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martedì 23 settembre 2014

Quella voce su Renzi e Berlusconi: "Presto faranno un partito insieme..."

L'indiscrezione su Berlusconi e Renzi: "Faranno un partito insieme"




Se l'indiscrezione fosse vera, si scatenerebbe un terremoto politico senza precedenti. "Berlusconi e Renzi sono pronti a dar vita ad un nuovo partito, insieme". La "voce" arriva da Affaritaliani.it. Un'ipotesi che va ben oltre i limiti della fantapolitica. Ma a quanto pare, come racconta il sito di Angelo Maria Perrino, i contatti tra i due leader sarebbero partiti. Il progetto - secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it - comprende la creazione di un nuovo soggetto unitario nel quale ci sarebbero sia il premier, come leader, sia l'ex Cavaliere. Una sorta di nuova Democrazia Cristiana capace di raccogliere almeno il 50% dei voti e +di ottenere la maggioranza assoluta in Parlamento anche con l'attuale legge elettorale, quella uscita dalla Consulta. Per questo motivo Renzi spara alzo zero sulla minoranza Pd e Berlusconi ignora gli appelli degli azzurri contrari agli ammiccamenti con il segretario dem. Un retroscena che porterebbe alla rottura degli equilibri politici, ma anche alla scomparsa del Pd e di Forza Italia. 

Il nuovo quadro politico - Nella nuova Dc entrerebbe anche Angelino Alfano con il suo Ncd e i centristi ex montiani di Scelta Civica e quel che resta dell'Udc. Il piano prevede inevitabilmente l'uscita verso sinistra e quindi Vendola della minoranza Pd, i vari Cuperlo, D'Alema, Bersani e Fassina. Allo stesso tempo da Forza Italia se ne andranno quelli che contestano la "finta" opposizione al governo. Il quadro politico vedrebbe quattro schieramenti: la nuova Dc di Renzi e Berlusconi, la destra della Lega, Fratelli d'Italia e i fuoriusciti di Forza Italia, la sinistra di Vendola ed ex Pd e il Movimento 5 Stelle di Grillo. Ma l'indiscrezione di Affaritaliani per il momento pare che non possa avere un futuro. 

Draghi, scudisciate all'Europa e all'Italia: "La ripresa quasi ko. Fate qualcosa..."

Bce, Mario Draghi: "Ripresa perde slancio. I governi facciano subito le riforme"




"La ripresa perde slancio e i governi fanno riforme insufficienti". Il presidente della Bce, Mario Draghi, continua a criticare le misure adottate dai paesi dell'Eurozona per incentivare la crescita. "La ripresa nella zona euro sta perdendo impulso, la crescita del Pil si è fermata nel secondo trimestre, le informazioni sulle condizioni economiche ricevute durante l’estate sono state più deboli del previsto", ha affermato parlando al Parlamento Ue. Poi il presidente ha lanciato un allarme sulla situazione dei mercati internazionali: "I rischi di riforme strutturali insufficienti possono pesare sull’ambiente per gli investimenti", ha aggiunto. 

Riforme concrete - Draghi ha anche parlato delle imprese e della crisi che frena l'economia: "La crisi sarà davvero finita solo quando tornerà la fiducia dell’economia reale, quando ci sarà di nuovo la volontà delle aziende di assumere rischi". E ancora: "Le Riforme strutturali coraggiose sono elementi chiave per la fiducia delle imprese e per la crescita. Le riforme integrano le politiche accomodanti della Bce" e ha ribadito che "nessuno stimolo monetario o fiscale" può aiutare ad uscire dalla crisi senza riforme. Insomma dalla Bce arriva un richiamo forte anche all'Italia. Il governo deve portare avanti con convinzione le riforme. Soprattutto quella sul lavoro, da cui dipende anche il futuro di Rezni a palazzo Chigi. 

"Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi". Il teletribuno Santoro e la santorina Innocenzi come non li avevate mai visti...

