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venerdì 11 luglio 2014

Yara, clamoroso autogol di Bossetti: così rischia di incastrarsi da solo I due errori commessi con il pm

Yara, così Massimo Bossetti rischia di incastrarsi da solo



Come da manuale, la situazione si complica. Sul presunto assassino si concentrano sempre più sospetti. Lui è Massimo Giuseppe Bossetti, il presunto killer di Yara Gambiarsio, che ha chiesto e ottenuto di farsi interrogare: un'accelerazione che potrebbe rivelarsi un clamoroso autogol. Bossetti, di fatto, ha voluto spiegare come il suo sangue fosse finito sugli indumenti di Yara: ha affermato di soffrire di epistassi, perdite di sangue dal naso, e che il suo sangue avrebbe potuto sporcare un taglierino che sarebbe poi stato usato sul corpo di Yara da chi la ha uccisa. Una ricostruzione in primis paradossale, difficile da prendere in considerazione, ma soprattutto una ricostruzione con cui, di fatto, Bossetti riconosce il fatto decisivo: il sangue sugli slip era suo. Lo ha riconosciuto in un verbale compilato davanti al pm, senza nemmeno contestare la validità dei test effettuati. La situazione, dunque, per Bossetti si complica. E si complica molto: tutto per "colpa" sua.

La telecamera - Il sospetto ha dunque riconosciuto di essere "Ignoto 1", proprio come la scienza, ci hanno spiegato gli inquirenti, lo indica "senza margini di smentita". Bossetti ha riconosciuto di essere Ignoto 1, inoltre, proprio nel momento in cui gli inquirenti trovavano altri particolari che stringono il cerchio attorno a lui. Si parla della ripresa di una telecamera di una stazione di servizio, che ha immortalato il furgone del sospetto a pochi metri dalla palestra in cui si trovava Yara nel pomeriggio di quel maledetto 26 novembre 2010, giorno in cui scomparve e fu uccisa. Il mezzo è stato identificato senza margini d'errore grazie a un particolare catarifrangente montato dallo stesso Bossetti, differente da quelli di serie. Il presunto assassino si è giustificato spiegando che "posso essere passato da quella strada per tornare a casa dal lavoro". Peccato però che la stessa telecamera riprenda il furgone in transito anche un quarto d'ora dopo, accreditando ulteriormente l'ipotesi che Bossetti girasse attorno alla palestra come in attesa della ragazza. Un interrogatorio volontario che, come detto, complica incredibilmente la posizione di Bossetti.

Dirigenti Rai e Mediaset e noti manager per guardare le ragazzine nude pagavano centinaia di euro

Dirigenti Rai e Mediaset e un noto manager tra i clienti del fotografo delle ragazzine


Furio Fusco è stato arrestato ieri con l'accusa di adescamento, prostituzione minorile e produzione di materiale pedopornografico



C'era un giro di "insospettabili" disposti a pagare cifre elevatissime per vedere le ragazze nude o per compiere atti sessuali con loro, dietro il business fotografico di Furio Fusco, il fotografo arrestato ieri a Roma con le accuse di adescamento, prostituzione minorile e produzione di materiale pedopornografico. Da quello che emerge dalle testimonianze raccolte dal quotidiano "La Repubblica", Fusco avrebbe organizzato incontri a sfondo sessuale con personalità di alto livello, tra cui produttori cinematografici e dirigenti di primo piano di Rai e Mediaset.

La notizia trova una prima conferma negli interrogatori tenuti dal procuratore aggiunto Maria Monteleone e dal pubblico ministero Cristiana Macchiusi, nel corso dei quali le minorenni avrebbero rilasciato alcune dichiarazioni significative. Proprio sul giro del fotografo, conosciutissimo nel mondo della moda e dello spettacolo, si concentra il lavoro degli inquirenti che non escludono, nei prossimi giorni, nuove iscrizioni sul registro degli indagati.

