Visualizzazioni totali

martedì 23 settembre 2014

Mitraglietta Mentana bastona, Giuliano Ferrara si cosparge il capo di cenere: "Scusami, cara Lilli Gruber..."

Giuliano Ferrara: "Mi scuso con Lilli Gruber per i pettegolezzi"




Giovanni Floris al posto di Lilli Gruber a Otto e Mezzo. La notizia è di ieri. Lilli è alle prese con qualche problema di salute. Nei giorni scorsi, però, erano circolate parecchie voci dietro il suo temporaneo allontanamento dalla tv: beghe societarie, litigi, gelosie. Niente di vero: semplicemente, la Gruber, ora è indisposta. Nel suo TgLa7 di lunedì sera Enrico Mentana ha chiesto di smetterla con le dietrologie su Lilli, che avevano appassionato anche noi, e ce ne scusiamo. Così come si scusa cospargendosi il capo di cenere Giuliano Ferrara, che su Il Foglio aveva pubblicato un articolo che ipotizzava come dietro la "pausa" con Otto e Mezzo ci fosse un ospite scippato da Floris alla Gruber. "Approfitto per chiedere scusa a Lilli - scrive l'Elefantino nella rubrica delle lettere del suo quotidiano - per aver ospitato, con un commento per la verità beneaugurante e solo longanesianamente malizioso, i pettegolezzi (comprensibili) che avevano circondato la sua rinuncia di lunedì scorso. In bocca al lupo. Che torni presto. Un abbraccio".

Il bluff di Renzi sui disoccupati: perché il premier sta mentendo

Lavoro, ecco il bluff di Matteo sui disoccupati

di Franco Bechis 


Il colloquio è avvenuto venerdì sera sull’Isola Tiberina, dove si sta svolgendo la festa di Atreju 2014 organizzata da Giorgia Meloni. Al dibattito del pomeriggio c’era anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio. Quando ha terminato l’ha atteso in un angolo Guido Crosetto, che qualche settimana fa ha lasciato  la politica per diventare presidente di Aiad, l’associazione delle imprese aerospaziali. Crosetto da sempre è uno dei politici più esperti di finanza pubblica, e che fosse in maggioranza, all’opposizione o perfino fuori dal Parlamento, ha sempre offerto la sua consulenza gratuita al governo di turno. Dopo qualche minuto con Delrio si è arrivati subito a uno dei temi del momento, il Job act. «Lo sai Graziano che il vostro disegno di legge delega non ha copertura sui sussidi di disoccupazione?».

Delrio ha allargato le braccia: «Lo so bene. Infatti non abbiamo presentato relazione tecnica per finanziarlo. Decideremo di volta in volta con i decreti delegati». Crosetto lo ferma: «Questo si poteva fare un tempo. Ora non più: anche i disegni di legge delega debbono avere copertura secondo il nuovo testo dell’articolo 81 della Costituzione che ha introdotto un ferreo pareggio di bilancio». Delrio ha sospirato: «Ma non abbiamo altra strada...». In effetti il governo sa benissimo di camminare sui carboni ardenti con il Job act. Già nel giugno scorso il servizio Bilancio del Senato aveva messo in guardia l’esecutivo: guardate che dovete indicare le coperture della riforma del lavoro subito, perché così è stabilito dalla Costituzione. Non farlo serve a poco, perché basterebbe la più banale contestazione su uno dei decreti delegati per farlo impugnare richiamando l’incostituzionalità della delega. E allora la riforma del lavoro non vedrà mai la luce.

Nonostante questa consapevolezza, Renzi ha deciso di impugnare quel testo di riforma che non entrerà mai in vigore come un’arma per combattere altri tipi di battaglie, politiche e culturali. Il premier sembra più interessato a regolare i conti con la minoranza del Pd e quella Cgil che ne è strettamente connessa che a fare svoltare davvero il mercato del lavoro in Italia ristrutturando profondamente anche il sistema di protezione sociale.

