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domenica 5 ottobre 2014

Giallo sulle nozze di Elisabetta Canalis. Spunta un documento: "Le nozze non sono valide". Ecco perché...

Giallo sulle nozze di Elisabetta Canalis. Spunta un documento: "Le nozze non sono valide"




Giallo sulle nozze di Elisabetta Canalis e Brian Perri. A quanto pare, secondo quanto racconta il settimanale Di Più, le nozze non sarebbero state convalidate. Un documento pubblicato dal settimanale, mostra l'"Avviso di celebrazione del matrimonio" e attesta che il 14 settembre scorso Elisabetta Canalis e Brian Perri si sono sposati ad Alghero, ma indica un irregolarità: la Canalis non avrebbe annunciato le sue nozze al Comune di Milano, dove risiede, con le pubblicazioni di matrimonio come prevede la legge. "Questo documento", spiega a Di Più l'avvocato matrimonialista Gian Ettore Gassani "rimane pubblico per dieci giorni consecutivi per permettere a chi abbia valide ragioni di farsi avanti e contestare il matrimonio. Inoltre la Canalis, - aggiunge Gassani - lo sposo, e il sacerdote che ha officiato il rito, che aveva anche lui l'obbligo di controllare le pubblicazioni, hanno commesso una infrazione e pagheranno una ammenda da duecento euro a testa". 

Processo a Carlo De Benedetti Ecco chi pagherà i suoi danni...

Se arriva la condanna, i danni di De Benedetti li pagherà la Telecom

di Giacomo Amadori 


A Ivrea, nell’inchiesta per i morti di amianto all’Olivetti, sta per iniziare il gran ballo dei risarcimenti. Infatti per gli eventuali imputati sarà più facile ottenere le attenuanti se avranno pagato i danni patrimoniali e morali ai superstiti e ai famigliari delle vittime. Però la vera partita milionaria si giocherà in sede civile dove a rischiare grosso non saranno solo i 39 dirigenti indagati, ma soprattutto il vecchio datore di lavoro che nel frattempo ha cambiato pelle e nome. Infatti nel 1999, la Ico (Ingegner Camillo Olivetti) spa, guidata dall’allora amministratore delegato Roberto Colaninno, attraverso una spericolata opa, si impossessò di Telecom e ne prese il nome. Così adesso errori e negligenze della vecchia dirigenza, da Carlo De Benedetti a Corrado Passera a Colaninno, potrebbero costare molto cari alla principale azienda italiana delle telecomunicazioni e ai loro clienti. Contattato da Libero, l’ufficio stampa di Telecom ha preferito non rilasciare dichiarazioni ufficiali sulla questione. 

Ma, a quanto ci risulta, in questi giorni a Ivrea l’azienda ha incaricato direttamente alcuni difensori degli indagati. Non basta. Anna Rosa Sapone, referente sul territorio canavese dell’Ufficio affari legali di Telecom, in particolari per i contratti business, dichiara: «Il processo Olivetti? Su questo tema la funzione competente è quella del contenzioso legale di Telecom. Certo, se la questione riguarda ex manager dell’Ico spa si applicano le norme di cui al contratto dirigenti, quindi c’è una manleva e un onere a carico dell’ex datore di lavoro, coerentemente con le norme contrattuali, altro non so». Un modo un po’ fumoso per ammettere che l’azienda telefonica non potrà lavarsene le mani, anche perché la società coinvolta dalla procura di Ivrea, la vecchia Ico spa, oggi si chiama Telecom: «È così, è sufficiente un controllo alla Camera di commercio per averne la conferma», ammette Sapone. Ben sapendo che le parti civili adesso si rivolgeranno al nuovo indirizzo. 

Per esempio lo farà l’avvocato generale dell’Istituto nazionale contro gli infortuni sul lavoro (Inail) Luigi La Peccerella, che con Libero anticipa: «Chiederemo di essere autorizzati a chiamare in giudizio come responsabile civile il datore di lavoro che ha causato il danno, cioè Telecom». Una mossa che è già stata ammessa dal giudice nel processo contro Ottorino Beltrami, amministratore delegato di Olivetti dal 1970 al 1978 (fu il predecessore di De Benedetti). Beltrami venne condannato per omicidio colposo sino al secondo grado di giudizio, ma la sua vicenda non giunse alla sentenza definitiva per la morte dello stesso Beltrami, avvenuta nell’estate del 2013. «Usciremo allo scoperto quando sarà fissata l’udienza preliminare» continua La Peccerella. Prima però all’Inail verificheranno che l’azienda di telecomunicazioni non provi a dribblare le propria «responsabilità civile» scaricando la vecchia Ico «con qualche giochetto societario». Ma perché chiedere conto a Telecom anziché ai manager che quei danni li hanno causati? «Perché non riusciremmo a far pagare certe cifre a dei dirigenti in pensione». Neppure a De Benedetti? «In sede penale i giudici potrebbero chiedere dei sequestri, ma prendersela con le persone fisiche a volte è inutile».

