezza dall'entourage del Presidente a Palazzo Grazioli: su tutti, pesò il no di Niccolò Ghedini (avvocato, deputato Pdl e consigliere del Cavaliere).

Alfano al Quirinale - "Preparai con Berlusconi l'incontro con Napolitano, che avvenne nella tarda mattinata del 24 settembre - spiega Alfano - e il presidente della Repubblica mi ascolta con grande serietà, rinnovai formalmente a nome del Pdl la richiesta che Berlusconi fosse nominato senatore a vita, poi entrammo nel merito della grazia. Il presidente mi dice quattro cose: 1) Se Berlusconi si dimette prima del voto sulla decadenza evitando al Senato un grande trauma, lui è pronto a concedergli la grazia. 2) E' disponibile anche a rivedere le condizioni (mentre finora Napolitano aveva detto che avrebbe esaminato una domanda, ora si dimostra disponibile a riconsiderare l'ipotesi di un gesto unilaterale). 3) Aggiunge di essere pronto a diffondere un comunicato in cui dice che il giudizio penale sul caso Mediatrade riguarda il Berlusconi imprenditore e che la sua biografia è in raltà molto più articolata. 4) Si dice infine disponibile a fare un appello al Parlamento in favore di un provvedimento generale di amnistia e indulto".

Alfano a Palazzo Grazioli - Con questi quattro capi saldi dalla sua Alfano torna da Berlusconi con la buona notizia: "Benché graziato e senza più il seggio di senatore" il cavaliere "avrebbe potuto continuare a esprimere liberamente le sue idee". In soldoni non gli era pregiudicata nessuna agibilità politica. Ma Berlusconi, sempre secondo quanto afferma il capo del Viminale lo ascoltò senza replicare, "Quello che a me appariva un gran risultato in realtà era il nulla, restai delusissimo, ribadii che, se non si fosse dimesso, sarebbe comunque decaduto per le norme della legge Severino". Poi entrò Niccolo Ghedini e disse che la proposta di Napolitano equivaleva a far ritirare il Cavaliere dall'attività politica" e non se ne fece niente. Infine "entrò Berlusconi, e disse solo 'andiamo a pranzo' e non se ne parlò più."