Sotto questo profilo il Jobs act di Renzi ha mutuato modelli di protezione di altri paesi, puntando ad estendere il sussidio di disoccupazione (il suo slogan era “mille euro a tutti”) anche a chi oggi non lo prende, riducendo però altre protezioni ormai invecchiate (la cassa integrazione straordinaria e quella in deroga) e legando il sussidio allo stesso mercato del lavoro, con l’idea di legarne la durata e anche la brusca sospensione alle offerte di lavoro che il disoccupato dovesse ricevere dal sistema di protezione sociale riformato.


Quello di Renzi è un modello ideale, sostenuto da molti teorici dello Stato sociale liberale e moderno. Ma naturalmente costa. Siccome i confini attuali sono piuttosto generici, è difficile fare dall’esterno quella relazione tecnica che il governo ha omesso di presentare. Un ex ministro - quella Elsa Fornero, gran teorica, ma che non ha certo brillato quando è stata messa all’opera - aveva calcolato in 30 miliardi il costo di una protezione sociale estesa a tutti i senza lavoro con una base di mille euro al mese netti. Altri studi più dettagliati - quelli di Tito Boeri e Pietro Garibaldi per lavoce.info - avevano ipotizzato un costo di 19 miliardi di euro però con un tasso di disoccupazione intorno al 10%. Altre stime di altri centri studi (dalla Cgil a Pagina 99) oscillano fra un costo minimo di 15,5 miliardi di euro a uno massimo di 24 miliardi di euro. Con quali forme di finanziamento? I vari sussidi sociali esclusa la Cassa integrazione ammontano oggi a circa 9-10 miliardi di euro.

Il costo per le casse dello Stato delle casse integrazioni atipiche è di circa 3,5 miliardi di euro l’anno. Facendo morire la protezione sociale esistente si ricavano quindi circa 13 miliardi. Per realizzare la protezione indicata nel Jobs act ne servirebbero altri 6-7. E il governo non indica dove prenderli. Renzi ha fatto filtrare da Palazzo Chigi a La Stampa la possibilità di allargare la protezione rispetto all’esistente inserendo in legge di stabilità un apposito fondo «disoccupazione per chi non ce l’ha» da 1,5-2 miliardi. Ma non ne ha indicato alcuna caratteristica. Per cui, se disoccupazione e cassa integrazione restano le stesse di prima e si aggiungono 1,5-2 miliardi per dare sussidi a chi non ce li ha, si estende sicuramente la protezione sociale attraverso una robusta mancia governativa, ma non si riforma nulla del sistema. Con quali risorse, peraltro, è un mistero. Se invece quegli 1,5-2 miliardi ventilati dovessero arrivare dal de-finanziamento della cassa integrazione in deroga, non solo non si riformerebbe nulla (quindi il Job act resterebbe solo un’arma ideologica), ma neppure si estenderebbe la protezione sociale, perché si tratterebbe solo di cosmetica per sostituire la cassa in deroga con analogo assegno di disoccupazione.

Cambierebbe il nome, non la sostanza, e nemmeno la platea dei beneficiari. Il sospetto che questa soluzione sia la più probabile viene peraltro da quel che ha appena fatto il governo in tema di protezione sociale nel decreto legge sblocca Italia. Lì si sono inseriti circa 790 milioni di rifinanziamento di cig in deroga e di protezione degli esodati. Ma a costo zero: i fondi usati per la copertura sono proprio quelli della protezione sociale: semplicemente si sono tolte risorse ai fondi che proteggevano i giovani disoccupati per dirottarle sui lavoratori in difficoltà più anziani. Non è cambiata la situazione complessiva, né la torta a disposizione dei meno fortunati.

La Bindi spara ancora sulla Boschi: "Parla solo del suo corpo, dovrebbe..."

