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sabato 28 giugno 2014

RENZI FIRMA IL PATTO COL DIAVOLO Ecco come la Merkel ha fregato Matteo

Ue, Matteo Renzi e il patto con la Merkel: "Flessibilità in cambio di riforme"



Matteo Renzi ha firmato un patto col diavolo. Dopo il vertice Ue e il faccia a faccia con Angela Merkel, il premier italiano porta a casa sostanzialmente un impegno da parte dell'Europa sulla flessibilità dei vincoli di Bruxelles a patto che il governo italiano realizzi le riforme. Di fatto la Merkel ha consegnato Renzi nelle mani della minoranza Pd. Renzi torna a casa dal Consiglio Europeo senza aver ottenuto riferimenti espliciti alla possibilità di escludere dal patto di stabilità due questioni cruciali: il cofinanziamento nazionale dei fondi Ue e il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione. Sono due voci di spesa che pesano moltissimo sul bilancio pubblico. Per l'Italia dunque quello siglato da Renzi è un patto a metà, e comunque modesto rispetto alle attese. 

La fronda - Di certo la fronda del Pd farà di tutto per affossare le riforme. E così di conseguenza cadrebbero anche i "nuovi accordi" con la Merkel che tornerebbe alla carica sulla linea del rigore segnando la fine di Renzi e della sua esperienza a palazzo Chigi. Il Pd, ovvero quella parte che non ha mai digerito il premier, raduna le truppe e prova a mandare messaggi di guerra a Renzi. Il primo è stato Pier Luigi Bersani che ha proposto ancora il nome di Enrico Letta per la presidenza del Consiglio Ue, guadagnandosi subito dai suoi l'etichetta di "Chiti" dal nome del senatore che sta cercando in tutti i modi di affondare la riforma del Senato voluta da Renzi.

L'ultimatum - Così premier da Bruxelles risponde alla fronda con un ultimatum, alla minoranza interna. Sebbene sia convinto che alla fine i dissensi rientreranno. “E’ sorprendente che tutte le volte che c’è da fare battaglia in Europa, c’è una parte del partito, ancorché minoritaria, che apre discussioni che sembravano chiuse: mi riferisco alle riforme costituzionali…”. Insomma al Nazareno tira aria di bufera. Renzi al ritorno non potrà godersi il sole di Roma...

ALTA TENSIONE FINI-BOLDRINI "Sei solo una meschina". E lei... Ecco perchè è scoppiata la lite

Almirante, Fini attacca la Boldrini: "Una meschina a non partecipare..." E lei va dai partigiani




"Una meschina". Gianfranco Fini non l'ha presa bene. Dopo essere stato silurato da donna Assunta Almirante dalle celebrazioni per i 100 anni dalla nascita di Giorgio Almirante , ora Fini attacca Laura Boldrini. L'ex leader futurista non ha mandato giù l'assenza della presidente della Camera alla commemorazione dello storico padre della destra italiana. Così su facebook spara: "Nonostante Giorgio Almirante avesse nostalgia per il futuro, il meschino comportamento della Presidente Boldrini autorizza la nostalgia per il passato. Un passato in cui la Camera era presieduta da una donna come Nilde Iotti, anche lei di sinistra, ma di ben altro spessore umano oltre che politico". 

Rabbia Gianfry - Un attacco in piena regola. Forse dettato anche dalla rabbia per non essere stato invitato a quella cerimonia a cui tanto teneva. Per Fini la moglie di Almirante non ha certo speso parole tenere. Quando ha saputo dei dubbi di Gianfry che attendeva l'invito per la commemorazione, ha fulminato l'ex leader di An così:"Te credo che nun l'hai ricevuto. Non te l'ho proprio mandato, ormai non fai più parte della nostra storia". Insomma a Gianfry non resta che sfogarsi con la Boldrini. Che comunque va detto, con la famiglia Almirante e con un pezzo di storia del nostro Paese non ha certo fatto una bella figura... Intanto dopo aver snobbato la cerimonia di Almirante, la Boldrini partecipa alle reunion partigiane. La presidente è andata ad Ascoli alla cerimonia per l'intitolazione di una targa alle donne partigiane. Per lei esiste una sola memoria: rossa...

