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venerdì 1 agosto 2014

Canguri, insulti, risse, minacce: "Basta, ora chiamo la polizia" Grasso... e delirio in Senato

Riforma Senato, caos a Palazzo Madama. Pietro Grasso minaccia: "Chiamo la polizia". Poi il chiarimento



Al Senato va in scena una giornata sull'orlo di una crisi di nervi. Ostruzionismo, proteste, sedute sospese: la riforma studiata dal governo non procede, bloccata da migliaia di emendamenti e da voti impossibili. In un clima isterico, di sfinimento, durante la conferenza dei capigruppo il presidente Pietro Grasso mette sul tavolo anche una ipotesi mai udita prima a Palazzo Madama: chiamare la polizia in caso di tumulti. I senatori dell'opposizione trasecolano, urlano, il capogruppo di Gal Giovanni Ferrara s'indigna, alterato, respingendo le parole di Grasso. Una misura estrema dopo due giorni di barricate, tra l'esagitato e il goliardico (indimenticabile la presenza sui banchi di un canguro di peluche brandito dal senatore del M5S Maurizio Buccarella). Il giallo si risolve qualche minuto dopo, quando il portavoce dello stesso Grasso interviene sul caso e spiega: "Il presidente del Senato si riferiva agli assistenti d’aula che il Regolamento definisce Polizia del Senato. Con il senatore Ferrara l'equivoco è stato chiarito durante la conferenza dei capigruppo". In ogni caso, non esattamente l'atmosfera ideale per imbastire una pacata e costruttiva riflessione sul futuro istituzionale della Repubblica italiana.

Lacrime da comunisti. Mentana e il vaffa ai compagni: "Ora piangete, ma intanto..."

L'Unità chiude ed Enrico Mentana le canta alla sinistra: "Quanta ipocrisia, Pd e Cgil che hanno fatto?"



Da "Hanno ucciso l'Unità" a "L'Unità è viva", nel giro di 24 ore. La notizia della chiusura dello storico quotidiano comunista, ex organo del Pci diventato con gli anni sbiadito riflesso del Pd, ha accomunato insospettabili fan del giornale fondato da Antonio Gramsci. Da sinistra a destra, giornalisti e firme tra le più svariate si sono prodigati nel salutare l'ultimo numero in edicola, in un profluvio di ricordi commossi, elogi e difesa della libertà di stampa (di cui l'Unità, essendo organo di partito, potrebbe a dirla tutta essere preso ad esempio solo parziale...). Ma c'è chi preferisce uscire dal coro. "Quanta ipocrisia nelle parole di circostanza per la cessazione delle pubblicazioni dell'Unità". Parola di Enrico Mentana, direttore del TgLa7 di certo non tacciabile di antipatie pre-costituite per il mondo della sinistra. Ed è proprio quel mondo, quello più ingessato e legato a vecchi schemi, che Mitraglietta mette nel mirino: "La Cgil si appella al Pd perché metta in campo tutto il suo peso per salvare il giornale - continua Mentana su Facebook -. Ma la Cgil ha cinque milioni e mezzo di iscritti, dieci volte esatte gli iscritti del Pd. Il partito ha però più di undici milioni di elettori, e soprattutto migliaia di eletti solo tra comuni capoluoghi, regioni e parlamento. Come si coniugano questi numeri con le ventimila copie dell'Unità? Volete salvarlo quel giornale? Ma se non lo comprate nemmeno...". 

Fin qui, in effetti, parlano i numeri. Anche perché, è la conclusione logica dell'intemerata di Mentana alla sinistra, la disintegrazione dell'Unità arriva in un momento d'oro per Matteo Renzi e i democratici: "La possibile salvezza dell'Unità sta proprio nei numeri di quella massa politica e sindacale, e partendo da quella domanda scomoda per Cgil, Pd e soprattutto per i redattori del giornale: perché (quasi) nessuno lo comprava più proprio nel momento del massimo risultato elettorale del centrosinistra?". Domanda da cui, oggi come oggi, ancora nessuno ha saputo trovare una risposta. Anche perché a sinistra si preferisce puntare il dito contro i possibili responsabili dello sfacelo: per qualcuno è colpa della dispendiosa gestione Veltroni, per altri (come la firma di Repubblica Valentini) la responsabilità è di quella a firma Concita De Gregorio, per altri ancora è dei lettori, troppo renziani. A quasi nessuno, soprattutto nella redazione di via Ostiense, è sorto il dubbio che, semplicemente, l'Unità degli ultimi cinque anni non piaccia più al mercato. Cioè a chi la deve comprare per leggerla.

