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sabato 4 ottobre 2014

"Il divorzio è fatto, siamo ai dettagli": Alonso lascia la Ferrari: ecco chi arriva

Alonso-Ferrari, "il divorzio è fatto". Vettel a un passo da Maranello




Alonso lascia la Ferrari. Il divorzio, seppur non ancora ufficiale, è ormai un dato di fatto. Secondo quanto riporta la Stampa, si devono solo definire i dettagli. Per esempio, chi paga in caso di rescissione del contratto. Tra le clausole segrete, infatti, ce ne sarebbe una che consente al pilota di andarsene a fine stagione, con due anni di anticipo e senza pagare penali. Se al contrario fosse il team a licenziarlo, allora la penale ci sarebbe, eccome. E questo è un punto su cui si discute molto. 

Il nodo dell'ingaggio - Alonso, inoltre, sarebbe pure rimasto in Ferrari con un aumento dell'ingaggio (30-35 milioni a stagione) e un maggiore se non diretto coinvolgimento nella scelta dei tecnici, ma la nuova gestione Marchionne - "la Ferrari è molto più importante di qualsiasi partner" - gli toglierebbe potere all'interno della squadra. In Giappone Alonso, interrogato sul suo futuro, aveva detto: "Tutto quello che farò sarà per il bene della Ferrari. Sono sempre stato fortunato a scegliere dove correre e sarà così anche adesso, ma prendendo il minimo rischio". 

Il 2015: Vettel vicinissimo a Maranello - L'addio sarà annunciato dopo il 13 ottobre. E' probabile che Alonso torni in McLaren (che gli avrebbe offerto 100 milioni in tre anni) e che, al suo posto, arrivi sulla Rossa Sebastian Vettel. Il quattro volte campione del mondo - iridato dal 2010 al 2013 - dovrebbe lasciare il volante della Red Bull per arrivare a Maranello, e rilanciarsi dopo un'annata no: il tedesco è stato infatti surclassato, in maniera clamorosa, dal compagno di squadra Daniel Ricciardo, al debutto in un top team dopo le stagioni alla guida della Toro Rosso. Si era parlato anche di Hamilton, ma le possibilità di arrivo del campione del mondo 2008 sono decisamente basse: il pilota inglese è in piena lotta - con il compagno di squadra Rosberg - per la vittoria del mondiale, e difficilmente a fine anno lascerà la Mercedes, senza dubbio la macchina migliore di questo momento. Insomma: per un Alonso che va, un Vettel che arriva. L'obiettivo è lo stesso: riportare la Ferrari a vincere il campionato del mondo.  

UNO SCHIAFFO AL GOVERNO "Fuorilegge i tagli alle pensioni" Ecco perché e cosa può succedere...

Il taglio delle pensioni è incostituzionale. Ora c'è la sentenza




I tagli alle pensioni sono incostituzionali. A dirlo è una sentenza della Corte dei Conti. Sono due le nuove eccezioni di incostituzionalità del blocco della perequazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo Inps per il biennio 2012-2013. La decisione della Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna è dipesa dal mancato adeguamento delle pensioni, che equivale alla loro reale detrazione permanente, data l'assenza di un meccanismo di recupero.

Il processo - Il giudice Marco Pieroni ha accolto la tesi del professor Rolando Pini e dell'avvocato Giovanni Sciacca, portavoce di dieci pensionati Inps e, rivolgendosi all'Alta Corte, ha ritenuto violati i principi di uguaglianza, proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione anche differita, della garanzia previdenziale, della capacità contributiva e del concorso di tutti i cittadini alle spese pubbliche, sanciti dagli articoli 3, 36, 38, 53, nonché dall'art. 117, primo comma, della Carta repubblicana per violazione della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo - art. 6, diritto dell'individuo alla libertà e alla sicurezza; art. 21, diritto di non discriminazione, che include anche quella fondata sul patrimonio; art. 25, diritto degli anziani, di condurre una vita dignitosa e indipendente; art. 33, diritto alla protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale; art. 34, diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali - . Le due ordinanze della Corte dei Conti dell'Emilia-Romagna dovranno essere esaminate dalla Consulta, insieme a quelle analoghe pendenti del tribunale del lavoro di Palermo e della Corte dei Conti della Liguria.

