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lunedì 7 luglio 2014

Perché il Cav deve trattare coi ribelli

I ribelli non si arrendono, Berlusconi deve trattare 


di Paolo Emilio Russo 



Se ne sta rinchiuso ad Arcore, con tutti i telefoni staccati, e non vuole sentire nessuno, nè ragioni. Ma mentre Silvio Berlusconi resta in Lombardia, a Roma, nonostante il caldo, le truppe azzurre non smettono di organizzarsi. I dubbi sul patto stretto con Matteo Renzi per le riforme si sono infatti trasformati in una rivolta contro Denis Verdini, ma, soprattutto, in una nuova occasione per fare "forcing"

sul cerchio magico e, forse, su chi dentro il suo gruppo preferisce la stabilità del governo al rischio di una crisi. Non è un caso che, in quella che sembrava una battaglia tutta di principio contro il progetto di un nuovo Senato non elettivo lanciata da Augusto Minzolini, si stiano mano a mano impegnando anche Raffaele Fitto e le sue truppe. Nessuno osa mettere palesemente in discussione la linea indicata dal Cavaliere in una nota diffusa venerdì, ma ancora ieri Il Mattinale anticipato di qualche ora da una intervista di Renato Brunetta, si augurava «modifiche» al progetto scritto da Maria Elena Boschi promettendo in cambio un «sì convinto di Forza Italia».

I dubbi sono quelli che serpeggiano da qualche settimana e riguardano innanzitutto la composizione del Senato: per due terzi di Forza Italia consentire l’elezione indiretta dei suoi membri finirebbe per consegnare a tavolino la seconda Camera al Pd. Non solo: ma l’eccessiva “vicinanza” col premier, a sentire loro, starebbe mettendo all’angolo il partito. La nota diramata dal presidente azzurro e la contestuale decisione di sconvocare una nuova riunione dei gruppi parlamentari inizialmente organizzata per martedì rischiano però di rimandare al voto parlamentare la conta. A sentire i “ribelli” sarebbero «quasi cinquanta tra deputati e senatori» gli azzurri pronti a votare contro il pacchetto di riforme contenuto nel Patto del Nazareno e a infischiarsene dell’indicazione del leader. Tanto che c’è chi, come Maurizio Gasparri, «da sostenitore di Silvio Berlusconi, ora più che mai», prova a cimentarsi nel ruolo del pompiere: «Non ci voleva la sfera di cristallo per prevedere che il presidente indicasse una linea di conferma delle riforme della Costituzione», premette. «Pur dubbioso su alcune delle norme in discussione, condivido la via della realpolitik e in tal senso mi ero espresso, ma si rischiano spaccature se questa linea non verrà ribadita con incontri e riunioni che non sono un intralcio ma il modo corretto per spiegare e condividere una linea», sottolinea l’ex ministro di An.

Diversamente, avverte, «si rischia la confusione anche in Aula». Per evitare imboscate al momento del voto potrebbero essere necessarie nuove modifiche che non «snaturino» però i contenuti dell’accordo raggiunto tra il premier e il suo predecessore. Come, per esempio, quelle suggerite nella proposta bipartisan firmata dall’azzurro Giacomo Caliendo e dal democratico Massimo Mucchetti che prevedono l’elezione diretta dei senatori in concomitanza con quella dei consiglieri regionali. «Il nostro presidente non manda a monte un patto, e noi con lui», premette la nota politica del gruppo di Montecitorio. Che però lancia un appello a Matteo Renzi: «Ci consenta di dire di sì a qualche cosa che abbia il colore di una riforma vera e occidentale, democratica e sensata...». Più ottimista sulla possibilità che Forza Italia possa ritrovare l’unanimità sembra invece Gianfranco Rotondi. «Sulle riforme Forza Italia sarà compatta perché il nostro è un partito vivace e dialettico, ma la parola di Berlusconi vale per tutti», ha detto ieri l’ex ministro per l’Attuazione del programma. Una linea condivisa anche da un’altra ex collega di governo, Stefania Prestigiacomo. Il Cavaliere deciderà se lasciar gestire la pratica a Verdini - mentre Gianni Letta si occupa degli aspetti più squisitamente politici - o se incontrare nuovamente i gruppi non prima di martedì. Ora di allora potrebbero essere cambiate molte cose, però. Domani è infatti attesa la sentenza della seconda sezione del Tribunale di Milano per il processo che vede imputate due delle persone più care al fondatore di Forza Italia: suo figlio Pier Silvio e il suo amico di sempre e manager più stimato, Fedele Confalonieri. La sentenza - e le motivazioni che dovrebbero essere diffuse subito- riguardano presunte irregolarità nella compravendita dei diritti tv Rti-Mediatrade. Il Cavaliere aveva parlato di questo «incubo» anche con il premier nel corso del loro faccia a faccia di giovedì: «Sono totalmente innocenti». Così come dice di esserlo lui, imputato nel processo Ruby: entro due settimane dovrebbe arrivare anche quella sentenza.