venerdì 27 giugno 2014

VENDETTA DEL GIUDICE ESPOSITO Ecco cosa ha fatto contro il giornalista che lo intervistò sulla sentenza Mediaset

Il giudice Esposito contro il premio Ischia ad Antonio Manzo, che lo intervistò sulla sentenza Mediaset




Il giudice Antonio Esposito ha emesso una sentenza mai richiesta sull'assegnazione del premio Ischia al giornalista del Mattino Antonio Manzo: quel premio "non s'ha da dare". Come riporta Marco Lillo sul Fatto Quotidiano, il magistrato ha ancora il dente avvelenato per l'intervista rilasciata al quotidiano campano e raccolta dallo stesso Manzo nell'agosto 2013, quando commentava la sentenza di condanna in via definitiva a Silvio Berlusconi per frode fiscale a 4 anni dicendo sostanzialmente che l'ex premier "non poteva non sapere" quel che accadeva nelle sue aziende.

Fermate quel premio - Esposito (non si capisce assolutamente a quale titolo) ha preso carta e penna per scrivere al presidente della giuria del premio di giornalismo Giulio Anselmi, già direttore di Espresso, Stampa, Ansa, oltre che ad altri giurati (tra i nomi che compongono la giuria ci sono i direttori del Mattino, Alessandro Barbano, dell'Ansa Luigi Contu, del Messaggero Virman Cusenza, e di SkyTg24 Sarah Varetto).

La missiva, riporta il Fatto per voce dell'avvocato di Esposito, chiede che il riconoscimento speciale a Manzo sia sospeso o revocato "a fronte di un'azione risarcitoria" avanzata da Esposito contro Manzo, il direttore del Mattino e l'editore Caltagirone che potrebbero rimetterci 2 milioni di euro per un'intervista, continua il legale "così gravemente manipolata". L'avvocato non esclude che Esposito possa rivalersi a questo punto anche contro la fondazione Valentino, che organizza il premio sotto l'altro patronato di del Presidente della Repubblica e il patrocinio della Presidenza del Consiglio. Anche se da Ischia fanno sapere che il premio per Manzo è dovuto alle interviste meritevoli fatte nel 2014 e non l'anno prima.

Cesare Prandelli, le dimissioni per l'attacco dei "senatori" azzurri

Cesare Prandelli, le dimissioni per l'attacco dei "senatori" azzurri



Nessun esercizio retorico, nessun retroscena, nessuna analisi potrà cambiare lo scenario: giusto o sbagliato che sia, per l'eliminazione dai Mondiali brasiliani i principali imputati sono due, Cesare Prandelli e Mario Balotelli. I motivi sono ormai arcinoti: le scelte del primo, le bizze del secondo. Però al quadro complessivo va aggiunto qualche elemento. Si ritorna ancora all'intervallo di quella maledetta partita tra Italia e Uruguay, all'intervallo che è stata la prima parte della resa dei conti. Si ritorna ai mugugni di Balotelli e ai rimbrotti di Prandelli all'attaccante-Godot. Le cronache hanno rivelato dell'alzata di scudi dei senatori, degli juventini e di Gigi Buffon su tutti, entrati metaforicamente a gamba tesa su Mario. Un dubbio: era il caso di farlo? Non avrebbe dovuto pensarci solo e soltanto Prandelli? Con la loro "mozione di sfiducia", i senatori non hanno finito per rendere irrespirabile un'atmosfera già tesa? Forse avrebbero potuto farlo a fine partita, a Mondiali finiti. Forse non lì, in quello spogliatoio, in quel modo che - si dice - ha turbato profondamente la squadra. Questo - sia chiaro - senza nulla togliere ai demeriti di Balotelli. E di Prandelli, che avrebbe potuto, e dovuto, gestire meglio la situazione.