Una questione spinosa - Secondo un rapporto di Centro Europa Ricerche e Comitato Unitario Pensionati Lavoro Autonomo “le condizioni di disagio sociale dei pensionati sono cresciute” a causa del meccanismo di indicizzazione che penalizza soprattutto i redditi più bassi. l 44% dei pensionati vive in uno stato di semipovertà con introiti inferiori ai mille euro lordi mensili. In totale si tratta di 7,4 milioni di persone che, a partire dalla riforma introdotta dal governo del pensionato d’oro Lamberto Dini, hanno progressivamente assistito a un deterioramento del potere d’acquisto e a un forte aumento della pressione fiscale. Il presidente del Comitato Unitario Pensionati Lavoro Autonomo (Cupla), Renato Borghi, si fa portavoce di un disagio sociale: "Innanzitutto domandiamo che il bonus di 80 euro per i lavoratori a basso reddito sia esteso anche alle pensioni al di sotto dei mille euro”, chiarisce Borghi. “In secondo luogo, vogliamo un’indicizzazione che abbia senso rispetto alla vita del pensionato e che tenga conto non tanto dei prezzi degli smartphone, quanto piuttosto degli incrementi nella spesa sanitaria. E, infine, chiediamo interventi mirati sulla Tasi con detrazioni per i redditi sotto i mille euro e per le persone non autosufficienti ricoverate nelle case di riposo. Fino ad oggi abbiamo sentito solo proclami. Ora bisogna trovare soluzioni per coloro che, lavorando e pagando i contributi, hanno rispettato il patto di cittadinanza e meritano, a loro volta, dignità e rispetto”.

Tagli pensioni d'oro e d'argento una soluzione? - I titolari italiani delle cosiddette "pensioni d'oro e d'argento" sono quasi 190mila persone, con una spesa complessiva annua che sfiora i 16 miliardi di euro sui 270 miliardi totali per le pensioni. Per accedervi occorre incassare almeno 4.800 euro lordi al mese. Sulla base dei dati Inps, se si restringe il campo ai redditi da pensione oltre i 6.200 euro mensili, il club si riduce a poco più di 32 mila iscritti, con una spesa totale di 6,8 miliardi di euro l'anno, mentre i privilegiati che ricevono un assegno mensile superiore a 10 mila euro sfiorano le 9 mila persone, con una spesa di circa un miliardo di euro. Il governo starebbe pensando a un prelievo di solidarietà sulla differenza tra l’assegno pensionistico che si riceve in base alle regole pre riforma Dini e l’importo teorico che si sarebbe invece maturato applicando il metodo contributivo. Nelle casse previdenziali potrebbe arrivare così un miliardo l’anno, destinato a sostenere il reddito di coloro che a pochi anni dalla pensione perdono l’occupazione, ma anche la cassa integrazione in deroga. Non è nemmeno escluso che una parte degli introiti possa essere dirottata a rafforzare le pensioni minime.

Le incertezze di Renzi - Con il governo di Matteo Renzi, già in primavera si ipotizzava un intervento decisivo sulle pensioni più elevate. Accantonata l'ipotesi, è ritornata in questo fine agosto, dopo che il ministro del lavoro Giuliano Poletti ha detto di essere favorevole a intervenire sulle pensioni elevate con la finalità di un sostegno agli esodati. Intanto, a fine settembre Matteo Renzi in un'ospitata da Fabio Fazio a Che tempo che fa, non ipotizza una riforma pensioni nella legge di Stabilità, ma annuncia qualche correttivo degno di nota alle regole imposte dalla legge Fornero per quanto riguarda i requisiti minimi per abbandonare il lavoro, compresa una riduzione della spesa pensionistica. Spunta quindi la possibilità di un'uscita anticipata a 62 anni con 35 di contributi con penalità o incentivi a seconda dei casi.

