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giovedì 25 settembre 2014

"Avevo 13 anni, mi toccava e mi filmava" La testimonianza contro l'arcivescovo

Vaticano, la testimonianza sul nunzio apostolico arrestato: "In spiaggia mi toccava"




E' stato arrestato in Vaticano l'ex nunzio a Santo Domingo, Josef Wesolowski, riconosciuto colpevole di abusi nei confronti di minori e condannato dalla Congregazione della Dottrina della Fede alla dimissione dallo stato clericale. L'arresto, reso noto dal TgLa7, sarebbe stato realizzato con il consenso di Papa Francesco. Wesolowski aveva fatto recentemente appello alla sentenza canonica di primo grado.

Le parole del portavoce - L'arresto dell'ex nunzio Wesolowski "è conseguente alla volontà espressa del Papa, affinché un caso così grave e delicato venga affrontato senza ritardi, con il giusto e necessario rigore, con assunzione piena di responsabilità da parte delle istituzioni che fanno capo alla Santa Sede", ha precisato portavoce della Santa Sede padre Federico Lombardi. Wesolowski sarà processato in base alle norme in vigore prima della riforma penale del 2013, e rischia una pena tra i 6 e i 7 anni di carcere più eventuali aggravanti.

"Pericolo di fuga" - La procedura istruttoria sul caso dell’ex nunzio - continua padre Lombardi - "richiederà alcuni mesi prima dell’inizio del processo", che potrebbe quindi aprirsi negli "ultimi mesi di quest’anno" o "i primi del prossimo anno". Dopo l’arresto il promotore di giustizia, Gian Piero Milano, "compiute le indagini ulteriori che riterrà necessarie e gli interrogatori opportuni dell’imputato assistito dal suo avvocato, potrà formulare al Tribunale la richiesta di rinvio a giudizio". Il provvedimento degli arresti domiciliari, "con la conseguente limitazione dei contatti, intende evidentemente evitare la possibilità dell’allontanarsi dell’imputato e il possibile inquinamento delle prove".

La testimonianza shock- Alla fine di agosto 2014 il New York Times aveva pubblicato un’inchiesta in cui ha ricostruito con testimonianze dirette di minorenni quali erano le abitudini dell’ex arcivescovo: racconti pieni di dettagli raccapriccianti (rapporti sessuali addirittura “comprati” in cambio di medicine). Ecco invece la testimonianza di una delle vittime dell'ex nunzio a Santo Domingo, Josef Wesolowski, intervistato dalla giornalista Nuria Piera: "Avevo 13 anni, ci siamo conosciuti in spiaggia. Mi ha salutato mentre facevo il bagno, poi ci siamo parlati. Mi ha detto di chiamarlo Giuseppe, non sapevo fosse un sacerdote. Mi ha toccato. Poi mi ha chiesto di toccarmi, mentre lui mi filmava. Mi ha dato mille pesos (circa 17 euro, ndr). L'ho rivisto 2-3 volte, so anche di altri bambini che lo hanno incontrato".

Prendi subito metà della liquidazione: busta paga, rivoluzione in arrivo

Metà liquidazione in busta paga: l'idea del governo




Possibile rivoluzione in busta paga, che potrebbe accogliere il 50% del Tfr, mentre l'altra metà dell'accantonamento finirebbe alle imprese. Per un anno almeno, possibilmente anche per tue o tre, cominciando dai dipendenti del settore privato. Il piano del governo viene anticipato da Il Sole 24 Ore: una mossa per provare a rilanciare i consumi e sostenere l'attività produttiva dopo il flop degli 80 euro e del taglio Irap. Il premier, insomma, ci vuole riprovare, tentando di aumentare il salario dei lavoratori dipendenti grazie al sostanziale anticipo della liquidazione.

Decide il dipendente - Secondo quanto anticipato dal quotidiano economico, parte della quota del Tfr "maturando" e accantonata ogni mese dal lavoratore potrebbe essere smistata in busta paga, magari con un'unica soluzione annuale. Il Tfr, dunque, non arriverebbe più al termine dell'esperienza lavorativa. La scelta, comunque, spetterebbe al dipendente. Il governo punterebbe a varare il provvedimento il prossimo 10 ottobre (come detto, è prevista la possibilità per le imprese di mantenere una fetta pari al 50% delle liquidazioni).