Governo deporta gli immigrati nei centri delle città di mezza Italia

Immigrazione, il governo Renzi deporta migliaia di profughi al..


di Michela Ravalico 



Milano dormitorio all’aperto. Milano Lampedusa d’Italia. Milano casa dei profughi. Lo si può declinare in tanti modi, ma la sostanza è sempre la stessa: da ottobre a oggi nel capoluogo lombardo sono arrivati almeno 12mila rifugiati. Siriani ed eritrei prevalentemente. Qualche somalo, libici. La maggior parte di essi, in fuga dalla guerra e da situazioni interne ormai insostenibili, vuole raggiungere il nord Europa. Svezia e Germania sono i paesi dove spesso hanno parenti, amici, ai quali appoggiarsi. Non si può escludere che alcuni, anche “solo” qualche migliaio, resteranno in Italia. Magari a Milano. Presumibilmente da clandestini.

La colpa è del governo, che rivendica la sacralità della norma Mare nostrum, senza preoccuparsi delle conseguenze. E non è solo Milano ad essere oppressa dal peso dei clandestini. Anche Piemonte e Veneto hanno alcune situazioni critiche. Comunque l’allarme si concentra tutto nelle regioni del Nord, senza che il premier Matteo Renzi si sia ancora preoccupato di dire e fare qualcosa per porre rimedio.

A Milano, che tra meno di un anno dovrà ospitare Expo e un turismo di prima classe, sembra di essere in un dormitorio a cielo aperto. I profughi arrivano a frotte in stazione centrale, che si è trasformato in un hub di smistamento stranieri. Solo ieri ne sono arrivati una cinquantina, ma la media ormai da mesi è di 400 al giorno. «I maggiori arrivi sono due o tre giorni dopo gli sbarchi, lì si toccano i picchi», spiega l’assessore al Welfare del Pd, Pierfrancesco Majorino. La situazione, però sta sfuggendo di mano. I profughi, alcuni richiedenti asilo e la maggior parte, invece, in attesa di “scappare” all’estero (dove chiederanno asilo solo una volta giunti a destinazione), sono talmente tanti da aver riempito praticamente tutti i centri di accoglienza disponibili. Per non parlare di quelli che preferiscono arrangiarsi da soli, e scelgono le strade come casa temporanea. Con il risultato che in una zona non lontana dalla stazione, corso Buenos Aires e le piccole vie nei dintorni, è frequente ormai incontrare gruppi di stranieri seduti per terra a mangiare, a dormire, o intenti a giocare a carte o al pallone. 

Da venerdì il Comune di Milano, non sapendo più dove sistemare tutti questi disperati (e per evitare che bivacchino in stazione per troppi giorni) ha deciso di aprire persino le palestre delle scuole. L’assessore alla Sicurezza, Marco Granelli, ha fatto appello a tutti i privati che abbiano spazi non utilizzati. «Anche solo per un paio di mesi - ha detto - finché dura l’emergenza». Alcuni eritrei giunti negli ultimi giorni hanno trovato ospitalità presso due moschee.

La tensione tra istituzioni è alta. Come dimostra il duro botta e risposta con la Curia, dopo che il Comune l’ha invitata, goffamente, ad aprire le chiese. «Come Caritas e chiesa siamo attivi per un’infinità di soluzioni - hanno replicato dalla Caritas - Evitiamo polemiche sterili. La soluzione non può essere aprire le chiese». Il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, rinvendica da mesi l’orgoglio di assistere tante persone in difficoltà, ma punta il dito contro il governo e la Regione. «Milano da ottobre a oggi ha soccorso oltre 12 mila persone. Il ministero dell’Interno latita, la Regione attende il governo». Ma il governatore Roberto Maroni non si lascia criticare gratuitamente. «Lo ho detto chiaramente al prefetto e al governo. Se il governo ci chiama e concorda con le Regioni un piano complessivo per la gestione noi non ci tiriamo indietro, ma se chiede di intervenire sulla base di invii di persone che arrivano e di cui non sappiamo nulla, io non sono disponibile». Critico anche il governatore del Veneto, Luca Zaia, dove nei prossimi giorni sono attesi 700 stranieri. «Alla fine i disagi dei continui sbarchi sulle nostre coste sono messi in conto, come sempre, ai nostri territori. Dopo le dichiarazioni da copione di Bruxelles che ci rassicurano, l’emergenza dovrà essere risolta dai sindaci. È una situazione ormai insostenibile e che rischia di creare dei pericolosi risvolti sociali».