Il retroscena sulla procura di Milano Spunta un documento top secret: cosa c'è dietro la guerra delle toghe

Procura di Milano, l'accusa di Bruti Liberati: "Robledo ha gestito 170 milioni in modo anomalo"




E' guerra aperta dentro la procura di Milano. Edmondo Bruti Liberati ha esautorato dal ruolo di capo del pool anti-corruzione il procuratore aggiunto Alfredo Robledo. Secondo quanto riferisce Corriere.it, il procuratore capo gli ha revocato la delega dell'intero dipartimento e lo ha assegnato provvisoriamente al pool Esecuzione delle pene. Si tratta dell'ultimo scontro tra Bruti e Robledo dopo mesi tensioni altissime e una serie di esposti presentati dal procuratore aggiunto per denunciare una gestione poco trasparente dei fascicoli e favoritismi nell'assegnazione dei processi, in primis quello del Rubygate a Ilda Boccassini. Adesso però sono emerse le motivazioni che hanno spinto Bruti Liberati ad "esautorare" Robledo. Secondo quanto racconta l'Huffingtonpost, al centro delle accuse di Bruti Liberati ci sarebbe una "gestione anomala di alcuni fondi da parte di Robeldo". 

Il documento - "Discrezionali e rilevanti scelte in ordine alla gestione di somme di danaro sequestrate". Per la precisione, oltre 170 milioni di euro la cui amministrazione da parte dell'aggiunto Alfredo Robledo "è ancora in fase di ricostruzione". In otto pagine inviate al Csm il procuratore di Milano Bruti Liberati espone i motivi per cui Robledo non può più essere il coordinatore del II Dipartimento della procura, quello specializzato nei reati contro la PA. Il documento, top secret, è alla base della decisione per cui stamani sono state tolte le deleghe a Robledo mandato ad occuparsi delle esecuzioni penali. Sempre secondo quanto racconta l'Huffingtonpost, il punto 4 sarebbe quello più grave. Ha un titolo: "Gestione delle somme di danaro". Bruti fa riferimento ad un'inchiesta di cui hanno parlato molto i giornali, quella sui titoli derivati acquistati dal comune di Milano. Un trucco finanziario che ha creato molti guai e vere e proprie voragini nei bilanci pubblici. Robledo, che era pubblica accusa, ottenne in primo grado la condanna di quattro banche (Ubs, Deutsche, Jp Morgan, Depfa bank) che avevano venduto, senza la necessaria informazione, i titoli al comune di Milano.

La vicenda e le accuse di Bruti - Da quel primo grado Robledo ottenne anche la restituzione di 400 mila euro utili per dare respiro alle magre casse del comune di Milano. A marzo scorso però la Corte d'Appello ha azzerato le condanne. Secondo Bruti Robledo ha gestito in maniera insolita, comunque fuori dalla prassi condivisa degli uffici, le somme sequestrate durante le indagini. Il denaro, infatti, "non è stato versato al Fondo Unico Giustizia che, come stabilisce una legge del 2008, li deve amministrare fino a sentenza definitiva". Un modo per semplificare e gestire al meglio le somme sequestrate. Secondo la ricostruzione di Bruti, ben "170 milioni di euro", ad esempio, "sono stati depositati presso la Banca di Credito Cooperativo di Carate Brianza e presso la Banca di Credito Cooperativo di Barlassina senza che sia stata data motivazione alcuna della scelta di tali banche". Non solo, sempre secondo la ricostruzione di Bruti, "Robledo nominava diversi custodi giudiziari per gestire quei soldi in quegli istituti di credito". Insomma ormai è scontro aperto. E in procura non si escludono altri colpi di scena. 

Lancio di uova su Renzi: contestato a Ferrara / Foto

Ferrara, Matteo Renzi contestato: lanci di uova contro il premier




Un'altra contestazione per Matteo Renzi. Questa volta il premier è stato contestato non appena salito sul palco in piazza Municipale a Ferrara. "Buffone, vattene via" hanno urlato i contestatori con cartelli con scritte "no ttip" e proteste contro le modifiche all’articolo 18. Il premier è arrivato a Ferrara per la festa di Internazionale. Arrivato in centro, Renzi ha dovuto affrontare un vera e propria aggressione a colpi di uova lanciati sul palco da parte di alcuni manifestanti, tra cui militanti del Movimento Cinque Stelle e della sinistra che hanno criticato la scelta del premier di modificare lo statuto dei lavoratori. "Se siamo del movimento? c'è Qualcos'altro di serio in italia?". Afferma uno dei contestatori. Alla mobilitazione hanno aderito anche altre realtà. "Se sono del movimento? no, la stella è solo una", dice Andrea Ricci, segretario ferrarese di rifondazione, che regge uno dei cartelli in fondo alla piazza. "Gente del movimento c'è- racconta- ma abbiamo aderito anche noi. E' una cosa nata quasi in modo spontaneo".