Michele Santoro e Giulia Innocenzi, le foto da bambini per il lancio di "Servizio Pubblico"




Giovedì il teletribuno tornerà a calcare il palcoscenico: torna Michele Santoro. E torna anche Giulia Innocenzi. Santoro ha annunciato che sarà la sua ultima stagione di Servizio Pubblico: dal prossimo anno vuole misurarsi con un nuovo format e cedere lo scettro del giovedì sera proprio alla sua santorina preferita, Giulia Innocenzi. Ma questo è il futuro. Qui, invece, si parla del presente. Anzi, del passato. Già, perché per la campagna pubblicitaria per il lancio della nuova edizione del programma la premiata ditta Michele-Giulia ha deciso di puntare sul passato. Per la precisione, sul loro di passato. Ed ecco che in televisione e sui social network appaiono le fotografie di Santoro e santorina da piccoli, da bambini. Santoro in bianco e nero con inconfondibile sguardo truce e capello riccioluto, la Innocenzi invece a colori, e con la stessa identica espressione che offre in televisione da quando in televisione la vediamo. Il teletribuno e la santorina, in questa gallery, come non li avete mai visti.

Sesso e potere, Simona Ventura smaschera le colleghe: "Ecco chi per fare carriera è andata a letto con chi contava..."

Simona Ventura: "Non sono mai andata a letto con nessuno per fare carriera"




"Non ho mai fatto sesso per la carriera". Simona Ventura si racconta in un'intervista al Fatto Quotidiano e parla del rapporto tra sesso e potere. Un binomio che spesso va di pari passo. Non nel caso di Simona che rivendica come la sua carriera sia stata scandita solo dai suoi successi e dal suo talento senza mai dover dare qualcosa in cambio a chi doveva giudicarla. "No, non mi sono mai dovuta abbassare a questo. Lo dico con orgoglio, a me non chiedevano di andare a letto". Poi però arriva un'accusa: "Ne avevano altre che si buttavano tra le loro braccia". Poi la Ventura racconta come abbia costruito il suo successo: "Io penso di essere la dimostrazione che sesso e potere non sempre coincidono. Alla lunga chi arriva con scorciatoie non esiste un giorno di più. Serve grande professionalità. Io ho fatto molta gavetta. Sono arrivata a Mediaset e sono entrata dalla porta principale. Mi fecero un contratto con Mai dire gol. Undici puntate, cinquecento mila lire a puntata. E' stata la mia scuola". 

La storia con Bettarini - Poi i figli, l'amore, e i ricordi: "Bettarini, il papà di due dei miei figli. Molto presente, sempre. Fu un amore giovane, bello, di pancia, molto diverso da quello di oggi (Carraro, ndr). Ma io volevo far tutti. Pensavo alla carriera. Volevo lavorare, uscire la sera, fare la mamma. E lui giocava in un'altra città. Non era possibile", spiega al Fatto. 

"Fango su di me" - Infine un ricordo amaro: "Una volta scrissero che durante la separazione da Stefano facevo uso di droghe. Mi ha fatto male. Io sono sempre stata una sportiva, sana, ho ballato. Sopra le righe lo sono ancora oggi, è il mio essere, non c'è mai stato niente di chimico".

lunedì 22 settembre 2014

Denis Verdini rinviato a giudizio per finanziamento illecito

Denis Verdini rinviato a giudizio per finanziamento illecito




Denis Verdini rinviato a giudizio. La decisione nei confronti del senatore di Forza Italia è stata presa dal gup del Tribunale di Roma. Nel mirino la vicenda legata a una plusvalenza di 18 milioni di euro nella compravendita di un immobile in via della Stamperia, nel centro della capitale. L'accusa nei confronti di Verdini è quella di finanziamento illecito. Insieme al coordinatore azzurro, andrà alla sbarra anche Riccardo Conti, anche lui di Forza Italia.

Il sospetto - La notizia del rinvio a giudizio è un'altra tegola per il governo: Verdini, infatti, è il primo anello di collegamento tra il governo di Matteo Renzi e Forza Italia, una sorta di "garante" e "tessitore" del patto del Nazareno recentemente rinnovato da Silvio Berlusconi e il premier. Tanto vicino alle faccende di Palazzo Chigi che Pier Luigi Bersani, ex segretario del Pd, ha sbottato affermando che "Renzi tratta meglio Verdini di me". La notizia del coordinatore azzurro rinviato a giudizio arriva a pochi giorni da quella relativa a Tiziano Renzi, il padre del premier indagato. Per il tempismo della notizia sull'indagine a carico del babbo di Renzi, in molti hanno affacciato il sospetto di "giustizia ad orologeria": nel momento in cui il governo vuole riformare la magistratura (con annesso taglio alle ferie delle toghe), ecco spuntare la notizia dell'avviso di garanzia. Ora, al quadro, si aggiunge anche il tassello di Denis Verdini spedito alla sbarra.