Anche Padoan molla Matteo: "I conti sono un flop, così si rischia grosso"

Governo, Pier Carlo Padoan: "La situazione economica è meno favorevole di quanto sperassimo"



Una tegola dietro l'altra sulla testa di Matteo Renzi. Dopo le bordate di Carlo Cottarelli che ha accusato il premier di spendere troppo e di ignorare i tagli proposti con la Spending Review, arriva anche l'impietosa analisi dei conti pubblici da parte del ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan. "La situazione economica è meno favorevole di quello che speravamo a inizio dell'anno e questo incide sulla crescita e sui conti pubblici di tutti i Paesi" ha detto Padoan dopo aver incontrato il suo omologo francese Michel Satin. E ha aggiunto: "Questa situazione richiede ancora di più uno sforzo a livello nazionale ed europeo per sostenere la crescita". Pochi giorni fa il premier Matteo Renzi aveva ammesso per la prima volta che le previsioni stimate nel Documento di economia e finanza sarebbero state difficili da raggiungere: "Sarà molto difficile" arrivare al +0,8% di crescita, aveva detto.

I conti non tornano -  Quanto alle recenti dichiarazioni del commissario per la Spending review Carlo Cottarelli e alle voci delle sue possibili dimissioni a ottobre, Padoan si è smarcato non rispondendo alla domanda sulle critiche per la spesa pubblica arrivate ieri dal commissario straordinario: "Nonostante il mio collega abbia risposto per cortesia - spiega Padoan - la domanda non c'entra nulla con l'evento. Lo dico anche per rispetto a lui, non mi pare questa sede". Insomma nel governo continua a salire la tensione. L'esplosione potrebbe essere dietro l'angolo...

L'ira di Renzi: fregato, se la prende coi cecchini Pd: "Codardi"

Riforme, Matteo Renzi ai franchi tiratori del Pd: "I senatori non hanno avuto coraggio"



Dopo lo sgambetto in Aula adesso arriva la resa dei conti. Matteo Renzi non ha gradito il voto segreto di palazzo Madama sull'emedamento del Carroccio. Il governo è andato sotto, ma tra le macerie non vuole restarci il premier. Così parlando alla direzione del Pd alza il tiro e bacchetta i franchi tiratori: "Stiamo mettendo fine ad anni di bicameralismo perfetto. Ma questo non è il remake dei 101" riferendosi ai parlamentari che affossarono l’elezione di Prodi al Quirinale. 

Il processo - Poi parte l'attacco: "Lasciano l’amaro in bocca, perché non hanno avuto coraggio, rifugiandosi nel voto segreto:noi il dissenso l’abbiamo valorizzato nelle assemblee, in sede di dibattito. È una riforma straordinariamente importante e storica e farla sentendosi dire ogni giorno che c’è una deriva autoritaria, quando abbiamo già detto che faremo comunque il referendum a fine percorso, lasciando ai cittadini l’ultima parola". Renzi si è soffermato poi sul cosiddetto "canguro":"Noi abbiamo avuto e avremo uno stile che non è evitare il canguro,ma la lumaca". 

L'attacco - Poi Renzi torna all'attacco: "E' stata scritta una pagina non positiva, ma scommetto che sono stati più altri che i nostri" quelli che hanno avuto in modo diverso sul voto segreto. "Ragioneremo alla Camera se quell'articolo ha un senso nella fisionomia della riforma. Io personalmente penso di no. C'è chi guarda il dito e chi guarda la luna", spiega Renzi. Insomma adesso è caccia alle streghe. E i renziani sono in allerta. Il tweet di Pina Picierno che evocava i traditori di Prodi ha scatenato la rabbia degli altri dem vicini al premier. Infine Renzi "pensiona" Cottarelli: "Io non so quel che farà Cottarelli, lo rispetto, lo stimo e farà quel che crede. La revisione della spesa la faremo anche senza Cottarelli". 



giovedì 31 luglio 2014

Bomba sulle riforme: governo battuto col voto segreto Ecco perché adesso Renzi e la Boschi tremano...

Riforme, governo battuto con scrutinio segreto



Voto segreto al Senato e il governo va subito sotto. Lo spauracchio dello scrutinio segreto alza un velo sulla fragilità dell'esecutivo Renzi. L' Aula di Palazzo Madama ha approvato a voto segreto l’emendamento 1.1979 presentato dal senatore della Lega Stefano Candiani. Favorevoli 154, contrari 147, 2 astenuti. Il Governo aveva espresso parere negativo mentre i relatori avevano presentato pareri contrastanti: favorevole quello di
Roberto Calderoli (Ln), contrario quello di Anna Finocchiaro (Pd).

Il voto - La proposta di modifica dell’articolo 55 della Costituzione interviene sulla competenza del Senato sui temi della famiglia e del matrimonio, su quelli della salute e su quelli etici previsti dagli articoli 29 e 32 della Carta.  Dopo la votazione il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha sospeso la seduta. Una battuta d'arresto secca e dura da digerire per Renzi e per la Boschi. Lo sgambetto a scrutino segreto sull'emendamento della Lega mette in allarme il governo. Sale dunque la tensione anche sul fronte delle riforme. 