Otto e mezzo, Rosy Bindi: "La Boschi rilasci meno interviste sul suo corpo"




"Quella di scegliere ministre belle è una scelta del presidente del Consiglio, Matteo Renzi". Parola di Rosy Bindi. La dem che appartiene alla "vecchia guardia" contestata in queste ore proprio da Renzi per la riforma del Lavoro non molla la presa e rivendica le parole di qualche settimana fa quando aveva detto che la Boschi era stata scelta come ministro "perché bella". Ospite di Giovanni Floris a Otto e mezzo la Bindi rincara la dose: "Quella di avere ministre belle è una scelta voluta da Matteo Renzi, serve per avere un rapporto diverso con gli italiani. E' una strategia mirata". Infine una battuta al veleno: "Se la Boschi non vuole sentirsi dire che è più bella che brava, la prossima estate rilasci più interviste sul merito delle questioni politiche e non sul suo corpo". Insomma ormai tra Rosy Bindi e Boschi è guerra aperta.  

Profezia dell'amico di Napolitano: "Vi dico come finirà tra Renzi e Bersani"

Emanuele Macaluso: "Il duello Bersani-Renzi lo vincerà Matteo"




Emanuele Macaluso, capo della Cgil siciliana con Di Vittorio, nel comitato centrale del Pci con Togliatti, capo dell'organizzazione con Longo, direttore dell'Unità con Berlinguer, amico di una vita di Napolitano è uno che è abituato ad analizzare i contrasti e le divergenze tra sindacati e governo. Quello che sta accadendo dentro il Pd e la guerra con la Cgil per la riforma dell'articolo 18, non preoccupa più di tanto l'ex dirigente comunista. In un'intervista ad Affaritaliani.it difende le scelte di Renzi, ma lo invita al dialogo con i sindacati: "Non possono pensare e dire che Renzi è la Thatcher e non discutere. Se non finisce questo modo di fare politica non si va da nessuna parte. Penso che bisogna modificare il mercato del lavoro ma con una discussione con tutti i sindacati". Poi parla della tenuta del governo: "Non penso che possa cadere sulla riforma del lavoro, non ci sono alternative a questo governo. L'alternativa sono le elezioni e quindi non mi pare". Infine una profezia sul braccio di ferro tra Renzi e Bersani dentro il Pd: "Vincerà Renzi. Perché ha la maggioranza degli elettori e del partito. Io sono un esterno ma capisco che Renzi ha la maggioranza".

MEZZO PD PUGNALA RENZI L'accusa: "Non sei stato eletto, attento, altrimenti..." Il premier: "Sulla riforma del lavoro vado avanti"

Riforma Lavoro, tensione nel Pd, Renzi: "Avanti per la mia strada"




Il Pd è nel caos. Accuse e prese di posizione sulla riforma del Lavoro si alternano in una guerra quotidiana che vede da una parte il premier Matteo Renzi e dall'altra la sinistra Pd che fa da sponda alla Camusso. Uno scontro duro che fa tremare il Nazareno. Lo spettro della scissione agita le acque del partito e la lotta intestina rischia di logorare il premier-segretario ma anche la fronda Pd che vuole affossarlo. 

La bordata di Civati - L'ultimo attacco è arrivato da Pippo Civati che in un'intervista a l'Espresso punta il dito contro Matteo: "Scissione? Ma perché dovremmo farlo noi? E’ una falsità, portata avanti con una disinvoltura sorprendente, e modi allucinanti. Se si vuol tornare a una Margherita più robusta lo si dica: ma nel Pd c’è anche una storia della sinistra, che non si può ignorare. E chi è che ha posto il tema articolo 18, dividendo tra buoni e cattivi ? Non io. Chi ha iniziato, chi vuole drammatizzare? Se il contratto a tutele crescenti prevedesse che dopo tre anni un lavoratore è stabilizzato, nessuno sarebbe in disaccordo. Se invece si parla di persone che non avranno mai la tutela del reintegro in caso di licenziamento illegittimo, a questo punto potevamo votare Berlusconi e facevamo prima”. Poi arriva l'affondo: "Renzi governa senza essere passato dalle elezioni, non è mai stato il nostro candidato premier, mentre i parlamentari del Pd hanno preso, con chi li ha eletti, impegni che erano altri da questi. Con grande velocità e furbizia, sostituendo Letta, Renzi ha voluto usarli, ma non può dimenticarsi l’equilibrio delicato sul quale tutto ciò si regge, e da dove viene”. Alle accuse di Civati risponde il sottosegretario Luca Lotti: "Non può dettare la linea chi ha perso le primarie".