Il caso - Nel dettaglio la vicenda per la quale il coordinatore azzurro è stato rinviato a giudizio è relativa alla compravendita di un immobile in via della Stamperia, nel centro storico: fu acquistato il 31 gennaio 2011 da Angelo Arcicasa, all'epoca presidente Enpap, per 44,5 milioni di euro da Estatedue srl, società amministrata dal senatore forzista Riccardo Conti, che l'aveva rilevata poche ore prima per 36 milioni di euro. Verdini, estraneo all'operazione di compravendita, è accusato però di finanziamento illecito assieme al collega di partito. Il rinvio a giudizio è stato firmato dal gup Nicola Di Grazia, che accoglie l'ipotesi di truffa aggravata avanzata dalla procura. Il processo prenderà il via il 9 gennaio 2015 davanti ai giudici della nona sezione penale del tribunale capitolino.

LA PROFEZIA DI PANSA Per l'Italia tempi bui e violenza E intanto Renzi fa il teleimbonitore

Giampaolo Pansa: Matteo Renzi è un teleimbonitore. Per l'Italia sono tempi bui

di Giampaolo Pansa 


Mi immagino un investitore straniero che debba decidere se aprire oppure no un’azienda in Italia. I suoi consulenti gli consigliano di farlo, ma per non tradire l’incarico ricevuto sono costretti a mandargli dei rapporti sconfortanti che descrivono con realismo quanto accade nelle istituzioni italiane, il primo interlocutore dell’uomo d’affari. L’ultimo report è tragico. Racconta di mille parlamentari riuniti in seduta comune che non riescono a eleggere due membri della Corte costituzionale. Ben tredici votazioni non hanno prodotto nulla. Poi il Parlamento ha deciso di regalarsi un lungo weekend e di tornare a riunirsi soltanto il martedì 23 settembre. L’investitore chiama uno dei consulenti e chiede: «I candidati sono sempre gli stessi?». «Sì, un certo Donato Bruno indicato da Forza Italia e un certo Luciano Violante del Partito Democratico». L’uomo d’affari domanda: «Ma questi signori non hanno pensato di ritirarsi per lasciare il passo a due candidati più graditi?». «No, almeno per ora». L’investitore bofonchia: «Ho capito, i soliti italiani…».

Si scrivono ogni giorno migliaia di parole sulla crisi dei nostri partiti. E tuttavia non si riflette sino in fondo su una verità che va molto al di là del contrasto micidiale tra le varie parrocchie. Seguitiamo a occuparci del Partito Democratico, di Forza Italia, dei Cinque stelle e della Lega come se fossero entità viventi e in grado di svolgere i compiti che i loro elettori gli hanno assegnato. Invece abbiamo di fronte una distesa di macerie, un accampamento di zombie, di morti che camminano. E ci offrono uno spettacolo ripugnante.

Il più evidente è una singolare inversione dei ruoli. L’opposizione di centrodestra sostiene un governo che in teoria dovrebbe essere il suo avversario. Lo sorregge, gli offre sempre nuovi patti da firmare, fa di tutto affinché il premier sopravviva. La maggioranza di centrosinistra, al contrario, vorrebbe liberarsi del proprio presidente del Consiglio. Non ha il coraggio di sfiduciarlo in modo aperto e così provocare la crisi. Ma sta ingaggiando una guerriglia interna con la speranza di accopparlo per vie traverse.