Le cose cambiano - Ma non ci sono soltanto i dubbi sull'opportunità dell'offensiva di quelli che la semplificazione giornalistica chiama "senatori". Ci sono anche i fatti, rivelati dalla Gazzetta dello Sport, le tappe, le parole e le critiche che hanno portato alla sostanziale sfiducia di Cesare Prandelli. Secondo la rosea, di fatto, il Ct non si è dimesso per il risultato disastroso, per le polemiche sui soldi o per chi gli remava contro in Federazione: semplicemente, Prandelli è stato "dimissionato" proprio dai senatori. Il percorso è lungo, inizia quattro anni fa, quando l'ex mister della Fiorentina propone il suo nuovo progetto basato su due principi cardine: tenere palla per attaccare sempre e comunque e il codice etico. Due punti accolti con entusiasmo anche dalla vecchia guardia azzurra. E così via, per un Europeo e una Confederations Cup che cementano il gruppo. I problemi, però, iniziano una volta raggiunta la qualificazione ai Mondiali. Spunta il secondo imputato, Mario Balotelli: torna in azzurro. Decide Prandelli, è il capo, lo deve fare. Eppure Mario, complice il suo passato di poco impegno e molte polemiche in nazionale, non è accettato di buon grado da chi invece per la maglia azzurra ha sempre dato tutto, cuore, muscoli e polmoni, senza pretendere né una copertina né una pacca sulla spalla.

La rottura - Il secondo fattore destabilizzante è Antonio Cassano, che destabilizzante lo è per natura. Prandelli decide di portarlo in Brasile: lui sarà il jolly, lui il numero 10 che, all'occorrenza, dovrà trovare la giocata di classe. Fantantonio viene arruolato nonostante le riserve dei senatori juventini, memori dell'Europeo 2012, l'Europeo delle cassanate. Balotelli e Cassano dentro (più Insigne, scelta particolare), fuori Pepito Rossi, Gilardino, Destro, Toni. Non è tanto una questione di valori tecnici, ma di indole, di spirito: vengono tagliati fuori dal mondiale quei giocatori che per comportamento, abnegazione e dedizione alla causa sono ammirati da tutti, e sono ammirati soprattutto da quei giocatori che costituiscono la spina dorsale dell'Italia. Qualche malumore, in tempi più recenti, sorge per la scelta del resort di Mangaratiba: troppo poco entusiasmo, troppe mogli e parenti. Quindi la sorpresa all'esordio con l'Inghilterra: in campo, al fianco di Andrea Pirlo, c'è Marco Verratti. Eppure Pirlo, da anni, era abituato ad avere in mano lui e soltanto lui le chiavi del centrocampo azzurro. In parallelo gli allenamenti: Cassano, Balotelli e Insigne trotterellano, i senatori si incazzano. Loro, che anche in allenamento sputano il sangue, vogliono che tutti sputino quel sangue, soprattutto se c'è in ballo un Mondiale.

L'esplosione - Dopo l'Inghilterra, la Costa Rica e l'ovvio carico di dubbi e malumori che la squadra si è portato via da quella partita. Poi l'Uruguay, l'Italia spuntata, con Balotelli indisponente e impalpabile. Si arriva alla resa dei conti. Si arriva all'intervallo di quella maledetta partita con l'Uruguay. La tensione esplode. Forse con 45 minuti di anticipo, ma esplode. Mario risponde a Prandelli, la vecchia guardia si fa sentire: grida Buffon, grida De Rossi, gridano gli altri "vecchi". Poi il secondo round, davanti alle telecamere, mentre Balotelli pensa soltanto ad andarsene da solo sul pullman, sempre più lontano da quella squadra: le accuse, sempre di Buffon e di De Rossi, a "chi in campo non c'è" e alle "figurine". A Balotelli e a Cassano. Ma l'attacco non era soltanto a Mario e ad Antonio. L'attacco era rivolto anche a Prandelli, alle sue scelte, al progetto cambiato in corsa. E quell'offensiva scatenata negli spogliatoi ancor prima che finisse la partita ha segnato il destino del Ct: il "patto" siglato quattro anni prima era rotto, i senatori della squadra - colpendo altri per colpire anche lui - lo avevano sfiduciato. Prandelli sapeva che avrebbe potuto finire così. E aveva già pensato alla sua successiva e immediata mossa: le dimissioni, dopo essere stato "dimissionato".