Scontro Lotti-D'Attorre - Pronta la replica di Alfredo D'Attorre: "Lotti dovrebbe spiegare dove e quando Renzi ha proposto l'abolizione dell'articolo 18, non mi pare che fosse nel suo programma delle primarie, nè quelle in cui si presentò contro Bersani, nè nelle ultime in cui ha vinto". Insomma lo scontro tra i dem pare ormai fuori controllo.

Renzi tiro dritto - Renzi tira dritto e dagli Stati Uniti (in visita alla Sylicon Valley) afferma: "Il rischio dell'Italia - dice il premier - è di città straordinariamente belle ma città del passato. La sfida è trasformare noi stessi gelosi del passato e innamorati del futuro. Da parte nostra - sostiene - faremo di tutto per cambiare l'Italia: per renderla un paese più semplice, con un mercato del lavoro diverso, con una classe politica che sia dimagrita e di cui non vergognarsi. Serve una rivoluzione sistematica in Italia. Se lo facciamo non saremo mai un paese normale ma diventeremo attrattivi ma non bastano le riforme se non ci sono idee. Il cambiamento è impossibile con una testa striminzita e ripiegata sul passato. Poi è vero che servono le riforme ma anche le idee e io sono qui ad ascoltarvi". 

YARA, COLPO DI SCENA SUL DNA "Impossibile dire che sia di Bossetti"

Yara, i Ris: "Non è possibile una diagnosi certa sulle tracce di dna trovate sui vestiti della ragazza"




Sul caso Yara arriva un inaspettato colpo di scena. I Ris di Parma mettono in discussione la prova principe che tiene in carcere Massimo Bossetti: il Dna di "Ignoto 1". Secondo la perizia degli investigatori, citata anche dai legali di Bossetti nell'istanza di scarcerazione (poi rigettata) sarebbe "impossibile diagnosi certa sulle tracce Dna sui vestiti di Yara". Una perizia quella dei Ris che potrebbe avere delle ripercussioni sulla sorte di Massimo Bossetti, il principale indiziato per l'assassinio di Yara. 

Le tracce - "Una logica prettamente scientifica che tenga conto dei non pochi parametri che si è tentato di sviscerare in questa sede non consente di diagnosticare in maniera inequivoca le tracce lasciate da Ignoto 1 sui vestiti di Yara". È questa dunque una delle conclusioni presenti nella relazioni del Ris di Parma su cui poggia l’istanza di scarcerazione, rigettata dal gip di Bergamo, dei legali 
di Bossetti.

La perizia - Nel dettaglio nella relazione si afferma come "pare quantomeno discutibile come ad una eventuale degradazione proteica della traccia non sia corrisposta una analoga degradazione del Dna", si ricorda inoltre come "lo studio analitico dei reperti oggetto della presente indagine è stato reso particolarmente difficile dal cattivo stato di conservazione degli stessi e dalla oggettiva complessità dei susseguenti esiti di laboratorio, non sempre ben interpretabili in ragione dell’elevato livello di degradazione biologica delle tracce presenti".

L'esposizione del corpo - L’esposizione prolungata del corpo di Yara alle intemperie­ per tre mesi circa, il suo corpo fu trovato in un campo di Chignolo d’Isola il 26 febbraio 2011, "ha indubbiamente procurato un dilavamento delle tracce biologiche in origine certamente presenti sui suoi indumenti riducendone enormemente la quantità, compromettendone la conservazione e modificandone morfologia e cromaticità, tutto a svantaggio di una corretta interpretazione delle evidenze residuate", si legge nella relazione degli esperti.