Compensazioni aziendali - Resta però il nodo delle compensazioni aziendali, ancora da risolvere. Tra le opzioni quella di mantenere il meccanismo fiscale agevolato oggi previsto per il trasferimento del Tfr ai fondi pensione. Per evitare problemi di liquidità, inoltre, verrebbe esclusa la possibilità di prevedere un accesso al credito agevolato per il flusso di Tfr da trasferire in busta paga o, alternativamente, un dispositivo creato ad hoc con il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti.

Potere d'acquisto e Iva - Altro tema delicato, e da risolvere, è la copertura dell'intero intervento, in particolare per quel che concerne l'accelerazione dell'esborso di cassa al quale dovrebbe far fronte lo Stato, con un'ovvia ricaduta sull'indebitamento. Da affrontare, inoltre, la probabile esclusione degli statali dal provvedimento, almeno in prima battuta, nonché il prelievo fiscale sulle quote di Tfr erogate con lo stipendio con quella che si configurerebbe come una sorta di "nuova quattordicesima". L'obiettivo, come detto, è far aumentare consumi e potere d'acquisto delle famiglie. Lo Stato recupererebbe parte dell'esborso con le ipotetiche maggiori spese e la conseguente crescita dell'incasso Iva.

I precedenti tentativi - In verità, l'idea di trasferire parte del Tfr in busta paga, non è nuova. Anche su questo punto Matteo Renzi mostra di non disdegnare affatto le politiche proposte in passato dai governi Berlusconi. Seppur in forme diverse, il medesimo principio fu proposto da Giulio Tremonti. Nel 2011, invece, fu il turno della Lega Nord, mentre nel marzo dello scorso anno la proposta fu avanzata dal sindacalista Fiom Maurizio Landini proprio a Renzi. Anche Corrado Passera, nel programma della sua Italia Unica, ha inserito il trasferimento del Tfr maturato direttamente in bsuta paga.

Punito il suo "metodo patacca" De Magistris condannato a un anno e tre mesi di carcere

Why Not, De Magistris condannato a un anno e tre mesi




Un anno e tre mesi di reclusione ciascuno, con sospensione condizionale della pena e non menzione sul casellario giudiziale: è la condanna che la decima sezione penale del tribunale di Roma ha inflitto all’ex pm di Catanzaro, Luigi de Magistris, attuale sindaco di Napoli, e al consulente informatico Gioacchino Genchi, accusati di concorso in abuso d’ufficio per aver acquisito illegittimamente, nell’ambito dell’inchiesta calabrese ’Why not’, i tabulati telefonici di alcuni parlamentari senza la necessaria autorizzazione delle Camere di appartenenza.

I due imputati, cui sono state concesse le attenuanti generiche e applicata l’interdizione temporanea dai pubblici uffici per un anno (pena accessoria che rientra nella sospensione condizionale), sono stati condannati al risarcimento dei danni morali e materiali da liquidarsi in separata sede, salvo una provvisionale di 20mila euro, nei confronti dei parlamentari Francesco Rutelli, Giancarlo Pittelli, Romano Prodi, Clemente Mastella, Antonio Gentile, Sandro Gozzi e, per il solo Genchi, Domenico Minniti. Il 23 maggio scorso il pm Roberto Felici aveva concluso la requisitoria sollecitando l’assoluzione per l’ex pm di Catanzaro e la condanna a un anno e mezzo di reclusione per Genchi.

L’accusa di abuso d’ufficio era stata formulata perchè  i tabulati riguardanti gli uomini politici appartenenti al  centrodestra e al centrosinistra erano stati acquisiti al fascicolo  dell’inchiesta senza aver preventivamente richiesto ai rami del  Parlamento a cui appartenevano i politici in questione l’autorizzazione ad acquisirli. Il processo conclude una lunga vicenda giudiziaria che era cominciata nel 2009. La decisione del Tribunale è stata commentata favorevolmente dagli  avvocati Nicola e Titta Madia i quali ha assistito nel procedimento  Francesco Rutelli e Clemente Mastella. "La sentenza emessa oggi dal  Tribunale di Roma -hanno sottolineato i penalisti- rende piena  giustizia agli uomini politici tra i quali Francesco Rutelli e  Clemente Mastella. La grande violazione delle prerogative dei  parlamentari in questione determinò una violentissima campagna di  stampa contro il governo all’epoca in carica".

