Visualizzazioni totali

mercoledì 11 giugno 2014

Imu, Tari e Tasi, Renzi toglie gli sgravi sulla casa a malati, anziani e militari

Imu, Tari e Tasi, Renzi toglie gli sgravi sulla casa a malati, anziani e militari


di Sandro Iacometti



I consulenti dei Caf hanno già indossato l’elmetto. Da qui al 16 giugno, quando ci sarà il lunedì nero del fisco con un ingorgo devastante di 8 scadenze, gli uffici saranno letteralmente presi d’assalto dai contribuenti. L’appuntamento di fuoco, inutile dirlo, è quello che riguarda le imposte sugli immobili. Per tentare di arginare la marea i Centri di avviamento fiscale hanno già predisposto sportelli dedicati esclusivamente al pagamento del trittico Imu-Tari-Tasi. Ma il numero elevatissimo delle prenotazioni e la giungla di norme diverse con cui bisognerà fare i conti lasciano prevedere che gli accorgimenti non saranno sufficienti.

Il caos, insomma, è assicurato. Anche perché l’architettura della legge (e l’inerzia del governo, che solo la scorsa settimana ha ufficializzato il rinvio della Tasi per i comuni che non hanno deliberato le aliquote) ha di fatto consentito ad ogni sindaco di piegare a proprio piacimento l’imposta. A pochi giorni dal pagamento, ad esempio, si scopre che il tributo potrebbe non essere compensabile con altri crediti fiscali. A rigore, essendo contemplato il pagamento con l’F24, il contribuente dovrebbe poter versare la Tasi anche attraverso l’annullamento di un credito con l’erario. In pratica, però, non tutti i comuni lo permettono aggrappandosi al fatto che si tratta di imposta municipale e non statale. In questo caso, l’unico scambio previsto sarebbe quello tra tasse sulla casa (Imu-Tasi-Tari) oppure, come qualche comune ha previsto, quello tra il tributo sulla casa ed eventuale eccedenze di altre imposte municpali.

Ma la vera beffa è quella che si sta per abbattere su alcune categorie che erano state tutelate con la precedente normativa: in particolare gli anziani lungodegenti e i militari domiciliati per ragioni di servizio in un comune diverso da quello di residenza. Per costoro una serie di interventi legislativi (volti principalmente a garantire l’equiparazione degli immobili di proprietà non abitati e non affittati alle prime case) avevano garantito l’esenzione dal balzello sulla casa.

Con l’introduzione della Tasi, però, non solo pagheranno, ma pagheranno paradossalmente più di chi ha una seconda casa. Il meccanismo delle aliquote incrociate Imu-Tasi, infatti, ha spinto la maggior parte dei sindaci (che già avevano alzato la tassa sulle seconde case al massimo) a caricare tutto il peso della service-tax sulle prime case, applicando l’aliquota massima del 2,5 per mille e disattenendo quasi ovunque la richiesta del governo di riproporre le detrazioni presenti con la vecchia Imu.

Il risultato è che l’equiparazione delle abitazioni sfitte alle prime case salverà dall’Imu, ma costringerà gli anziani ricoverati in case di cura e gli esponenti delle forze dell’ordine e della sicurezza che hanno residenze fuori dal proprio comune per motivi di servizio a pagare un’aliquota più che doppia rispetto a quella base dell’1 per mille (che molti sindaci hanno addirittura azzerato). Della svista si era accorto anche il Parlamento, che aveva provato ad inserire un correttivo nella legge di conversione del decreto casa. Il tentativo è però fallito.

Così come nulla è stato previsto per i militari, su cui solo ieri il governo si è svegliato, passando la patata bollente ai sindaci. Il sottosegretario alla Difesa, Domenico Rossi, ha infatti preso carta e penna e ha scritto al presidente dell’Anci, Piero Fassino, per chiedere di reintrodurre le esenzioni per gli impiegati nel comparto difesa, sicurezza e soccorso di cui nelle delibere comunali non c’è traccia. Rossi auspica un «intervento affinché vi sia l'univoca applicazione della citata previsione da parte degli enti locali interessati anche al fine di evitare inutili contenziosi». «Siamo disponibili a ragionare», si è limitato a rispondere il sindaco di Torino. Ancora peggio andrà ai genitori che danno la casa in comodato gratuito ai figli. A causa di un ingarbuglio sulle soglie di rendita per l’assimilazione alla prima casa, questi potrebbero pagare sullo stesso immobile sia una quota di Imu seconda casa sia una quota di Tasi prima casa. L’inferno fiscale è servito.



"Banche e Stato Usurai", la clamorosa inchiesta: ecco tutti i big a rischio processo

Procura Trani, indagine per usura su Unicredit, Mps, Saccomanni e Bankitalia



La Procura di Trani ha chiuso una maxi indagine per usura che vede coinvolte 62 persone, tra cui dirigenti della Banca d'Italia e del ministero del Tesoro e i membri dei consigli di amministrazione di alcuni tra i principali istituti di credito italiani che potrebbero quindi essere chiamati a processo. Tra i nomi finiti sotto la lente del sostituto procuratore Michele Ruggiero figurano l'ex ministro dell'Economia del governo Letta Fabrizio Saccomanni, nella veste di direttore generale di Bankitalia, Anna Maria Tarantola, che era a capo della vigilanza di palazzo Koch, Giuseppe Maresca per il Tesoro, nonché vertici ed ex vertici di Unicredit e Banca di Roma, Bnl, Mps (inclusi Giuseppe Mussari e Antonio Vigni) e popolare di Bari. I dirigenti di Bankitalia e del Tesoro "consapevolmente e volontariamente (quanto meno con dolo individuale) - scrive il pm - concorrevano moralmente" con i vertici delle banche "nei delitti di usura dagli stessi materialmente commessi precostituendo le condizioni per consentire a quelle banche di applicare alla clientela interessi sostanzialmente usurari".