Sondaggi, godono solo Salvini e... La ricerca che terrorizza tutti i partiti

Sondaggio Swg: volano Lega e Grillo, giù Pd e Forza Italia



Va male per tutti, tranne che per Matteo Salvini e Beppe Grillo. L'uiltimo sondaggio Swg (pubblicato dal sito Affari italiani)  sulle intenzioni di voto degli italiani restituisce una fotografia molto cambiata rispetto solo a sette giorni fa e anche rispetto alle rilevazioni che furono fatte alla vigilia delle Europee. Il dato più sorprendente è che il Partito Democratico che perde quasi un punto in una settimana, (è al 41,8% rispetto al 42,6 di sette giorni fa),  va anche peggio a Forza Italia che passa a un 16,6% rispetto al 18,1%. Come dicevamo sopra, risale il Movimento 5 Stelle che dal 19% passa al 19,7%. Anche la Lega Nord di Salvini guadagna passando da 6,6% a 7%.  Perdono anche il Nuovo Cendrodestra di Alfano (meno tre punti percentuali da 4,4 a 4,1) e Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni. 

Riforme, Senato, Titolo V e legge elettorale: ecco i numeri che spaventano Renzi e Boschi

Riforme, Senato e legge elettorale: i numeri che spaventano Matteo Renzi e Maria Elena Boschi


di Tommaso Montesano 


Il conto alla rovescia verso la prova dell’Aula è cominciato: a metà settimana il disegno di legge sulla riforma del Senato e del titolo V della Costituzione potrebbe lasciare la commissione Affari costituzionali e approdare in assemblea. «La riforma è alla portata, ci sono le condizioni per farla», professa ottimismo Debora Serracchiani, vicesegretario del Pd. In realtà la fronda in Pd e Forza Italia sul Senato elettivo mette a rischio l’approvazione della riforma. Almeno per centrare l’obiettivo dei due terzi di voti favorevoli, che consentirebbe di evitare il referendum confermativo. Ancora maggiori i rischi sull’Italicum, dove i dissidenti su liste bloccate e soglie di sbarramento sono di più (in primis in Pd, FI e Ncd). «Matteo Renzi rischia di più sulla riforma del Senato. Perché è quella su cui si vota per prima. E se non dovesse passare, anche l’Italicum andrebbe in archivio», osserva un senatore che sta seguendo da vicino la gestazione delle due riforme. A Palazzo Chigi è già tempo di pallottoliere. Sulla fine del bicameralismo perfetto, sono due le soglie da tenere in considerazione: quella sulla maggioranza assoluta dell’Aula di Palazzo Madama (161 voti) e quella dei due terzi per scongiurare il referendum (214).

Il governo è sicuro di avere dalla sua parte almeno 151 voti: i 24 lealisti di Forza Italia, sempre che la fronda guidata da Augusto Minzolini sia effettivamente in grado di calamitare il dissenso dei restanti 35; i 15 senatori della Lega, i 7 di Scelta civica, i 93 democratici fedeli all’esecutivo e i 12 autonomisti. Giocoforza più sfumata, dopo le fibrillazioni delle ultime ore sull’Italicum, la posizione dei 33 senatori del Ncd, mentre sugli 11 senatori del Gal, gli autonomisti di centrodestra, pochi si sentono di fare previsioni. E se a Renzi basterà riassorbire il malumore degli alfaniani per blindare la riforma del Senato, è destinato a rimanere in salita il cammino per raggiungere la soglia dei due terzi. Un obiettivo che potrà essere centrato solo ancorando alla maggioranza non solo i senatori del Gal, ma anche i Popolari (ultimamente in fibrillazione) oppure riducendo il dissenso di Forza Italia.