Da parte sua, De Magistris affida a Facebook la replica alla condanna, che definisce "un errore giudiziario. La mia vita è sconvolta". E annuncia ricorso in appello: "Sono profondamente addolorato per aver ricevuto una condanna per fatti insussistenti. Sono stato condannato per avere acquisito tabulati di alcuni parlamentari, pur non essendoci alcuna prova che potessi sapere che si trattasse di utenze a loro riconducibili".

La casta della Camera: niente tagli ai super-stipendi di commessi e dirigenti

Vietato tagliare i super stipendi della Camera




La diffida è arrivata nelle ultime ore al presidente della Camera, Laura Boldrini, al collegio dei questori e ai membri dell'ufficio di presidenza di Montecitorio. A inviarla è stata l'Osa, uno dei sindacati autonomi dei dipendenti degli organi costituzionali (ha un responsabile alla Camera e uno al Senato). Nel testo della diffida si intima ai membri dell'ufficio di presidenza di non procedere all’approvazione del documento attraverso cui si accoglie sia pure in forma diversa-anche dentro i palazzi della politica quel tetto massimo di 240 mila euro lordi annui che il governo di Matteo Renzi ha inserito nella pubblica amministrazione.

Da mesi infatti Camera e Senato si stavano accapigliando sulla necessità di inserire quel tetto anche all’interno delle loro amministrazioni. Le prime ipotesi erano state fatte a inizio estate. Quando stavano per essere approvate, è andata in scena la protesta dei dipendenti che avevano assediato con grande scalpore la Boldrini e i suoi collaboratori con ironici battimano. Una sorta di atipica manifestazione sindacale (i dipendenti degli organi costituzionali non hanno il diritto di sciopero). 

Certo ha facilitato questo imprevisto la lentezza delle istituzioni: l’ufficio di presidenza della Camera doveva varare quel tetto da 240 mila euro (che in realtà è di oltre 300 mila euro lordi) lo scorso 18 settembre. Ma non l’ha fatto, rinviando tutto a fine mese e ora rischiando uno scontro istituzionale molto delicato con la magistratura del lavoro. Anche se il tetto in sé riguarda solo qualche decina di dirigenti o funzionari avanti nella carriera, nella bozza di delibera che doveva andare in ufficio di presidenza si faceva riferimento anche a una rimodulazione degli emolumenti di tutte le altre categorie di personale. È evidente che se scendono gli stipendi apicali, anche quelli immediatamente sotto debbono essere adeguati per non avere livellamenti salariali a funzioni diverse.

In ogni caso il progetto allo studio nelle Camere è ben diverso da quello applicato al resto dei pubblici dipendenti. Innanzitutto perchè al tetto ci si arriverebbe gradualmente da qui al 2018. Poi perchè il livellamento è stato pensato come una sorta di contributo di solidarietà provvisorio: nella sostanza una volta raggiunto, l’anno successivo si tornerebbe agli attuali livelli retributivi. Terza differenza: dal tetto di 240 mila euro sarebbero esclusi i contributi previdenziali che verrebbero versati come se lo stipendio continuasse ad essere quello attuale, e quindi non mettendo a rischio gli importi pensionistici previsti anche con il regime contributivo. Quarta differenza: dal tetto vengono escluse le indennità di funzione- legate all'incarico ricoperto-che possono arrivare al massimo a 60 mila euro l’anno, e che continuerebbero ad essere cumulate. Quindi non esisterebbe un tetto per tutti, e lo stipendio più alto comunque potrebbe essere ancora di 370 mila euro lordi annui (240 mila di base, più 70 mila euro di contributi previdenziali, più 60 mila euro di indennità di funzione), e quella cifra si arriverebbe progressivamente solo nell'arco di un triennio.

Non certo una tragedia (dopo un anno il segretario generale della Camera passerebbe da 478 mila a 453 mila euro lordi annui) , ma il semplice allineamento degli organi costituzionali a una moderazione salariale che nel pubblico impiego ormai è legge, e che comunque si è fatta sempre più strada anche nelle imprese private.

mercoledì 24 settembre 2014

Bersani va da Floris e spara su Renzi: "Sei al governo grazie a me"

Di martedì, Pier Luigi Bersani: "Renzi governa con il mio 25%"




"Renzi ha preso il 40%? Con il mio 25% Renzi sta governando. Io non ci sono al governo, mi va bene, non chiedo riconoscenza ma rispetto". Così l'ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani a Dimartedì, in onda ieri sera su La7. L'ex segretario Pd non ha risparmiato affondi nei confronti del premier: "Dall'entourage di Renzi mi vogliono spiegare, a me, come si sta in un partito. Ma vorrei chiedere: dove sta scritto nel programma di cancellare l'articolo 18?". 