Questo scambio di ruoli, che avvicina la politica a certe coppie male assortite, è causato da una realtà che sta sotto gli occhi di tutti: i due maggiori partiti italiani sono defunti, non esistono più. Qual’è il carattere essenziale di un partito? L’unità di intenti. In Italia resiste, più o meno, nella parrocchia di Beppe Grillo e nella Lega di Matteo Salvini. Per il resto è scomparsa. Forza Italia è un insieme di politici che si guardano in cagnesco e che il vecchio Silvio Berlusconi non riesce più a guidare. Qui mancano persino i soldi perché non tutti i big forzisti vogliono mettere mano al portafoglio. Il leader, un signore che tra otto giorni compirà 78 anni, è impotente a mettere un po’ d’ordine nelle sue truppe, sempre più scassate. Eppure s’intestardisce a restare in sella.

Il Partito Democratico è messo ancora peggio. Tutto lascia presumere che la vecchia ditta, guidata da Pierluigi Bersani, stia immaginando una secessione. È possibile che avvenga? Se accadesse, non mi stupirei. La sinistra italiana si è sempre divisa. Dopo la prima guerra mondiale, il Psi si spaccò tre volte, l’ultima ventuno giorni prima della marcia su Roma di Benito Mussolini, anche lui uscito dal campo socialista.

Lo stato di salute del Pd è reso ancora più tombale da una circostanza del tutto anomala: il premier in carica, Matteo Renzi, prima di arrivare a Palazzo Chigi è diventato il segretario democratico. Di lì ha deciso di conquistare il governo. In casa Pd non esiste una divisione dei ruoli, dal momento che Renzi recita tutte le parti possibili. Quando raduna al Nazareno il vertice del partito, scelto da lui, gli italiani che ancora seguono la politica si domandano se in quel momento indossi la camicia bianca come leader della sua parrocchia o come capo dell’esecutivo.

Renzi è un personaggio che darà molto da fare ai politologi prossimi venturi. Accusa il resto del mondo di essere malato di «annuncite», mentre è lui a essere infettato del virus di sbandierare progetti, riforme e rivoluzioni che non riuscirà mai ad attuare. Il primo a rendersi conto di parlare molto e di fare poco è lo stesso Renzi. Tanto da aver deciso di cambiare il proprio sistema di esternazione. Sta abbandonando la tecnica dei twitter e dei blog che il grande pubblico non segue. D’ora in poi la sua strategia comunicativa sarà identica a quella usata dal vecchio Berlusconi quando stava al culmine del potere: i videomessaggi. Da registrare a Palazzo Chigi e poi da trasmettere agli italiani attraverso la televisione.

Il premier sa che la tivù può essere la sua Piazza Venezia. Mussolini parlava dal fatidico balcone e i discorsi arrivavano agli italiani grazie alla radio. Venerdì 19 settembre Renzi ha diffuso il primo videomessaggio nei telegiornali della sera. Era dedicato all’attacco contro i sindacati che continuano a difendere il vetusto articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

I tigì l’hanno portato nelle nostre case. Regalandoci un Renzi in maniche di camicia e con tutti i nei sul faccione, mentre negava infuriato di essere l’erede della signora Margaret Thatcher, per replicare all’accusa lanciata dalla segretaria della Cgil, Susanna Camusso. Entrambi incuranti che milioni di italiani non sappiano quasi niente di quella signora alla testa del governo conservatore inglese degli anni Ottanta, una faccenda vecchia di un trentennio.

Teniamo presente l’esperimento di due giorni fa. Può essere il primo di tanti che verranno. Segna un mutamento profondo nella figura del premier. In una democrazia parlamentare, il presidente del Consiglio si confronta con i deputati e i senatori. Ma ho l’impressione che Renzi voglia parlare al popolo. Lo sta già facendo nel suo incessante giro d’Italia per visitare le aziende degli imprenditori che lo hanno finanziato nelle primarie per la segreteria del Pd. Lo farà sempre più spesso, attraverso il balcone televisivo.

Resta da capire se questo lo aiuterà ad affrontare una crisi economica e sociale diventata drammatica. Di certo gli servirà ben poco la squadra che lo assiste a Palazzo Chigi. È un cerchio magico che, salvo qualche eccezione, è di una mediocrità sconfortante. Tutti sono stati arruolati sulla base di un criterio unico: la fedeltà. Ma da sola non basta. Per limitarmi a un esempio, non è sufficiente aver comandato i vigili urbani di Firenze per coprire un ruolo centrale nell’apparato di Palazzo Chigi.