Renzi dopo aver raggiunto il palco ha subito risposto al lancio di uova prendendo il microfono in mano: "A chi non ha altri argomenti che le uova noi continuiamo a rispondere con un sorriso". Insomma per il premier non sono giorni facili. 

Pd in tilt - Sulla riforma del Lavoro, Renzi si gioca il suo futuro a palazzo Chigi. Il Pd, secondo i dati pubblicati oggi da Repubblica, ha perso circa 100mila iscritti in un anno. La base del partito ha di fatto abbandonato il Nazareno dopo l'arrivo in segreteria del premier. Una scelta, quella dei tesserati, che ha allarmato la minoranza Dem che ha subito puntato il dito contro Renzi e la "nuova gestione" del partito. Ad attaccare il premier è stato Pier Luigi Bersani: "Un partito fatto solo di elettori e non più di iscritti, non è più un partito. Lo Statuto dice che il Pd è un partito di iscritti e di elettori. Ovviamente -dice Bersani all’Adnkronos- se diventasse solo un partito di elettori diventerebbe un’altra cosa... Uno spazio politico e non un soggetto politico. Ma non siamo a questo e -assicura- non finiremo lì". Insomma da quando Renzi ha toccato il tema Lavoro ha perso di mano il partito e forse anche la "piazza". Le uova di Ferrara sono l'ultima contestazione di una lunga serie che accompagna il premier da alcune settimane. 

Incontro con i sindacati - Intanto il premier si prepara al faccia a faccia con i sindacati: "Mi hanno detto, tu non li vuoi incontrare. Invece li incontro. C’è la disponibilità totale a discutere. Mi permettete di dire che anche i sindacati debbano cambiare e non solo i partiti? Perche’ un ragazzo di 35 anni non avverte il bisogno di andare al sindacato? Il 54% degli iscritti sono pensionati. Non e’ pensabile che il sindacato in questi anni non abbia avuto colpe. La sinistra è quella che cambia, dando piu’ diritti alle persone finora dimenticate", ha sottolineato il premier. "L’articolo 18 vale per tutti tranne che per i sindacati e per i partiti. Si sono fatti la leggina per cui né i partiti né i sindacati applicano l’articolo 18". 

venerdì 3 ottobre 2014

Iva, così cambieranno i pagamenti Obiettivo: stanare gli evasori fiscali

Evasione fiscale, l'idea del reverse charge: chi compra paga l'Iva direttamente allo Stato




La lotta all'evasione fiscale passa dall'Iva. L'idea del governo è quella di far obbligare chi acquista a pagare direttamente l'imposta sul valore aggiunto allo Stato e non più al fornitore. Un passaggio in meno grazie al meccanismo del cosiddetto reverse charge che nelle stime del Tesoro permetterebbe all'Erario di incassare 2-3 miliardi di euro in più. Piccola fetta, peraltro, dei 40 miliardi di euro di Iva evasi all'anno. Il reverse charge, che verrebbe esteso a tutto il settore delle costruzioni e dei servizi alle imprese, funzionerebbe soprattutto come cartina di tornasole facendo emergere una più vasta parte di "nero", perché chi non paga l'Iva generalmente non paga nemmeno contributi, Irap, Irpef, Ires, che contribuiscono al totale esorbitante di 90 miliardi evasi all'anno. Chi sarebbero i contribuenti più "colpiti" da questa modifica? I grandi acquirenti, soprattutto, che non potrebbero più far leva sugli intermediari per "bypassare" il pagamento dell'Iva. Si parla, solo per questa categoria, di 9,3 miliardi di euro evasi. 