SVOLTA NEL DELITTO DI GARLASCO Il sangue (che non c'era) sulle scarpe: la posizione di Stasi si complica...

Garlasco, i periti: "Quasi impossibile che le scarpe di Alberto Stasi non si sporcassero di sangue"




Una possibile e forse decisiva svolta nel giallo di Garlasco. "Erano estremamente basse le possibilità che Alberto Stasi non si sporcasse le scarpe con il sangue della vittima, cosparso nella villetta, teatro del delitto di Chiara Poggi, uccisa il 13 agosto 2007 a Garlasco". Questo, stando alle prime indiscrezioni, è quanto emerso dall'incontro in corso all'Università di Bologna tra i periti della Corte d'Appello di Milano e i consulenti di accusa, difesa e parte civile, impegnati nell'attesissimo esperimento virtuale sulla camminata dell'ex studente della Bocconi. Una conclusione, quella dei periti, che aggrava la posizione di Stasi e che conferma le tesi di accusa e parte civile: è impossibile che sulle suole delle scarpe indossate quel giorno da Alberto, e da lui consegnate agli inquirenti la mattina successiva al delitto, non sia rimasta neppure una traccia ematica.

Capelli e unghie - Durante il confronto tra gli esperti - che si è tenuto al dipartimento di ingegneria civile, chimica, ambientale e dei materiali dell'ateneo di Bologna - è stata riprodotta la camminata di Stasi, imputato per la morte di Chiara Poggi. Il confronto è avvenuto nella tarda mattinata, ed è stato preliminare al deposito delle nuove perizie disposte dai giudici. Obiettivo dell'esperimento, appunto, era accertare se fosse possibile che su quelle suole non fossero rimaste tracce. E, secondo gli esperti, non era possibile. Inoltre, altre indiscrezioni, confermano quanto trapelato negli ultimi giorni. Nel dettaglio, il capello trovato nella mano sinistra della vittima, non consentirebbe di avere informazioni sul presunto assassino della 26enne, mentre il cromosoma Y trovato su due delle unghie di Chiara non risulterebbe riconducibile con certezza ad Alberto. Dal codice genetico sarebbe stato possibile rintracciare solo cinque marcatori compatibili con Stasi; i marcatori in totali sono 17, ma per una validità in termini processuali ne servirebbero almeno la metà più uno.

La simulazione - I risultati della perizia sulla camminata svolta oggi, lunedì 22 settembre, erano molto attesi. L'esperimento era già stato effettuato in primo grado ma non aveva tenuto conto di alcuni particolari, ed è stato ripetuto al pc dopo che lo scorso giugno con il laser scanner furono per la prima volta misurati gli interni della villetta di via Pascoli dove la Poggi fu assassinata. Gli interni sono stati riprodotti in tre dimensioni, e dopo aver inserito a computer le foto delle macchie di sangue sul pavimento (scattate dopo l'omicidio) sono stati simulati i possibili percorsi di Stasi, tenendo conto degli ingombri, degli stipiti e di quant'altro avrebbe incontrato sul suo cammino. I risultati della sperimentazioni sono poi stati incrociati con quelli degli esami medico-legali.

Pallini e fotografie - A complicare ulteriormente la posizione di Stasi c'è quanto era stato individuato dal pg. A seguito degli approfondimenti istruttori delegati ai carabinieri di Vigevano e alla Guardia di Finanza di Milano, il pg avrebbe individuato la marca, il numero 42 come quello di Stasi e il modello di calzatura (con la suola a pallini) delle scarpe che avevano lasciato impronte sulla scena del delitto. Calzature che sarebbero compatibili con quelle di Alberto, che però non presentavano tracce di sangue. Inoltre gli inquirenti avrebbero proceduto al confronto tra le scarpe calzate dall'ex bocconiano e quelle che apparivano in alcune foto finite al pg, tra le quali ce ne sarebbe una su cui gli investigatori hanno concentrato l'attenzione poiché, stando alle indiscrezioni, lo ritrarrebbero con un modello del tipo di scarpa identificato.