Siamo già in pieno disordine istituzionale. Una delle conferme sono le tredici inutili votazione per scegliere due giudici della Consulta. Ma dal disordine non ci vuole nulla per arrivare al caos. Un virus che non sarà di certo bloccato dalle invettive del premier contro i gufi, i rosiconi, i tecnici che vogliono imporsi, i pessimisti che vedono nero.

Il virus mi ricorda quanto avvenne settant’anni fa, l’8 settembre 1943. Quel giorno morì l’Italia, non soltanto quella monarchica e del fascismo, ma la patria per tanti cittadini. Oggi siamo all’8 settembre dei partiti italiani. Che esito può avere? Non penso a una guerra civile, bensì a un declino inarrestabile, purtroppo non privo di violenza. Ecco il mio timore. Ecco la mia paura: essere trascinati in una notte carica di spettri.

RISCHIO SCISSIONE NEL PD La fronda prepara l'imboscata Ecco chi vuole mollare Renzi...

Riforma Lavoro, Matteo Renzi e la fronda Pd: 110 parlamentari pronti a dire "no"




Matteo Renzi adesso ha paura. Il premier prova a portare avanti le sue riforme, ma il Pd, il suo partito è pronto a remare contro. Sulla riforma del Lavoro il premier si gioca faccia e poltrona di palazzo Chigi. La minoranza del Pd ha letto la mail di Renzi come una dichiarazione di guerra. Nel messaggio pubblicato ieri sul sito del Pd, Renzi ha messo in guardia la vecchia guardia cercando di prevenire le mosse della sinistra Pd. Ma a quanto pare al Nazareno c'è una gran voglia di combattere contro il premier e di metterlo con le spalle al muro proprio sulla riforma del Lavoro. "Dica quello che crede. Su questo piano io non mi ci metto", sibila Pier Luigi Bersani in una versione insolita, è furioso. 

La faida - Così è già scattata la conta interna. Fra deputati e senatori la componente bersaniana unita alle altre anti-Renzi, può contare all’incirca su 110 dissidenti. Martedì si riuniranno, dopo il vertice che vedrà allo stesso tavolo Fassina, Cuperlo, Bindi, Civati. L’ex sfidante delle primarie pronuncia chiaramente la parola che altri non vogliono nemmeno sentire, ma che in caso di scontro nessuno può escludere. "Se Renzi pensa di andare alle urne sulla riforma del lavoro credo che troverà una nuova forza di sinistra in campo - dice Pippo Civati -. È uno choc, lo capisco. Ma il fantasma della scissione aleggia e non solo dalle mie parti".

Scissione in vista? - Ma dietro le polemiche sulla Riforma del Lavoro c'è anche chi briga per provare a creare un partito di sinistra figlio del Pd e su posizioni anti-renziane. Le parole di Stefano Fassina vanno in questa direzione: "La posta in gioco è un partito progressista utile all’Italia o un PdR, ossia il partito di Renzi, incapace di un cambiamento progressivo", spiega l’ex viceministro. E ancora: "Ho vinto le parlamentarie grazie a migliaia di consensi. Il mio mandato di deputato è chiaro: votare riforme diverse da quelle della destra come invece vorrebbe Renzi. La direzione può decidere ciò che vuole. Per me è prioritario l’impegno che ho preso con gli elettori", spiega a Repubblica. Alla riunione convocata martedì dovrebbero essere presenti 110 parlamentari, ovvero i dissidenti che sono pronti a votare contro la riforma del lavoro. L’ipotesi scissione diventa tanto più concreta quanto più aumentano i sospetti sul vero obiettivo del premier. "Penso che la sua sia una manovra politica. Andare alle elezioni accusando il Parlamento di impedirgli la rivoluzione del Paese", dice Fassina. La riunione dei parlamentari dovrà fornire la consistenza della "fronda". Il voto anticipato permetterebbe a Renzi di spazzare via la componente Ds dal Pd. Ma una guerra fratricida dentro il suo partito potrebbe anche erodere il consenso degli elettori nel premier e nel Pd...