Più complicato il quadro sull’Italicum, il cui esame da parte di Palazzo Madama, nonostante le promesse del governo, è destinato a slittare a dopo l’estate. Molto dipenderà da cosa accadrà sul voto per la riforma del Senato, ma alcuni punti fermi ci sono già. A partire dalla dichiarata ostilità al provvedimento da parte di quaranta dissidenti Pd, nonché di Lega, M5s, Popolari e Sel, cui da poco si sono aggiunti i 33 senatori del Ncd. Sull’Italicum, Renzi può contare sul consenso sicuro di 69 Pd, 12 autonomisti e 7 montiani. A loro, è lecito aggiungere almeno 35 senatori dei gruppi FI-Gal. Il totale fa 123: 38 voti in meno della maggioranza assoluta. Per Renzi, la strada più agevole per tagliare il traguardo passa per il recupero di Ncd e ribelli di FI. Ma il probabile utilizzo del voto segreto promette di complicare i piani.

VALZER DELLE TELE-POLTRONE Floris da Cairo apre le danze Rebus-Ballarò, e in casa Cairo...

Raitre, tutti i nomi per Ballarò. Giovanni Floris a La7 apre la gara coi big di Cairo



Sale Vianello, scendono Santoro e Berlinguer. Il borsino per il dopo-Floris a Ballarò è in continua evoluzione. Di sicuro, resta l'addio poco amichevole tra Giovanni Floris, storico conduttore del talk show di Raitre, e viale Mazzini. Giova per spiegare l'addio alla terza rete e l'approdo (milionario) da Urbano Cairo a La7 ha tirato in ballo problemi di "linea editoriale" non più condivisa con la rete, scarsa considerazione e "appoggio". "La Rai non sposava le mie idee", ha spiegato il conduttore, a cui però è arrivata la replica a stretto giro di posta: "Nessun problema editoriale. L'azienda è pronta a rinnovare il contratto alle condizioni economiche che conosce". La verità, dunque, sembra un'altra e sarebbe da ricercare nell'ambiziosissimo progetto televisivo del patron del Torino. 

Tutti i galli di Cairo - Floris, infatti, è l'ultimo tassello di un parterre di prime donne dell'informazione: Corrado Formigli e Piazzapulita lunedì, Floris appunto il martedì (oltre a una striscia quotidiana da definire), Gianluigi Paragone con la Gabbia mercoledì, Michele Santoro e Servizio Pubblico il giovedì, Maurizio Crozza con il suo show al venerdì. Pausa il sabato e la domenica, anche se sono sempre da piazzare Daria Bignardi, Salvo Sottile e la lanciatissima Myrta Merlino, signora della mattina e, da quest'estate, anche del lunedì sera. E poi c'è lui, il dominus Enrico Mentana, direttorissimo del TgLa7 e sempre pronto a intervenire con il suo talk Bersaglio mobile. Un palinsesto pienissimo, dunque, che in combinata con Omnibus alla mattina rendono La7 non solo l'erede naturale di Raitre, ma pure di fatto l'unica all news delle reti in chiaro.

Chi dopo Floris - In Rai, invece, qualche problema c'è. Restano il nome e il format Ballarò, ma il programma sarà totalmente rinnovato perché seguiranno Floris il comico-editorialista Crozza, il sondaggista Nando Pagnoncelli e mezza redazione. Per ora, però, l'interrogativo principale riguarda il nuovo conduttore del talk di Raitre: il direttore di rete Andrea Vianello, secondo il gossip del mercato giornalistico, sarebbe pronto a rinunciare alla poltrona per tornare a condurre. Il suo nome sarebbe in pole davanti a quello di Gerardo Greco (Agorà), in crescita rispetto a Bianca Berlinguer (che ha smentito il passaggio a Ballarò), Massimo Giletti e Nicola Porro. In ribasso verticale il nome di Michele Santoro, altrettanto complicate le strade che portano agli "esterni" Gianluca Semprini (Sky) e Luca Telese (Mediaset).

domenica 6 luglio 2014

Chiacchiere di Renzi: "Dobbiamo difendere la Ue dalla burocrazia"

Renzi: "No all'Europa delle banche e della burocrazia. Sì a identità e bellezza"