Più tracciabilità per tutti - Per ora, spiega Repubblica, il governo esclude un'applicazione del reverse charge su tutte le altre operazioni commerciali: per farlo, servirebbe il via libera dell'Unione europea che fino ad oggi ha lasciato in sospeso una richiesta in questo senso avanzata nel 2006 dalla Germania. A bloccare quella richiesta è stato anche il no dell'Italia, che però proprio come gli altri stati comunitari ora è alla disperata ricerca di soldi. E di soldi, dall'Iva evasa, ne arriverebbero tanti: applicando il reverse charge a tutte le operazioni commerciali al dettaglio e all'ingrosso, rientrerebbero circa 14 miliardi di euro. D'altronde, la lotta all'evasione passa anche dalle piccole spese quotidiane: in questo senso sarebbe una piccola rivoluzione la guerra ai contanti portata avanti con lo scontrino telematico per artigiani e imprenditori. Acquisti più facili per chi compra, tracciabilità sicura per il Fisco.

Arrivano 51 miliardi di tasse: botta su pane, latte e case

Manovra, 51 miliardi di tasse: Matteo Renzi colpirà pane, latte e case. E c'è la minaccia Iva

di Franco Bechis 


È un giochino che ormai procede da quattro anni buoni di finanza pubblica. Dall’ultimo anno del governo Berlusconi in poi: lo fece Giulio Tremonti nel 2011, l’ha ripetuto Mario Monti nel 2012 e visto che non c’è due senza tre, è toccato pure ad Enrico Letta nel 2013. Il giochino è questo: si scrive una supermanovra dettata dall’Europa, ma non si ha voglia né coraggio di presentare ai propri elettori un salasso senza precedenti. Quindi per fare tornare i numeri si infilano molte norme in assoluta libertà, ben sapendo che in gran parte non daranno nessuna entrata o risparmio di spesa reale. Lo sanno bene i ministri dell’Economia italiani, ma ovviamente lo capiscono anche i supercontrollori dell’Ue a cui bisogna chiedere il via libera per ogni manovra economica. Così come finisce il giochino? Con l’inserimento di una clausola di salvaguardia: a fronte di norme-fuffa si mette una copertura vera in caso di fallimento (pressochè certo) delle prime. Scattano sempre l’anno successivo, nella speranza di avere tempo nei 12 mesi di trovare altre soluzioni buone. Nelle ultime tre manovre era previsto in caso di fallimento delle previsioni che scattassero due aumenti delle aliquote Iva e nell’ultima versione il taglio lineare delle detrazioni e deduzioni fiscali.

Il giochino deve essere piaciuto anche a Matteo Renzi, perché ha infilato nella manovra che sta per presentare una superclausola di salvaguardia. Agli italiani presenterà in pompa magna le sue splendide supercazzole. Agli sceriffi della Ue invece dice: «Non state a perdere troppo tempo sul mio libro dei sogni. Perché se tanto non funziona ho una carta di riserva sicura che stangherà gli italiani con nuove tasse per 51,6 miliardi di euro in un triennio». L’avvertimento ai signori che contano è scritto nella nota di aggiornamento al Def appena presentata dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: «Nella legge di Stabilità 2015 è ipotizzata una clausola sulle aliquote Iva e sulle altre imposte indirette per un ammontare di 12,4 miliardi nel 2016 17,8 miliardi nel 2017 e 21,4 miliardi nel 2018. Gli effetti di tale clausola, genererebbero una perdita di Pil pari a 0,7 punti percentuali a fine periodo dovuta da una contrazione complessiva dei consumi e degli investimenti per 1,3 punti percentuali e un aumento del deflatore del Pil di pari importo». Una botta pazzesca sulle tasche degli italiani. Su cui ovviamente il governo minimizza, come se la fuffa fosse quella scritta per gli sceriffi della Ue e la verità invece quella contenuta nelle norme che accarezzano la pancia all’elettorato. «Ma è così», assicura il viceministro dell’Economia, Luigi Casero, che su quella plancia di comando siede ormai da molti anni , attraversando i vari governi, «quando mai sono scattate davvero le clausole di salvaguardia? Qualcuno ha toccato le detrazioni, che per altro sono state sostituite proprio da questa formula che trovate nel Def?». No, la clausola delle detrazioni non è scattata. Ma quella sull’Iva sì, almeno in parte. Un paio di aumentini sono stati rinviati di qualche mese, ma alla fine grazie al giochino ci troviamo con l’aliquota al 22% invece che al 20%. Questo dimostra che ci sono ottime probabilità che quella clausola di salvaguardia possa entrare in vigore, anche perché fin qui di previsioni economiche il governo Renzi non ne ha azzeccata nemmeno mezza, e il terreno è proprio il principale tallone di Achille dell’esecutivo.