L'attacco - L'articolo 18, ha proseguito "non è certamente un simbolo ma un suo aspetto simbolico sicuramente lo ha: non si può buttarlo via perché il lavoro non può essere inteso totalmente solo come salario ma è anche diritti e dignità delle persone". Il lavoro, ha detto ancora Bersani, "si dà con gli investimenti e servono regole precise per l'occupazione".

La minaccia - Renzi, ha continuato l'ex segretario Pd, "è svelto, intelligente, impaziente" ma deve avere "un rapporto più colloquiale e meno aggressivo". Anche perchè "non usciamo dai guai con improvvisi miracoli". Il presidente del Consiglio, ha continuato Bersani, "ha creato un'enorme aspettativa e ora deve cominciare a tirare qualche somma". Sul fronte economico, ha proseguito, "a fine anno saremo ancora con il segno meno ed è troppo facile dire che la soluzione sono i tagli alla spesa pubblica".

Peggio del peggio. Il curriculum "horror" di Piero Fassino: guarda cosa (e come) lo ha scritto. E c'è anche una balla spaziale... / Foto

Piero Fassino, il curriculum horror (e c'è anche una balla spaziale...)




La classe dirigente si può permettere un curriculum - permetteteci il giudizio - osceno (guardate la fotografia). E non tanto per i contenuti, ma piuttosto per la forma. I comuni mortali per mettere nero su bianco il foglio con cui cercano impiego spendono ore del loro tempo e spremono meningi. Piero Fassino, per esempio, invece no. La Repubblica Torino ha infatti scovato e pubblicato il cv del sindaco di Torino: un foglietto che si distingue per la sciatteria e la noncuranza con cui è stato compilato. Scritto a penna, parte con inchiostro blu e parte con inchiostro nero: roba che di solito, quando finisce in mano all'ufficio del personale, viene stracciata con disgusto per poi rotolare accartocciata nel cestino delle scartoffie. Ma per il democratico Fassino non è così. Nel suo curriculum vengono scritti con sufficienza i suoi ruoli in politica; nessuna competenza viene specificata, men che meno gli interessi, figurarsi il voto di laurea, l'argomento della tesi e tutto il pregresso percorso di studi. Inoltre Fassino afferma di conoscere "francese, inglese e spagnolo". Sul francese e sullo spagnolo non ci si può esprimere, ma sull'inglese invece sì: il fatto che lo conosca è una balla spaziale. Un comune mortale, infatti, quando nel cv scrive di conoscere una lingua è perché quella lingua la padroneggia con particolare dimestichezza e disinvoltura. Eppure nel febbraio del 2014, quando pubblicò su YouTube un videomessaggio (in inglese), in qualità di sindaco di Torino venne sbertucciato ad ogni latitudine. No, l'inglese il buon Fassino non lo padroneggia con dimestichezza...

A chi assomiglia chi? Il sondaggio semiserio dei nostri deputati alla Camera

A chi assomiglia chi? Il sondaggio semiserio dei nostri deputati alla Camera






Chi assomiglia a chi? Nel giochino intellettuale delle somiglianze fra volti noti e meno noti, i nostri politici ci cascano con tutte le scarpe. Pare che alla Camera, gli onorevoli politicians si sbellichino un mondo a indovinare le somiglianze più strambe e bizzare all'interno della stessa classe politica: la regola, come nei migliori divertissement, è che non ci siano regole: potete assomigliare ad altri politici, a giornalisti, a pallonari d'altre epoche e pure, udite udite, ad attori hollywoodiani. Ma andiamo con ordine. Se Andrea Orlando è la copia sputata di Mr Bean, che dire di Matteo Renzi? E dell'ex leader maximo in salsa dem Pierluigi Bersani che vogliamo dire? I nostri delegati a Montecitorio non hanno dubbi: è la copia carbone, precisa precisa, del giornalista Pierluca Terzulli (non paghi, pure di nome fanno assonanza). Rimangono il forzista Luca D'Alessandro, identico all'attore Raf Vallone e Guglielmo Epifani. Ecco, sapete a chi assomiglia l'ex segretario Pd secondo il parere autorevole dei suoi stessi colleghi? Ad Harrison Ford. Ma ne siamo così sicuri?