L'allarme - Se dovesse passare la linea di un voto segreto anche sulle riforme istituzionali come aveva annunciato lo stesso presidente del Senato Pietro Grasso, allora la strada per Renzi si complica. I frondisti avrebbero gioco facile per affossare il piano del premier. Va detto che non è la prima volta che l'esecutivo va sotto in uno scrutinio segreto. Ma se dovesse accadere anche sulla strada delle riforme le conseguenze a questo punto sono inimmaginabili. Il premier ora trema... 

I 101 di Prodi - Intanto attacca subito da Bruxelles, l’europarlamentare Pd Pina Picierno, con un tweet:"A volte ritornano. La ricarica dei 101". Le fa subito eco da Roma, il compagno di partito Davide Faraone, membro della segreteria, con un alto tweet: "Si conferma la legislatura dei 101. Ma noi siamo più determinati. Serenamente andiamo avanti", mentre Ivan Scalfarotto, sottosegretario alle Riforme, a sua volta affida al social il suo disappunto: "La norma votata dal Senato non intacca la riforma, ma crea danno alle battaglie per i diritti civili, costrette al pantano bicameralista".




Dopo il salasso del Fisco Ezio Greggio si confessa: "Ora vi dico come stanno le cose..." E sul futuro...

Ezio Greggio: "Ecco come stanno le cose col Fisco"



Dopo la sanzione del Fisco Ezio Greggio si confessa in un'intervista al Corriere della Sera e racconta come stanno le cose sulla mega santaoria da 20 milioni di euro: "Io non devo pagare quella cifra né tantomeno devo mettermi in regola col Fisco: lo sono sempre stato. Lo ha anche detto recentemente una sentenza a mio favore". Sulle contestazioni del fisco su presunte scorrettezze nei rapporti con la società irlandese, la "Wolf Pictures Ltd", Greggio è chiaro: "È la società che utilizza i miei diritti, e che da oltre vent’anni produce e distribuisce film all’estero. Il problema è nato sull’interpretazione di norme sulle ritenute che non dovrebbero essere applicate in Italia". Poi il conduttore di Striscia parala anche del lato umano della vicenda: "A dire il vero sono molto di più i messaggi di solidarietà che ho ricevuto. Ho la coscienza a posto. Ne ho parlato anche con Antonio Ricci. Abbiamo parlato quando mesi fa aveva letto la notizia su un giornale. L’ho tranquillizzato dicendogli che la mia residenza a Montecarlo era reale. E lui: “Peccato, speravo nell’arresto così potevo rinnovare il cast di Striscia “.

La casa di Monaco - E il Fisco ora vuole anche vederci chiaro sulla sua residenza a Monaco che le ha permesso di vedere tassati i suoi redditi in misura molto minore che in Italia.  Ma Greggio si difende: "Intanto io ho sempre pagato tutte le imposte fino all’ultimo centesimo in Italia, lo dice anche la sentenza. Poi, Fisco e Tribunali hanno stabilito che ero regolarmente residente all’estero. In Italia al massimo lavoro 4 mesi l’anno. Non era una residenza fittizia: lì avevo casa, famiglia, interessi economici. A un certo punto mi hanno chiesto di pagare come se fossi residente in Italia e quando il Fisco con la gentilezza e il tatto che li contraddistingue ti chiede un favore...come fai a negarglielo?".  Infine parla del suo futuro: "All’inizio dell’autunno sarò occupato su un progetto americano, molto ambizioso. Appena mi sarà possibile, come ho fatto negli anni scorsi, tornerò dietro al bancone di Striscia". 

Veronica incalza Silvio: "Allora, ti risposi?". Lui la gela: "Mah, dopo l'ultima volta..."

Silvio e Veronica faccia a faccia alla festa di Barbara


La Lario al Cav: "Allora, è vero che ti risposi?". E lui: "Mah, dopo l'ultima volta..."


Festa per i trent'anni di Barbara, a villa Macherio. Un'occasione importante, perchè i trenta sono la barriera tra la giovine età e la maturità. Anche se Barbara il fatidico traguardo l'ha raggiunto con due figli già grandicelli. Un'occasione tanto importante da riunire, oltre agli amici, pure tutta la famiglia. E così, l'altra sera in villa è capitato che si siano rivisti dopo tanto tempo, e dopo tanto gossip finito sui giornali a proposito della loro separazione, anche Silvio Berlusconi e l'ex moglie Veronica. Riferisce il Corriere che i due avrebbero brevemente parlato, peraltro evitando qualsiasi riferimento alle vicende giudiziarie del Cav compresa la recente assoluzione nel processo Ruby. Il colloquio sarebbe invece andato su temi personali e la Lario avrebbe chiesto all'ex marito "allora, è vero che ti risposi?". Al che berlusconi, che quanto a sense of humor e stile non è secondo a nessuno avrebbe replicato: "Bah, non so. Dopo l'ultimo matrimonio sono ancora scottato". Ogni riferimento al cospicuo assegno che il leader di Forza Italia versa mensilmente alla Lario è lasciato ovviamente alla fantasia dei lettori...