L’8 giugno scorso Fusco ha fatto incontrare una ragazza (in questo caso maggiorenne) con un noto imprenditore romano, titolare di diverse attività e salito alla ribalta della cronaca negli anni scorsi per una relazione con una conosciutissima showgirl. Attualmente l’uomo non è indagato, ma l’episodio è significativo perché rivela il modus operandi del fotografo, quindi il suo ruolo di intermediario e procacciatore.

Alla ragazza era inizialmente richiesto di andare a casa sua, truccarsi davanti a lui e nient’altro. In cambio di questo servizio il “cliente” ha pagato 500 euro, oltre a una parte altrettanto cospicua finita nelle tasche di Fusco. Quando il fotografo, intercettato dai Carabinieri della IV Sezione del Nucleo investigativo, chiede alla ragazza se ci fosse stato un rapporto sessuale, lei risponde: "…mmm…no, però me toccava". 

Gli inquirenti - scrive ancora "La Repubblica" si concentreranno poi nei prossimi giorni sull’imponente archivio digitale e sulle relazioni intrattenute dall’uomo via internet. I tecnici della procura sono già all’opera ma il lavoro sarà molto lungo perché, oltre alla grande quantità di immagini, devono essere analizzati nei minimi dettagli tutti gli scambi di mail.

Il sondaggio di FI sul nuovo leader: ecco chi deve guidare il centrodestra

Il sondaggio sul leader del centrodestra: Salvini in testa



Un nuovo leader per il centrodestra. Il dibattito tra i moderati va avanti da tempo. Mentre Forza Italia è impegnata nel chiudere l'accordo con il Pd e soprattutto con Renzi per le riforme istituzionali, negli altri partiti del centrodestra si guarda al futuro e dalla Lega e Fratelli d'Italia l'obiettivo è uno solo: primarie immediate. I nomi in campo sono tanti: Meloni, Crosetto, Salvini, Tosi, De Girolamo, Cicchitto, Toti e Carfagna chiedono a gran voce una consultazione per scegliere il nuovo leader del centrodestra. Così sono già iniziate le manovre tra i sondaggisti per capire quale possa essere l'uomo giusto che possa raccogliere l'eredità politica di Silvio come leader dei moderati. Qualunque sia il nome dei candidati alle primarie, l'ultima parola spetta comunque al Cav. Secondo una rilevazione "top secret" raccontata da Affaritaliani, sarebbe Matteo Salvini l'uomo nuovo che avrebbero scelto gli elettori moderati per il centrodestra. Un elettore su due vorrebbe il leader del Carroccio al comando del centrodestra: Salvini ha raccolto il 50 per cento delle preferenze.  

Gli altri - Staccati gli altri contendenti come Corrado Passera, Giorgia Meloni e Angelino Alfano. Secondo la il sondaggio (che sarebbe stato commissionato dallo stesso Berlusconi) Salvini sarebbe in testa alle preferenze al Nord  ma avrebbe grandi consensi pure al Centro e al Sud. Berlusconi sa perfettamente che il governo Renzi non arriverà al 2018. 

Il "sì" del Cav - Se le riforme vanno in porto, e magari dopo l'elezione del nuovo presidente della Repubblica, si andrà quasi certamente alle urne e quindi si aprirà il problema del candidato premier. Chi sta vicino all'ex premier afferma che Silvio starebbe accarezzando l'idea di sponsorizzare la candidatura di Salvini in una chiave lepenista che prevederebbe anche l'ipotesi di uscire dal Partito Popolare Europeo ormai diventato un protettorato della Merkel. Insomma l'ipotesi che alle prossime elezioni politiche possa esserci uno scontro tra Salvini e Renzi è tutt'altro che remota...

I giudici: cambio lira-euro è stato una rapina di Stato E adesso spunta l'ipotesi-rimborso...