Che cosa colpirà quella possibile stangata da 51,6 miliardi di euro? Le aliquote Iva marginali, e cioè quelle al 4% e quelle al 10%, che sono le uniche in grado di fornire incassi notevoli. Rischiano così di rincarare sensibilmente quasi tutti i generi alimentari: latte e latticini, farina, riso, pasta, pane, olio, occhiali da vista, case assegnate dalle cooperative, mense scolastiche (tutti questi sono al 4% oggi), e poi ancora yogurt, birra, uova, miele, tè, spezie, bevande al bar, elettricità, biglietti di cinema, teatro, concerti, servizi di trasporto pubblico (hanno tutti l’Iva al 10%). 

Oltre l’Iva secondo quanto scritto nell'aggiornamento del Def si rischia un aumento anche delle imposte indirette. Di che si tratta? Tolta l’Iva che è già citata a parte, le principali imposte indirette vanno a toccare tanto per cambiare il mercato della casa: sono le imposte di registro, quella ipotecaria e quella immobiliare. Nell’elenco ci sono pure le accise, che significa nuovo aumento della benzina. Scatteranno? Qualcuna sì di sicuro. Anche perché c’è un piccolo trucco appena perfezionato che consentirà a chi sta al governo (presumibilmente Renzi) di mettere nuove tasse e poi dire che la pressione fiscale con lui non è aumentata. Il trucco è quello del recente belletto ai conti pubblici fatto per calcolare nel Pil il fatturato delle belle di notte, delle spese in armamenti e dello spaccio di stupefacenti. Con quella manovra (ma nessuno se ne è accorto) sono state cambiate anche le poste dell’entrata e magicamente già nel 2014 (e per gli anni successivi) la pressione fiscale è scesa di 0,3 punti percentuali senza levare nemmeno una tassa...

Riina vuole parlare con Napolitano: ecco cosa può succedere il 28 ottobre

Trattativa Stato-Mafia: Riina e Bagarella chiedono collegamento video per deposizione Napolitano




Il processo Stato-mafia entra nel vivo. Il presidente della repubblica Giorgio Napolitano deporrà sulla trattativa il 28 ottobre. Ma a quanto pare Re Giorgio avrà probabilmente un faccia a faccia con due capi mafia come Totò Riina e Leoluca Bagarella. Intervenendo in videoconferenza al processo sulla trattativa Stato-mafia, hanno espresso la volontà di partecipare, sempre in video-collegamento, all’udienza del 28 ottobre, fissata, al Quirinale, per la deposizione del Capo dello Stato Giorgio Napolitano. L’Avvocatura dello Stato si è opposta. La Corte si è riservata di decidere. 

Le stragi - Intanto dal processo emergono nuovi particolari sulle stragi del 93 a Milano e Firenze. A fornire nuovi particolari è stato  il pentito Vincenzo Sinacori, ex capomandamento di Mazara del Vallo: "Un giorno Matteo Messina Denaro mi mostrò un libro con alcuni monumenti. Il progetto era fare attentati fuori dalla Sicilia per colpire beni artistici. Anche Brusca era d’accordo", ha affermato Sinacori. Il collaboratore di giustizia ha aggiunto che il boss Bernardo Provenzano era contrario a fare attentati in Sicilia. Tra i motivi della strategia stragista di cosa nostra c’erano le lamentele dei detenuti al 41 bis che facevano sapere all’esterno delle sevizie subite dalla polizia penitenziaria in carcere.