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sabato 6 settembre 2014

Marò, Feltri mette in fila i colpevoli dello scandalo: da Monti a Passera fino a Renzi

Marò, Feltri mette in fila i colpevoli dello scandalo: da Monti a Passera fino a Renzi




"Ma andate tutti in mona, come si dice in Veneto, e non fatevi vedere più in giro, né in Senato né altrove". Vittorio Feltri ce l'ha con Mario Monti reo di aver rispedito i marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in India, che li aveva illegittimamente arrestati per una sparatoria in cui morirono un paio di pescatori avvicinatisi alla nave che i militari erano incaricati di difendere dai pirati. Ieri in un suo editoriale sul Giornale racconta di come il ministro di allora Giulio Terzi di Sant’Agata "si è dato da fare in nome del governo per scarcerare i prigionieri e Monti si dà da fare per rifilarli ai loro aguzzini. Non mi sembra una bella cosa. Ma il dado è tratto e i poveri cristi rispediti a calci nel didietro in galera. Una vicenda da brividi, di nuovo d’attualità perché Latorre, stressato, impaurito, stanco della detenzione, avvilito da quasi tre anni di lontananza dalla propria famiglia, si fa cogliere da un ictus, fortunatamente non esiziale, ma che costituisce un campanello d’allarme: occhio ragazzo che sei a rischio". "Nei panni di Monti", tuona Feltri, "davanti a una notizia simile, avrei scavato una buca e lì mi sarei nascosto senza alcuna intenzione di riemergere. Lui invece se ne è sbattuto e non ha proferito una parola. Ci auguriamo che abbia taciuto per imbarazzo, ben sapendo di essere responsabile della puttanata sopra narrata".

I responsabili - Ma di responsabili in questa storia allucinante non c'è solo Mario Monti: ci sono tre governi che hanno fallito nella missione di riportare a casa i due fucilieri di Marina. A partire dall'ex ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera che, secondo Riccardo Pelliccetti del Giornale, è stato uno degli artefici del voltafaccia italiano. Ha esercitato grande pressione sui colleghi di governo per rispedire Latorre e Girone in India in nome di interessi economici ancora oggi oscuri. Poi c'è Giampaolo Di Paola, ex ministro della Difesa: da un ammiraglio ci si sarebbe aspettati una strenua difesa dei marò, invece li ha abbandonati al loro destino. Anche il governo di Enrico Letta aveva promesso mari e monti per riportare a casa i fucilieri, ma in concreto né lui, né il suo ministro della Difesa Mario Mauro hanno fatto più di tanto. Ad Emma Bonino, ministro degli Esteri, si deve almeno l'internalizzazione del caso e l'avvio dell'arbitrato. Da parte sua Matteo Renzi ha compiuto un passo indietro: di concerto con gli altri membri di governo ha deciso di non andare all'arbitrato internazionale. Quanto a Federica Mogherini, passata da ministro degli Esteri a lady Pesc, potrebbe fare molto, ma ha deciso "niente arbitrato, meglio dialogare con l'India". La colpa del ministro della Difesa Roberta Pinotti è invece quella di condividere le scelte fatte da altri. Ha il merito, sottolinea Pelliccetti, di essere volata in India a far visita ai nostri soldati più volte.

L'ira di Feltri - "Il problema comunque per Latorre e Girone non cambia", scrive Feltri. "Essi, in salute o malati, sono laggiù tra le grinfie degli indiani grazie a italiani più indiani degli indiani. Tutti se ne fottono dei marò comandati di svolgere una missione perfettamente eseguita, ma finita male perché i loro referenti si nascondono dietro un dito e non li difendono. Che razza di gente siamo noi che sventoliamo ogni due minuti il tricolore e cantiamo Fratelli (o fardelli) d’Italia in piazza e nei cortili maleodoranti del potere, salvo scaricare due connazionali tra i pochi ad avere adempiuto al proprio dovere? Ma andate tutti in mona, come si dice in Veneto, e non fatevi vedere più in giro, né in Senato né altrove".

"Caro De Magistris, meno feste e più poliziotti" Ecco la ricetta del boss di Gomorra per Napoli

Genny di Gomorra: "La colpa è di De Magistris"

Intervista a cura di Claudia Casiraghi 


«Non è possibile che un ragazzo di 17 anni muoia così. Non c'è niente che possa giustificare quello che è successo". Salvatore Esposito, assurto a paradigma di una realizzazione possibile grazie alla serie Gomorra, è la voce più indicata ad esprimere l'indignazione di una città vittima di una politica assenteista. "La morte di Davide Bifolco è una tragedia che non deve ripetersi", dichiara facendo proprio il dolore di una famiglia che sente vicina. Parlare di malcostume, di abitudini ancestrali diventate legge, è riduttivo e, di certo, non serve a spiegare quanto successo. "L'andare in tre in motorino, senza casco e magari senza documenti, fa parte di un malcostume che, purtroppo o per fortuna, non è diffuso solo a Napoli. In qualsiasi quartiere popolare di qualsiasi città d'Italia prassi come questa sono all'ordine del giorno", racconta lui con gli occhi di chi è nato e cresciuto a pochi chilometri da Scampia, di chi non si sogna di giudicare Napoli dall'alto di Posillipo.