Cambio lira-euro, il tribunale di Milano: "Il governo Monti ha espropriato gli italiani"



Esproprio di Stato. Come se non bastassero già tasse e patrimoniale sui risparmi, siamo stati gabbati pure sul cambio Euro-Lira. Il conto è salato. in tasca ci mancano ben 1,5 miliardi. A rivelarlo è stata un'ordinanza emessa dal giudice del tribunale di Milano, Guido Vannicelli che ha ritenuto illegittima la decisione del Governo Monti che ha di fatto il 6 dicembre 2011 con l’art.26 del decreto legge n.121, in deroga alla legge del 2002, stabilisce che “le lire ancora in circolazione si prescrivono a favore dell’Erario con decorrenza immediata” e che “il relativo controvalore è versato all’entrata del bilancio dello Stato per essere assegnato al fondo per l’ammortamento dei titoli di stato”. 

La mossa di Monti - Insomma con questa mossa il Loden ha anticipato di circa 3 mesi la scadenza ultima, fissata al 28 febbraio del 2012 per chi doveva cambiare le lire in euro, e inoltre si è assicurato un bottino di un miliardo e mezzo. Secondo il giudice Vannicelli, come racconta l'Espresso, il Governo Monti avrebbe “violato il principio di affidamento e di certezza del diritto” e di fatto “espropriato” i cittadini possessori delle lire per l’equivalente di un miliardo e mezzo di euro a favore del bilancio dello Stato. La questione, sollevata dal Giudice, in una causa tra alcuni cittadini, difesi dall’avv. Marcello Pistilli, è adesso al vaglio della Corte Costituzionale che nei prossimi mesi si dovrà pronunciare in proposito. Il rischio per le casse dello Stato è di un buco enorme, nel caso i termini per il cambio dovessero essere riaperti. La norma voluta dal Prof ha bloccato di fatto perentoriamente e con due mesi di anticipo la possibilità di convertire le lire, secondo Vannicelli ha violato gli articoli 3 e 97 della Costituzione, cioè il principio di affidamento e di certezza del diritto. Per il giudice si tratta di una vera e propria “espropriazione” di un bene. Se si guarda anche agli altri Paesi d'Europa, l'Italia è stata la prima in ordine di tempo ad abolire il cambio tra la vecchia valuta e l'Euro. E così ora chi ha ancora Lire in tasca spera che dall'ordinanza del tribunale di Milano possa arrivare un risarcimento. 

Le proteste - "Ho un sacco di soldi, ma non valgono niente”, racconta Roberto all'Espresso,  "pensavamo la fortuna fosse arrivata finalmente nella nostra casa. Ci mettemmo a piangere quel giorno di due anni fa, quando facendo dei lavori nello scantinato, rinvenimmo, in un muro, una valigia che conteneva circa 190 milioni di vecchie lire”, racconta con un viso che sembra aver perso ogni speranza. La gioia durò poco, il tempo di sapere che da circa due mesi, grazie alla norma voluta da Monti, non era più possibile convertire quei soldi. Ora il pronunciamento della Corte Costituzionale  potrebbe riaprire la speranza per i possessori di vecchie lire e creare una nuova grana tra i conti di Renzi...

giovedì 10 luglio 2014

L'Argentina di rigore: Olanda ancora fuori Messi, sfida per la storia con la Germania Mondiali, la finalissima domenica sera

Mondiali, Argentina batte Olanda ai rigori: in finale con la Germania



E' il calcio, bellezza. Dopo l'ubriacatura di gol di Germania-Brasile, dopo il teutonico trionfo e il dramma sportivo dei verdeoro, la seconda semifinale dei mondiali regala 120 minuti di noia quasi assoluta. Dopo gli otto gol di Belo Horizonte, nessuna rete a San Paolo, molta tattica, altrettanta paura e pochissime occasioni tra Argentina e Olanda. La soluzione? I calci di rigore. E dal dischetto vince l'Argentina, che sfiderà nella finalissima di domenica la Germania. Beffa doppia, dunque, per il Brasile, che rischia di vedere trionfare gli arcirivali in casa propria. Il rigore decisivo è quello di Maxi Rodriguez, l'eroe invece, Romero: para il tiro prima a Vlaar (forse il migliore in campo in una partita dove il migliore in campo è difficile da indicare, gigantiaco su Messi) e poi quello di Sneijder. Dal dischetto non tradiscono, in ordine, Messi, Robben, Garay, Aguero e Kuyt. L'Olanda, ancora una volta, si ferma a pochi passi dal traguardo. Messi, che non ha saputo risolvere questa, di partita, avrà l'occasione più grande, importante e infallibile della sua carriera nella partita contro la Germania. La Pulce avanti, gli orange a casa. E' il calcio, bellezza. 