«L’Europa non può diventare la patria delle burocrazie e delle banche», la dobbiamo «difendere dall’assalto della tecnocrazia per farne la casa della politica, dei valori e dei cittadini». Lo ha detto Matteo Renzi parlando ad un convegno a Castel Presule, a Bolzano, sul ruolo delle Regioni in Europa, Europa delle Regioni» con il cancelliere austriaco Werner Faymann. Per il premier, «l’Europa ha un futuro se mette insieme la capacità di coinvolgere i cittadini. Non serve avere una moneta comune se non hai in comune un destino». Renzi ha spiegato: «L’Italia sa che c’è un valore più grande di quello economico, c’è una storia comune, valori educativi e culturali e anche di scommessa sul bello». «C’è un libro di Chesterton, ’Il Napoleone di Notting Hill’, che racconta la storia di un sindaco pazzo di Notting Hill, che non esiste come comune perchè è un quartiere di Londra -ha raccontato Renzi-. Lui definisce una terra spritualmente viva anche se non ha confini spirituali, una comunità fatta di donne e uomini che quindi ha un’anima. Arrivando al paradosso di dire che anche un luogo insignificante è poetico se riflette l’identità che tiene insieme un popolo».

Identità - «Dobbiamo dire che questa parte di Europa è un modello per tutta l’Europa, perchè tiene insieme identità e integrazione. Questa è un’area in cui vogliamo affrotare i problemi dell’Europa vivendoli come opportunità e non come ostacolo», ha puntualizzato Renzi. «Paradossalmente nel momento in cui l’Europa si sta allargando, perchè abbiamo accolto la domanda di adesione dell’Albania, si rafforza in alcune zone il bisogno di indipendenza e autonomia -ha spiegato il premier-. Oggi un’Europa degna di questo nome non può non fare i conti con questo strano rapporto tra il bisogno di un governo continentale e quello di riaffermare l’autonomia». Il premier ha quindi sottolineato: «Ma l’essere appartenente alla mia terra non è in contraddizione con l’essere cittadino del mondo. Dobbiamo vincere, anche nella nostra parte politica, la persistenza a pensare che identità sia una parolaccia, il contrario di integrazione. Non è così, solo chi ha una forte identità è in grado di farsi integrare o integrare: il contrario di integrazione è disintegrazione.È un atteggiamento vetero legista quello che dice affermo la mia identità quindi mando via gli altri».

Bellezza - «Noi vogliamo essere costruttori di bellezza in un’Europa che non può inaridire l’anima e perdere la  ragione del suo esistere», ha aggiunto Renzi a Bolzano. «È molto bello che nel momento in cui tante istituzioni e associazioni stanno ricordando il centenario dello scoppio della guerra mondiale, in questo territorio un pezzo fondamentale di Europa, l’Austria, l’Italia, il Tirolo, l’Alto Adige, le province autonome, insieme riflettano su cosa ci unisce e anche simbolicamente sulle infrastutture che ci collegano», ha detto Renzi, che ha in programma anche un visita alla galleria del Brennero. Nel ricordo «c’è un valore di condivisione ma nel progetto c’è un valore del futuro. Noi abbiamo voglia di ricordare ma anche di costruire pace, prosperità e bellezza».

Il presidio No Tav - Circa cinquanta manifestanti No Tav si trovano sul piazzale antistante la stazione ferroviaria di Fortezza per manifestare contro il tunnel di base del Brennero (Bbt) in occasione della visita odierna in Alto Adige del premier Matteo Renzi. Gli esponenti No Tav che sono giunti in particolare dal Trentino, hanno esposto le loro bandiere tra esse uno striscione ’dal Trentino alla Val Susa contro i Tav azione diretta Chiara Nicco, Claudio, Mattia liberi'. In un altro striscione anche la scritta ’rottamiamo il Tav e il sistema che lo impone'. Nel primo pomeriggio, il premier visiterà il cantiere del tunnel di base del Brennero.

Berlusconi in ansia per Piersilvio: "Rischia grosso".

Processo Mediatrade, Silvio Berlusconi in ansia per Piersilvio: "Rischia la condanna da innocente"


di Salvatore Dama 



Nono appuntamento a Cesano Boscone presso la comunità Sacra Famiglia. Prestare assistenza agli anziani ammalati è «una cosa meravigliosa», ha confessato Silvio Berlusconi. E non si dica che il Cavaliere non sappia trovare aspetti positivi anche nelle situazioni più complicate. L’affidamento ai servizi sociali in effetti è la parte meno amara della sua vicenda giudiziaria. Che nei prossimi giorni rischia di arricchirsi di nuove e ingenerose pagine. 