In che modo si sarebbe potuto evitare tutto questo?

"Con la pressione di un'autorità sempre presente. Se anziché un solo posto di blocco ce ne fossero stati sei quella sera, a cento metri di distanza l'uno dall'altro, Davide non si sarebbe mai sognato di tentare la fuga. È l'abitudine al disordine e all'inefficienza che gli ha fatto dire Posso farcela a seminare i poliziotti!".

Questi ragazzini sembrano abbandonati a destini infelici. Perché si permette ad una città di non curarsi degli ambienti che avrebbero più bisogno di attenzione?

"È l'amministrazione di Napoli ad aver dettato quella che adesso sembra quasi una legge. Sono il Sindaco, la Regione, il Comune, enti troppo impegnati ad organizzare concerti, concertini e feste della pizza per farsi carico dei problemi reali. Troppo impegnati ad impoverire la città con misure che non solo non le servono ma addirittura non le si addicono (vedi la zona traffico limitato)".

C'è bisogno di assistenzialismo dunque…

"C'è bisogno di venire incontro alle famiglie meno abbienti, creare per i loro ragazzi opportunità fuori dalla loro portata. A Napoli non ci sono teatri comunali in cui seguire corsi gratuiti di recitazione, non ci sono piscine comunali, non c'è niente che possa aiutare un ragazzo a prendere la strada che la sua famiglia non può permettersi di indicargli".

Il risultato?

"Se un ragazzino cresciuto in un quartiere popolare avesse le qualità per diventare un calciatore professionista ma non i soldi per iscriversi ad una scuola calcio, abbandonerebbe il sogno per diventare un delinquente". 

Perché il fatto che sia successo a Napoli, di nuovo a Napoli, colpisce così tanto?

"Perché su Napoli pesa una lente di ingrandimento che fa sì che ogni cosa venga vista più da vicino, strumentalizzata. Fosse successo a Bologna nessuno avrebbe detto niente".

Ma a Bologna non è successo e, stando alle cronache, non succede spesso. Come arginare la sequela di morte che continua a colpire Napoli?

"Intensificando i controlli. Il problema principale di Napoli è che nei quartieri più a rischio le forze dell'ordine non riescono a garantire un ordine. Gli uomini sono pochi e alla fine non riescono a guadagnarsi il rispetto che invece meritano".

Quindi?

"Quindi c'è bisogno di un controllo più rigoroso, di leggi più severe. La presenza dello Stato deve, non dovrebbe, deve essere più efficace. Non a Napoli ma in tutta Italia. Perdere un ragazzino così è inammissibile".

Così mezzo Pd farà lo sgambetto a Renzi: agguati su conti, articolo 18 e Italicum

Pd, pronta la rivolta contro Matteo Renzi: articolo 18, Fiscal compact e Italicum, sgambetti in Parlamento




"Il segretario premier è un problema", aveva detto qualche giorno fa Pier Luigi Bersani. Errato: sarebbe più corretto dire che per il Pd "il segretario è un problema", oppure se preferite "il premier è un problema". In ogni caso, per mezzo partito, "Matteo Renzi è il problema". Non è un caso che dopo Bersani sia stato Massimo D'Alema, altro nemico storico del presidente del Consiglio, a bollare come "largamente insoddisfacenti" i risultati dell'esecutivo. Due affondi sanguinosi proprio alla vigilia della Festa nazionale dell'Unità a Bologna, un segnale chiaro: di unità, tra i democratici, non c'è traccia. Finita la luna di miele delle primarie, digerita a fatica la scalata al partito e al governo, salutato con finto entusiasmo dai grandi rivali il trionfo alle Europee, come sempre a settembre si tirano le somme e si preparano i contrattacchi. Insomma, la tregua è finita e a dare un'immagine concreta al caos che si respira al Nazareno è Matteo Orfini, ex dalemiano di ferro e oggi presidente del partito scelto proprio da Renzi, che non ha esitato a criticare (con garbo) la sortita anti-renziana di Baffino. E da Lorenzo Guerini a Debora Serracchiani, loro sì a vario livello renziani di ferro e comunque nuova dirigenza dem, sono arrivati aggettivi come "ingeneroso" e "superficiale" all'indirizzo di D'Alema, tirando in ballo anche la mancata nomina di Massimo ad Alto rappresentante delle politiche estere comunitarie. Affondi che il destinatario non ha gradito, giudicando le repliche "violente e volgari".