Come dimostra il caso di Stephan Schmidheiny, padrone svizzero della Eternit, proprietario di un sostanzioso patrimonio all’estero, ma non in Italia. Per questo nel processo Olivetti i superstiti e i parenti delle vittime molto probabilmente chiameranno in causa il debitore più abbiente e, senza perdere tempo con le persone fisiche, aggrediranno i beni di Telecom. In questo modo gli indagati la sfangheranno? «Dipende, la compagnia telefonica potrebbe avviare un’azione di rivalsa nei loro confronti e noi comunque faremo valere le nostre pretese anche sugli imputati» conclude La Peccerella. Provare a calcolare a quanto ammonteranno i risarcimenti è in questo momento abbastanza aleatorio.

Il loro valore verrà stabilito «in via equitativa» dai giudici civili e questi prenderanno in considerazione il danno patrimoniale e quello non patrimoniale, che verrà valutato in modo discrezionale dal tribunale. Laura D’Amico, legale di parte civile per conto della Cgil, esperta di processi per malattie professionali, prova a fare una previsione: «Nei casi in cui un lavoratore lascia una vedova e un paio di figli, considerando anche il danno per la sofferenza del morto, che passa in eredità, mediamente il risarcimento ammonta a 500-600 mila euro». In questo procedimento le vittime sono 15, ma altre se ne aggiungeranno con il fasciolo bis (che per ora riguarda una decina di casi), mentre i sindacati hanno raccolto attraverso i loro “sportelli amianto” un’altra trentina di episodi. Numeri che non rendono peregrina l’ipotesi di una cinquantina di risarcimenti che moltiplicati per mezzo milione di euro potrebbero, con stima prudenziale, far schizzare a non meno di 25 milioni di euro la somma degli indennizzi. 

Una prospettiva che non preoccupa D’Amico, tenace avversaria di un certo tipo di imprenditoria: «All’Olivetti non si faceva prevenzione, perché in questo territorio non c’era sensibilità sull’argomento, non vi erano ispezioni e i lavoratori erano tenuti nell’ignoranza e per questo non rivendicavano il loro diritto alla salute. E se nessuno ti controlla o ti chiede risarcimenti, tu puoi pensare solo al profitto. È una gran pacchia. Ecco qual era il capitalismo maturo di quei signori». 

Però i risparmi sulle bonifiche e sulle altre misure di prevenzione rischiano di essere pagati oggi con gli interessi da chi a quel disastro non ha materialmente preso parte. Bruna P., una delle vittime del processo, che con la sua malattia ha condotto alla sbarra Carlo De Benedetti, il fratello Franco, i figli Rodolfo e Marco, Corrado Passera, ma soprattutto Colaninno, l’uomo della scalata a Telecom, ricorda così gli anni ’90 in Olivetti: «Quando toccavamo le pareti rimaneva sulle mani del pulviscolo bianco e quando arrivavo alla mattina dovevo pulire la mia scrivania con uno straccio perché era piena di quella polvere». Dal 1990 in Italia si parlava del pericolo asbesto, ma non in Olivetti. «Avete ricevuto informazioni dall’azienda?» chiedono i pm. «No, assolutamente no» è la risposta della donna. Che ora chiederà a chi l’ha fatta ammalare il giusto risarcimento.

sabato 4 ottobre 2014

"Napolitano fu indagato per tangenti". La vendetta del sindaco cacciato

"Napolitano fu indagato per tangenti". La vendetta del sindaco cacciato


di Alessandro Sallusti 




De Magistris viene sospeso e lancia messaggi. Ricordando le inchieste scomode su Re Giorgio



La notizia non è propriamente inedita, ma se a rilanciarla con forza è un ex pm manettaro nonché sindaco della terza città italiana, l'effetto è assicurato: Giorgio Napolitano fu indagato per tangenti durante la stagione di Mani Pulite. Se la cavò, anche se all'epoca - cosa più unica che rara - nessuno ne seppe nulla perché la sua iscrizione nel registro degli indagati fu secretata e - cosa altrettanto anomala - il segreto resistette alla curiosità di giornalisti e politici.