Primo tempo - La partita è tesa, sin dalle prime battute, le squadre chiuse e timorose. Troppo alta la posta in palio. La prima frazione di gioco, dove Argentina e Olanda si spartiscono equamente il possesso palla, è avara di emozioni. Al dodicesimo il primo tiro da fuori degli orange con Sneijder, la palla si spegne sul fondo. Due minuti dopo la risposta di Messi, che su punizione scalda i guantoni di Cillessen. Poi, al 21esimo, una forte botta alla testa per Mascherano, che barcolla e stramazza al suolo spaventando i compagni di squadra, ma rientra sul terreno di gioco dopo pochi minuti. Nei primi 45 minuti, si segnala ancora solo il giallo a Martins Indi e una buona giocata di Messi seguita da un lancio in profondità di poco lungo.

Secondo tempo - I secondi 45 minuti riprendono nel solco dei precedenti. Van Gaal sostituisce l'ammonito Martins Indi con Janmaat, cercando più spinta sull'esterno, ma la melodia non cambia. Si distingue Vlaar, gigante orange in difesa su Messi, fenomeno sotto tono. Al 62esimo fuori anche De Jong per Clasie. A San Paolo piove a catinelle, e il terreno scivoloso ingigantisce la scivolata-kamikaze di Janmaat su Biglia, che colpito al braccio esce dal campo per poi rientrare a breve. Dopo una brutta punizione di Messi la partita regala uno dei suoi rari sussulti: occasionissima per Higuain, che colpisce di esterno destro il cross di Perez. Palla sul'esterno della rete, ma al Pipita viene fischiato un fuorigioco (che non c'era). Sabella prova a spingere nel finale: fuori Perez e uno spento Higuain per Palacio e Aguero. E se l'Argentina ci prova con un siluro di Rojo da fuori, l'Olanda al 91esimo crea la sua più grande occasione: Robben fa un tocco di troppo, e sotto misura Mascherano salva in angolo. Il secondo tempo scivola via così. Triplice fischio e supplementari in una partita dove le emozioni, quasi, non ci sono.

Supplementari - Nei supplementari prova a infiammarsi ancora Robben: due dribbling e un tiro deviato in corner, poi una seconda conclusione fermata senza problemi da Romero. Nel frattempo continuano ad uscire le stelle, opache: Van Persie lascia il campo a Hunteelar (subito ammonito, protesta, e ha ragione) e quindi anche Lavezzi cede il passo a Maxi Rodriguez. Nel secondo tempo supplementare, prima, una botta pazzesca per Zabaleta, colpito alla mascella da Kuyt: stoicamente, l'argentino torna in campo. Poi improvvisamente l'Argentina si accende: dopo un mezzo pasticcio della difesa olandese, Maxi Roriguez imbecca ala perfezione Palacio, che a tu per tu con Cillessen la tocca debolmente di testa. Quindi scorribanda di Messi sulla sinistra che serve una palla al bacio ancora a Maxi Rodriguez, che però dall'interno dell'area di rigore la appoggia tra le braccia dell'estremo difensore olandese. La storia della partita, però, forse era già scritta. I gol non arrivano. Ci si gioca la finale mondiale dal dischetto. La scommessa la vince l'Argentina. Appuntamento a domenica.

Cambiano le regole per la corsa al Quirinale: ecco come verrà eletto il successore di Re Giorgio

Presidente della Repubblica, cambia il quorum per l'elezione



Tra le pieghe della riforma del Senato, ecco che spunta la nuova modalità con cui verrà eletto il presidente della Repubblica. La Commissione Affari Costituzionali del Senato, infatti, ha approvato un emendamento al testo sulle riforme che modifica sul quorum necessario ad eleggere il Capo dello Stato, spostando dal quarto al nono lo scrutinio dal quale sarà sufficiente la maggioranza assoluta.