Le manovre dei bersaniani - Contrattacchi, si diceva. E arriveranno tutti in Parlamento. Come riferisce Repubblica, gli esponenti di Area riformista Roberto Speranza, Stefano Fassina, Nico Stumpo e Alfredo D'Attorre giovedì si sono incontrati al Caffè Illy, vicino a Montecitorio, per mettere a punto la strategia operative in un periodo caldissimo per premier e governo. Entro metà ottobre dovrà essere messa a punto la manovra 2015, ma prima ancora Renzi dovrà arrivare al vertice Ue di Napoli con una riforma, quella del lavoro, già bella, pronta e votata. Lo ha fatto intendere Mario Draghi, quando a proposito di eventuali concessioni di flessibilità sui conti ha ricordato che prima si fanno le riforme e poi si chiedono strappi alle regole. 

Articolo 18, Fiscal compact e Italicum - Sarà proprio sul lavoro che i bersanian-dalemiani promettono battaglia, a partire dall'articolo 18 il cui superamento auspicato da Renzi "è una ricetta di destra". E se nuovo Statuto dei lavoratori sarà, dovrà essere scritto dal Parlamento (con i suoi tempi) e "non con una delega in bianco al governo". Sui conti, poi, la storia è ancora più complicata: "Irrealizzabili e dannosi" vengono bollati i venti miliardi di tagli previsti per la spesa pubblica. Sul referendum anti-Fiscal compact, poi, il Pd si spacca: 50 firmatari sono dem, ed è in arrivo un emendamento firmato Fassina-Lauricella-D'Attorre al Ddl Boschi sulle riforme per abrogare il pareggio di bilancio dall'articolo 81 della Costituzione. Per finire, al Senato c'è pure lo scoglio dell'Italicum con tre bombe da disinnescare: premio di maggioranza, quorum per i piccoli partiti e preferenze. Renzi dovrà andare di corsa, e questa volta forse più perché glielo impongono da Bruxelles e Francoforte che per reale convinzione. Proprio per questo, occhio agli ostacoli e agli sgambetti dei compagni di staffetta.

Il sondaggio: fiducia in Renzi giù "Silvio, ecco cosa devi fare con lui"

Sondaggio Ixè, fiducia in Matteo Renzi giù del 2%, quella nel governo dell'1%




La fiducia nel governo scende di un punto e quella nel leader Matteo Renzi di due. Il sondaggio Ixè per Agorà (Raitre) registra un raffreddamento degli entusiasmi degli italiani nei confronti del premier, sebbene secondo il presidente dell'istituto di ricerca, Roberto Weber, si viaggi sempre a livelli sopra la media. Il dato più interessante, però, è l'indicazione che gli intervistati rivolgono a Silvio Berlusconi: Forza Italia deve continuare a sostenere l'esecutivo, non solo sulle riforme istituzionali ma pure sulle misure economiche.

Fiducia nei leader, Salvini in alto - Il 49% degli italiani (contro il 50% di una settimana fa) afferma di avere fiducia nell'esecutivo, quota "altissima" secondo Weber: "Nella mia esperienza di sondaggista non ricordo un governo ch
e abbia mantenuto una fiducia così alta per un tempo così lungo". Allo stesso modo, tra i leader, Renzi scivola al 50% (dal 52%). Stabili rispetto alla scorsa settimana Matteo Salvini della Lega Nord (19%), Beppe Grillo del Movimento 5 Stelle (18%), Berlusconi (16%) e Angelino Alfano di Ncd (12%).

Berlusconi e il sostegno a Renzi - Cauto ottimismo sul futuro della legislatura. Secondo il 46% degli intervistati Renzi riuscirà a portare a termine il programma dei MilleGiorni, mentre per il 36% si tornerà al voto prima del 2017. In quest'ottica, sarà fondamentale il rapporto tra premier Silvio Berlusconi: secondo il 68% degli intervistati Forza Italia deve sostenere l'esecutivo sulle riforme economiche, quota che sale addirittura all'87% tra gli elettori azzurri. "La posizione di opposizione al governo di Forza Italia - ha avvertito Weber - sta diventando piuttosto opaca agli occhi degli elettori".