Un trattamento speciale, insomma, che Luigi De Magistris, fino a ieri sera sindaco di Napoli, ha voluto ricordare forse come primo atto della sua vendetta per la condanna (abuso d'ufficio), e conseguente sospensione dalla carica di primo cittadino, in base alla legge Severino.

Per De Magistris, a Napolitano - e non ai ripetuti e clamorosi svarioni da pm - si devono le sue disgrazie: prima la cacciata dalla magistratura, poi da sindaco. Un complotto, insomma, al quale crede solo lui. Perché Napolitano dovrebbe avercela tanto con lo sciagurato ex magistrato, non è chiaro. Evidente è invece il tentativo di De Magistris di inquinare i pozzi della politica utilizzando informazioni che aveva acquisito vestendo la toga. E questo la dice lunga su chi aveva e ancora oggi ha in mano la nostra giustizia.

In quanto a Napolitano, nulla ci sorprende. All'epoca dei fatti l'attuale Re Giorgio era presidente di quella Camera che si arrese alle toghe. Le quali riuscirono a fare breccia nell'immunità parlamentare ottenendo proprio da lui che le votazioni sulle autorizzazioni all'arresto dei deputati passassero da segrete a palesi. Fu la sua una scelta morale, un favore, uno scambio conveniente? Chi può dirlo. Sta di fatto che Napolitano fu l'unico politico a non finire al gabbio a fronte della confessione di un imprenditore che sosteneva di aver versato 200 milioni di lire alla sua corrente. Non più segreto il voto, segreta l'indagine, segreta pure l'assoluzione. E un bel segreto che resta ancora sullo sfondo: come mai nessun politico del Pci, partito di cui Napolitano era leader, finì nei guai? Forse nel «pizzino» di De Magistris c'è un indizio di risposta.

Berlusconi: "Chiudo Forza Italia e faccio un altro partito"





Berlusconi: "Chiudo Forza Italia e faccio un altro partito"



Silvio Berlusconi starebbe per chiudere Forza Italia. La rifondazione del partito, purtroppo, è stata un fallimento: "Non si è ricreato lo spirito del '94", confida il Cavaliere, e tutti "restano sulle proprie posizioni". I continui maldipancia interni, gli scontri fra le varie anime azzurre e poi, da ultimo, la lite con Raffaele Fitto - "uno che procura solo guai" - hanno davvero logorato l'ex premier. A questo punto si chiede Berlusconi, "cosa me ne faccio di un partito dove non posso difendermi dai contestatori?". "Cosa me ne faccio di un partito pieno di debiti perché i parlamentari non contribuiscono economicamente?".

Predellino ter - La domanda è retorica. Il Cavaliere sa già cosa vuole. Ma l'idea di fondare un nuovo partito, seppure attraente, dipende dalla sua futura ricandidabilità e dalla nuova legge elettorale. Se l'Italicum dovesse contemplare un premio di maggioranza per la lista con più voti, allora Berlusconi potrebbe fare una "lista del presidente", una sorta di "Forza Silvio", che potrebbe includere i fidatissimi attuali dirigenti di Forza Italia e i parlamentari delusi dal Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano. Un partito più snello, al passo coi tempi e contenuto nei costi. Un partito che fa quello che dice il capo. 

La smentita - L'indiscrezione sulla chiusura di Forza Italia, viene però smentita da Berlusconi. Che ha emanato un comunicato in cui si dice "sconcertato nel leggere alcune vere e proprie fantasie riportate oggi in alcuni articoli di cosiddetto retroscena". Il Cavaliere sostiene che sono "notizie senza alcun fondamento. E' falso che voglia chiudere Forza Italia". Peraltro, precisa, "dovrebbe essere noto a tutti che i costi di venti anni di battaglie azzurre per la libertà sono stati garantiti da mie fideiussioni, delle quali risponderei dunque personalmente".

Bersani adesso "chiude" il Pd "Vi dico perché il partito è fallito..."

Pd, Pier Luigi Bersani: "Un partito senza iscritti non può esistere"




Gli iscritti mollano il Pd. Secondo i dati riportati da Repubblica è scattata la grande fuga dei tesserati dal Pd. La stima parla di circa 100mila iscritti. L'ultima rilevazione (2013), indicava 539.354 tessere. In alcune regioni (Sicilia, Basilicata, Molise, Sardegna e Puglia) il tesseramento non è partito. Insomma a quanto pare nonostante i consensi e i voti raccolti alle ultime europee, il nuovo Pd renziano ha di fatto perso la base del partito. Al Nazareno è scattato il panico. Il Pd, come anche i Ds prima e il Pci negli anni 70-80 è un partito fortemente basato sul tesseramento. La minoranza dem adesso punta il dito contro Renzi accusandolo di aver snaturato il dna del partito.