SCAZZOTTATA A CINQUE STELLE "Vattene, sei fuori dal Movimento" La riunione grillina finisce male: è rissa

M5s, Firenze, si vota l’espulsione e scoppia la rissa tra grillini 



Rissa a Cinque Stelle. Il meetup di Firenze finisce male: arriva la polizia. L’assemblea di mercoledì sera degli attivisti del Movimento 5 Stelle, al circolo fiorentino Andrea del Sarto, avrebbe dovuto sancire l’espulsione di un gruppo di militanti colpevoli di aver "giocato sporco" e contro il Movimento durante le ultime elezioni amministrative per il Comune di Firenze. Una vicenda finita anche sul tavolo del parlamentare capogruppo alla Camera Luigi di Maio che a sua volta aveva allertato il deputato fiorentino Alfonso Bonafede nella vicenda.

La scazzottata - I malumori interni sarebbero nati dopo il flop uscito dalle urne il 25 maggio scorso, quando il M5S si era fermato al 9%. Ieri sera la resa dei conti: all’assemblea arriva un elenco di attivisti da cacciare. Si aprono le votazioni ma alcuni, non avvisati preventivamente di questa scelta, rimangono sbigottiti. Ne nasce una discussione accesissima, raccontano alcuni dei presenti, che arriva a sfiorare lo scontro fisico. A questo punto parte la chiamata al 113: una volante si precipita in via Manara dove da sempre il movimento tiene le proprie assemblee più numerose. All’arrivo degli agenti il clima si era fortunatamente già raffreddato ma la rissa era già avvenuta. Intanto nel mezzo della bagarre alcuni attivisti sarebbero stati espulsi dal meetup. 

Travaglio attacca Renzi: "Vi dico perchè è peggio di Berlusconi" Poi massacra Prandelli: "Pessimo, spero che..."

Otto e mezzo, Marco Travaglio: "Renzi è peggio di Berlusconi"



Marco Travaglio ospite di Lilli Gruber non risparmia nessuno. In un faccia a faccia con Claudio Cerasa, firma del Foglio, Marco Manetta attacca a testa bassa Renzi e il governo. A fare infuriare Travaglio è soprattutto il premier. A suo dire troppo "coccolato dalla stampa". Il vicedirettore del Fatto a questo punto alza il tiro e la spara grossa: "Renzi è più pericoloso di Berlusconi. È preoccupante il servilismo di classi dirigenti giornalistiche verso Renzi. Peggio che per Berlusconi". Insomma Travaglio è scatenato e aggiunge: "Tutto ciò è pericoloso per un uomo solo...". Infine Travaglio abbandona la presa su Renzi e Cav e sposta il mirino su Cesare Prandelli: "Non è stato un buon allenatore. Spero che chi venga dopo di lui pensi a parlare di calcio e abbandoni la retorica inutile sul patriottismo...". 

"Le intercettazioni non si toccano" Il Pd fa quadrato attorno alle toghe

Matteo Orfini: "Nella riforma della Giustizia non ci saranno le intercettazioni"



Promesse e riforme. Riforme promesse: l'ultima, quella della Giustizia, che verrà presentata al consiglio dei ministri di lunedì. Qualche anticipazione arriva da Matteo Orfini, il presidente del Pd, che in un'intervista all'Huffington Post assicura che "le intercettazioni non faranno parte della riforma della Giustizia". I poteri dei magistrati, dunque, non si toccano: nei progetti dell'esecutivo (contrariamente a quanto sostenuto da alcune indiscrezioni di stampa), non verranno né limitati durante le immagini né ci sarà una stretta sulle pubblicazioni. "Ho parlato col ministro Orlando e mi ha assicurato che le intercettazioni non faranno parte della riforma della Giustizia", ha ribadito Orfini.

Ncd che dice? - Dunque nel testo non troverebbero diritto di cittadinanza le norme che avevano già fatto scattare l'allarme preventivo delle toghe. Tra le misure previste, invece, il falso in bilancio, le misure sull'autoriciclaggio e le norme sulla responsabilità civile dei magistrati. E se quest'ultimo è un punto da sempre caro al centrodestra, altro tema da sempre in cima all'agenda è quello delle intercettazioni, strumento "principe" e usato indiscriminatamente nella lotta senza quartiere a Silvio Berlusconi, o per "far fuori" l'indagato di turno. Orfini, parlando della riforma, parla di "governo": resta da vedere cosa dirà Angelino Alfano sulla mancata stretta sulle intercettazioni, dopo anni di campagna nel Pdl contro lo strapotere "auditivo" dei magistrati e della stampa pronta a ricevere le loro soffiate.