Scritte pro-Jihad sui muri di Roma Quel sondaggio choc sui tagliagole

Jihad a Roma, scritte sui muri a favore dei tagliagole. Francia, sondaggio choc: il 16% tifa per l'Isis




Scritte sui muri di Roma inneggianti ai jihadisti dello Stato islamico. E in Francia un cittadino su sei guarda con "simpatia" alle violenze degli uomini del Califfato in Medio Oriente. Sono i segnali choccanti che provengono dall'Europa, in cui il fermento dei filo-islamici da tempo preoccupa governi e servizi segreti. Mentre dall'Inghilterra arriva l'allarme sul rischio di ritorno in patria "massiccio" di decine di guerriglieri volati in Siria per combattere contro Assad e pentiti (sarà vero?) della deriva ideologica della battaglia, sui muri di uno dei sottopassi di via Casilina, a Roma, tra Tor Vergata e Torre Angela, sono apparse scritte di sostegno ai "guerrieri di Allah", con invocazioni alla morte del nemico americano e degli infedeli e bandiere nere dello Stato islamico. Non è il primo caso: le scorse settimane, nella zona Sud Est della Capitale, come ricorda il Messaggero, sono apparse altre scritte con slogan in lingua araba a favore della Jihad. Secondo gli esperti le frasi in vernice nera spray sarebbero state realizzate da un siriano. Secondo quanto rivelato dal Viminale, Roma è una delle città italiane in cui vengono reclutati i nuovi soldati per la Jihad. 

L'Europa che tifa Jihad - Un altro segnale d'allarme dopo gli arresti in Veneto di attivisti jihadisti, mentre in Francia come detto fa scalpore il risultato di un sondaggio Icm per l'agenzia russa Rossiya Segodnya, secondo cui un francese su sei simpatizza per l'Isis. Il 16% dei cittadini francesi avrebbe un'opinione positiva sui jihadisti del Califfato, con un picco tra i più giovani (27% tra i 18-24enni). In pratica, i simpatizzanti dei guerriglieri islamici sono tanti quanti quelli del presidente socialista François Hollande. In Inghilterra lo stesso sondaggio ha dato un risultato inferiore: 7% a favore. In Germania solo il 3-4% sostiene le violenze del fanatismo islamico.

Santoro arruola a Servizio pubblico il "lato B" della sinistra

Paola Bacchiddu nella squadra di Michele Santoro a Servizio Pubblico




Quella foto con il "lato B" le ha portato fortuna. La giornalista Paola Bacchiddu, durante la campagna elettorale per le Europee, postò sul suo profilo Facebook la foto del suo fondo schiena in bikini e la scritta: "Ciao, è iniziata la campagna elettorale, io uso qualunque mezzo. Votate l'Altra Europa con la Tsipras". Una scelta che scantenò un putiferio, con reazioni scandalizzate e indignate anche nella stessa sinistra. Sicuramente Bacchiddu è riuscita a far parlare di sé. Certamente la sua mossa strategica, la sua decisione di forte impatto mediatico non è sfuggita a Michele Santoro che ha deciso di farla entrare nella squadra di Servizio Pubblico. Nulla si sa sul ruolo che la giornalista sarda avrà nel programma che andr in onda da lunedì su La7. 

L'annuncio su Facebook - Anche per comunicare questa notizia Bacchiddu si affida a Bacchiddu: "Da lunedì inizia una nuova avventura a Roma: farò parte della squadra di Servizio Pubblico su La7. Ringrazio Michele Santoro per l'opportunità. Per segnalazioni sono qui (poi pubblicherò la mail ufficiale). Che i geni sardi m'assistano!". Moltissimi i commenti di congratulazioni e auguri per la Paola. E c'è qualcuno che commenta: "Quando si dice il c..."

Putin sfotte la Nato con i soldatini: la "sfida" su Twitter / Foto

ISTITUZIONALE Mosca, ecco le prove della Nato sull'invasione russa; giocattoli




Il primo "colpo" della nuova guerra fredda lo spara Mosca tramite Twitter, con un post che irride la Nato. Mentre i leader occidentali discutono a Newport, in Galles, su come arginare le mire espansionistiche del Cremlino, e mentre è ufficiale la firma del cessate il fuoco tra Ucraina e ribelli dell'Est, l'ambasciata della Russia negli Emirati Arabi non trattiene la presa in giro e twitta, tramite il suo account ufficiale, una fotografia di tank e blindati giocattolo, accompagnata da una frase in inglese: "Sono state diffuse le ultime prove Nato dell'invasione armata russa in Ucraina. Sembra che siano le più convincenti per ora". Una famosa massima di Lenny Bruce, comico statunitense di origine ebraica, recitava: "La satira è tragedia più tempo. Se aspetti abbastanza tempo, il pubblico, i recensori, ti permetteranno di farci satira. Il che è piuttosto ridicolo, se ci pensi". Forse all'ambasciata non hanno aspettato abbastanza, considerando che un conflitto c'è davvero.

Alleanza divisa - La risposta sarcastica di Mosca arriva dopo la prima giornata di summit, una giornata che - dopo roboanti annunci - si è conclusa mostrando un'Alleanza divisa, che per ora intende dare più tempo a Putin, sia sulle sanzioni che sulle manovre militari. In attesa di vedere se davvero oggi verrà siglata una tregua sulla base dei sette punti dettati dal presidente russo.