Lunedì tocca a Pier Silvio. Imputato nel processo Mediatrade insieme al presidente di Mediaset Fedele Confalonieri. Berlusconi junior è accusato di frode fiscale aggravata dalla transnazionalità per 8 milioni di euro. I giudici sono in camera di consiglio da giovedì e Silvio è molto preoccupato. L’ha confessato ai parlamentari di Forza Italia durante il vertice dell’altro giorno. «Mio figlio è assolutamente estraneo alle accuse, ma...». Poi si è autocensurato, perché l’argomento toghe per lui è assolutamente tabù. Però è chiaro che, agli occhi del Cav, il caso Mediatrade è molto simile a quello dei diritti Mediaset: una farsa. Per la quale Berlusconi senior è stato condannato a 4 anni di carcere, tre dei quali annullati per effetto dell’indulto.

RUBY E LA GRAZIA
Ma i conti aperti con la giustizia, per Silvio, non finiscono qui. L’11 luglio, presso la Corte d’Appello di Milano, è prevista la requisitoria del procuratore generale Pietro De Petris sul caso Ruby. In primo grado Berlusconi è stato condannato a 7 anni per concussione e prostituzione minorile. Un anno in più rispetto alla richiesta dell’accusa. A seguire ci saranno le arrighe difensive. La nuova strategia inaugurata dal professor Franco Coppi è quella di smontare la tesi dell’accusa, invece di gridare al pregiudizio antiberlusconiano delle toghe. Il giudizio d’appello potrebbe arrivare già il 18 luglio. Tempi rapidi. Che fanno temere al Cavaliere l’arrivo di una nuova condanna definitiva entro la fine dell’anno. Sarebbe un colpo durissimo alla sua immagine. Ma anche al suo percorso di riabilitazione. In presenza di un nuova sentenza, addio ai servizi sociali. Il destino del Cavaliere sarebbero gli arresti. Nel suo domicilio, si spera. 

Ma Berlusconi, raccontano, ancora spera di riabilitare se stesso e la sua storia con una soluzione politica. Ed è questo il motivo per cui vuole tenere a tutti i costi aperto il canale del dialogo con Palazzo Chigi. Mettere la sua firma, accanto a quella di Matteo Renzi, sotto le riforme costituzionali. Sperare in un nuovo presidente della Repubblica più sensibile al suo dramma umano. E, magari, in un provvedimento di clemenza. La grazia. 
Tuttavia sia Renzi sia il suo predecessore negano che, all’interno del colloquio di giovedì mattina, sia stato intavolato l’argomento salvacondotto. In un primo momento Berlusconi aveva accennato a un’intesa sulla riforma della giustizia («Matteo ha promesso che la faremo insieme»), salvo poi ritrattare con il comunicato di ieri: «Nessuna collaborazione su economia e giustizia». E comunque Silvio si è indignato molto quando ha saputo che alcuni dei suoi andavano a dire in giro questo: che il leader azzurro avrebbe offerto i voti di Forza Italia a Renzi in cambio di un salvacondotto per sé e per le sue aziende. 

È vero, invece, che un provvedimento di clemenza non risolverebbe tutti i problemi giudiziari di Berlusconi. Nei prossimi mesi arriveranno al dunque anche gli altri processi in cui l’ex presidente del Consiglio è imputato. A Milano c’è l’inchiesta Ruby ter, che discende dal Ruby bis. Silvio è accusato di aver inquinato le prove corrompendo i testimoni. E inducendoli a descrivere le cene di Arcore come appuntamenti conviali ed eleganti.

BARI E NAPOLI
C’è poi il caso Tarantini a Bari. Il Cavaliere, secondo i pm, avrebbe indotto Giampi a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria, pagandolo per non rivelare che le ragazze invitate alle sue feste erano escort. A Napoli c’è il caso De Gregorio. Lì il presidente di Forza Italia è al centro delle indagini per una presunta compravendita di senatori finalizzata a far mancare i numeri del governo di Romano Prodi. Finita? Non ancora. In sede civile c’è ancora la coda del Lodo Mondadori. Con la famiglia De Benedetti che chiede altri 90 milioni di euro, oltre ai 494 già incassati da Fininvest, per i danni non patrimoniali. L’altro procedimento civile è quello che vede Silvio in causa con la signora Veronica. I due hanno ufficialmente divorziato, ma è ancora in ballo la vicenda del mantenimento della Lario.