Le novità - L'emendamento, presentato dal senatore del Pd Miguel Gotor, è stato approvato con il parere favorevole del governo e dei relatori. Oggi l'articolo 83 della Costituzione prevede il quorum dei due terzi nei primi tre scrutini: dalla quarta votazione basta la maggioranza assoluta. L'emendamento approvato, invece, prevede il quorum dei due terzi dell'assemblea nei primi quattro scrutini, per poi scendere ai tre quinti nei successivi quattro e infine si abbassa dalla nona votazione alla maggioranza assoluta dei cosiddetti "grandi elettori".

La discussione - E il testo approvato in Commissione modifica anche il numero dei grandi elettori: i tre rappresentanti di ciascun Consiglio regionale vengono cancellati. Dunque eleggeranno il capo dello Stato i 630 deputati e i 100 senatori. Gotor ha aggiunto che in aula presenterà un emendamento con cui proporrà di inserire anche i 73 parlamentari europei per l'elezione dell'inquilino del Colle. Il testo è atteso in aula per giovedì pomeriggio alle 16.30, al Senato. La discussione proseguirà lunedì 14 luglio dalle 11 alle 22, senza interruzioni, e poi fino a giovedì 17 luglio. Il termine per la presentazione degli emendamenti è stato fissato alle 13 di martedì 15 luglio.

Pensione, ecco quanto diminuirà: l'effetto della crisi sull'assegno

Pensioni, l'effetto della crisi sull'assegno: come si riducono



La pensione? Non dipende solo dal lavoratore, dall'età fino a cui lavora e dalla sua retribuzione. L'assegno che un lavoratore percepirà dipende anche dalle condizioni economiche del Paese perché - come scrive il Sole 24 Ore - il Pil può incidere fino al 20-25% sulla misura del trattamento previdenziale. La rivalutazione dei contributi versati è legata alla variazione annua del Pil. Con il sistema contributivo, infatti, il montante individuale viene rivalutato su base composta a un tasso di capitalizzazione che è pari alla variazione media quinquiennale del Pil nominale calcolata dall'Istat. Ne consegue che se il Pil cresce poco o per nulla, dopo 20 o 30 anni gli importi messi da parte varranno meno rispetto a una situazione economica di crescita. E il valore del primo assegno pensionistico si ridurrà rispetto all'ultima retribuzione. 

L'andamento del Pil - Chi andrà in pensione dopo il 2020, dovrà "pagare il conto" delle riforme previdenziali che hanno introdotto la revisione prima triennale poi biennale dei coefficienti di trasformazione: il Sole 24 Ore ricorda che la Ragioneria generale dello Stato ha calcolato che dal 2020 in poi il tasso di sostituzione netto passerà dall'84% al 77% e che do po il 2035 si ridurrà fino al 71% e questo accade per il passaggio dal pensionamento di vecchiaia del regime misto a quello anticipato del regime contributivo.  Andrà peggio per gli autonomi: per loro il salto avverrà prima dal momento che dal 94% di inizio decennio si arriverà al 734% nel 2020. Tradotto significa che per assicurarsi una retribuzione pari al 70% dell'ultima retribuzione si dovranno accumulare 40 anni di contributi e avvicinarsi ai settant'anni di età.  

Gli esempi - Il Sole 24 Ore cita il caso di un 42enne che ha iniziato a versare i contributi a 25 anni, se andrà in pensione a 68 anni percepirà un assegno pari al 65,6% dell'ultima retribuzione. Ma questo solo la variazione media del Pil durante la sua vita lavorativa sarà stata pari all'uno per cento. Con una variazione del 2% può contare sull'80,5%.  Ma se il Pil dovesse rimanere inviarato il tasso di sostituzione scenderebbe al 54%.  Se dunque la difficile situazione economica che sta attraversando l'Italia dovesse prolungarsi, l'effetto sulle pensioni sarà deflagrante e a pagarne saranno i più giovani perché chi adesso è vicino alla pensione non sarà danneggiato dal punto di vista pensionisticop.