Bordata di Bersani - Il più critico è Pier Luigi Bersani: "Un partito fatto solo di elettori e non più di iscritti, non è più un partito. Lo Statuto dice che il Pd è un partito di iscritti e di elettori. Ovviamente -dice Bersani all’Adnkronos- se diventasse solo un partito di elettori diventerebbe un’altra cosa... Uno spazio politico e non un soggetto politico. Ma non siamo a questo e -assicura- non finiremo lì". Insomma ormai è guerra aperta tra le mura del Nazareno. A Bersani risponde sul numero dei tesserati Pd il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, che su twitter replica: "Sarebbe bello che non venissero diffusi dati a caso..." e in una nota aggiunge che le notizie sono "infondate".

URNE PIENE, SEZIONI VUOTE 2014, fuga da Renzi: crollano gli iscritti Pd

Pd, crolla il numero dei tesseramenti. E qualcuno accusa Renzi




Boomerang Renzi sul suo partito: il numero di tesserati del Pd nel 2014 è letteralmente crollato. E pensare che questo è stato l'anno del grande successo alle elezioni europee, che ha portato la firma proprio del premier.

I numeri - Nel 2013 i tesseramenti sono stati 539.534. Ad oggi, gli iscritti sono invece circa 100mila, mentre negli uffici del partito si sussurrerebbe addirittura di solo 60mila: in ogni caso, i numeri parlano di un calo clamoroso di almeno 400mila tesseramenti. A testimoniare questi dati, anche i numeri suddivisi per le regioni o i capoluoghi: basti pensare all'Emilia Romagna, roccaforte rossa, dove solo in 58mila si sono recati alle urne per le primarie del partito, che hanno visto la vittoria di Stefano Bonaccini. Segno di un disinteresse, se non disaffezione, crescente. In Umbria, invece, i tesseramenti nell'ultimo anno si sono dimezzati: da 14 mila a 7mila. Eloquenti anche i dati che arrivano da Torino e Venezia: nel capoluogo piemontese il numero degli iscritti al Pd è calato di circa 7mila unità, da 10mila a 3mila, mentre nella Laguna è arrivata una diminuzione di oltre 3mila unità, da 5.500 a poco più di 2mila. Crollo devastante in Campania, dove il numero degli iscritti superava quota 70mila, ora le tessere non sarebbero più di qualche centinaia.

"Un gufo e un rosicone" - Anche le casse del partito sono in crisi: nel 2011 arrivarono 60milioni di euro, quest'anno ne entreranno solo 12,8. Qualcuno dà la colpa allo stesso Renzi: "Se chi vuole discutere è sempre un gufo o un rosicone, i circoli si svuotano". Nel Pd tira aria di bufera, anche fuori dalle direzioni romane. 

"Hai tolto la stella a me per darla a quel dopato di...". Veleno su Agnelli. Ecco chi lo attacca... / Foto

Boniek al veleno contro Andrea Agnelli: "Ha tolto la stella a me e l'ha data a quel dopato di Edgar Davids"




Il bello di notte, Zbigniew Boniek, per tutti Zibì, torna a parlare della Juventus. Lo fa alla sua maniera, con la solita nostalgia per i bei tempi che furono e con l'altrettanto consueta stilettata di turno. Stilettate che sono sempre piaciute poco ai tifosi juventini, che infatti avevano contestato, qualche anno fa, l'inserimento del campione polacco nelle 50 stelle dedicate ai grandi campioni della Juventus nel nuovo stadio.

Veleno - "Se l'Avvocato sapesse che Andrea (Agnelli, ndr) mi ha tolto la stella...sicuramente gli avrebbe tirato le orecchie". Parte in quarta Zibì, che nell'analisi concessa ai microfoni di GazzettaTv sputa veleno sulla nuova dirigenza, e lo fa con la solita leggerezza che lo contraddistingue, anche perché il meglio (o, il peggio, a seconda) deve ancora venire. Il centravanti polacco sottolinea ancora una volta lo scarso feeling che instauratosi col new deal bianconero contestando, neanche troppo velatamente, la decisione del nipotino dell'Avvocato. "Andrea Agnelli è entrato in società e voleva fa amicizia con i tifosi. Alla fine hanno tolto la stella a me e l'hanno data ad Edgar Davids, che, con tutto il rispetto, mi sembra che l'unica cosa che abbia fatto con la Juventus sia stata quella di aver preso 6 mesi di squalifica per doping". La tocca piano Zibì insomma...