martedì 10 giugno 2014

Tempesta su Bruti Liberati, procedimento disciplinare per la gestione del caso Ruby

Tempesta su Bruti Liberati, procedimento disciplinare per la gestione del caso Ruby


di Luca Fazzo



Il Consiglio superiore della magistratura trasmette alla Cassazione gli atti a carico del procuratore capo di Milano: avrebbe tolto l'inchiesta a Robledo senza fornire spiegazioni e violando le regole


Va aldilà del previsto la pesantezza dell'intervento del Consiglio superiore della magistratura sulla Procura della Repubblica di Milano, attraversata da lacerazioni profonde venute alla luce solo due mesi fa con l'esposto del procuratore aggiunto Alfredo Robledo contro il suo capo Edmondo Bruti Liberati. Oggi trapela il testo integrale delle risoluzioni che la settima commissione del Csm, quella che si occupa del regolare funzionamento degli uffici, trasmetterà al plenum del Consiglio, dopo il lungo lavoro di indagine su quanto accade nella procura milanese. Ed è una conclusione che candida all'impeachment Bruti Liberati per la sua gestione del fascicolo Ruby, sottratto senza spiegazioni al suo destinatario naturale, cioè Alfredo Robledo. Se il plenum farà propria la decisione della commissione, per il procuratore di Milano si apre un periodo critico, che potrebbe portare addirittura alla sua rimozione dell'incarico.

Su quasi tutti gli elementi contenuti nell'esposto di Robledo, la commissione evita di prendere posizioni troppo nette, e dà atto comunque che dalle lacerazioni interne alla Procura milanese non è derivato pregiudizio alle indagini. Ma il Csm sa bene che in questione non c'è solo l'efficacia delle inchieste, ma anche la garanzia della loro imparzialità, messa in discussione - secondo l'esposto - dalla scelta di pm «affidabili» da parte di Bruti, tutti più o meno dell'aria di Magistratura democratica. E su questo il Csm dà ragione a Robledo: l'assegnazione del fascicolo a Ilda Boccassini e a Piero Forno è avvenuta da parte di Bruti prima a voce e poi con un provvedimento formale «privo di motivazione della cui opportunità (se non addirittura necessità) non può dubitarsi». D'altronde il regolamento interno della Procura «pur consentendo deroghe ai criteri di assegnazione per motivi di collegamento o connessione tra procedimento disciplina tuttavia la distribuzione degli affari all'interno di un medesimo Dipartimento e non giustifica il superamento delle competenze specialistiche».

E non è tutto: la commissione chiede che vengano trasmessi gli atti ai titolari dell'azione disciplinare anche per i casi Sea ed Expo. Nel primo caso nel mirino c'è ancora Bruti, che ha ammesso di avere dimenticato il fascicolo di inchiesta per due mesi nella propria cassaforte. Per l'affare Expo, invece, a rischiare l'azione disciplinare potrebbe essere Robledo, il procuratore aggiunto che ha dato il via con il suo esposto a questo caso, e che potrebbe pagare con una sanzione avere rivelato (secondo Bruti) l'esistenza di una inchiesta e di richieste di arresti ancora segreti. Alla fine, insomma, entrambi i contendenti potrebbero venire travolti.

Stato maggiore del Fatto fa festa al circolo. Con Veltroni

Lo stato maggiore del Fatto fa festa al circolo. Con Veltroni



La strana cena a Reggio Emilia: ci sono il direttore Padellaro, il vice Travaglio, il giornalista di punta Scanzi, la deputata M5S Giulia Sarti. Veltroni che c'azzecca?


Una bella tavolata. Francesco Aliberti, titolare della Aliberti Editore, nonché editore di riferimento del Fatto quotidiano, ha organizzato una bella cenetta (nella foto) per gli amici del Fatto al circolo Arci Fuori Orario, di Taneto di Gattatico (Reggio Emilia) dove ha invitato il direttore Antonio Padellaro, il vice Marco Travaglio, il giornalista di punta Andrea Scanzi, la deputata M5S Giulia Sarti e ancora, non si sa bene a che titolo, Walter Veltroni. Tutti insieme a magiare appassionatamente. Un locale che già nel 2010 aveva ospitato la festa del Fatto. Amici di Wingsbert House, come la chiama lo stesso Francesco Aliberti, traduzione letterale in inglese della sua casa editrice. Il motivo di questa cena non è ancora chiaro, ma una domanda se la pongono tutti: Veltroni che c'azzecca?

Giampaolo Pansa: dopo l'Expo, il Mose. A mali estremi... legalizzare le mazzette

Giampaolo Pansa: dopo l'Expo, il Mose. A mali estremi... legalizzare le mazzette

di Giampaolo Pansa


Un vecchio adagio inglese ci regala un buon frammento di schiettezza. Chiede di immaginare una stanza nella quale sta appeso un cartello che dice: «Vietato fumare». Se sotto quel cartello due signori si accendono la sigaretta, vengono subito multati. Ma se a fumare sono in venti, è il cartello che deve essere tolto. Forse in Italia dovremmo fare la stessa scelta per le leggi contro la corruzione. Potevano servire quando le persone beccate a intascare o dare tangenti erano poche. Ma oggi a che cosa servono quelle norme? A niente, come ci spiegano la grande abbuffata attorno al Mose di Venezia e, pochi giorni prima, quella dell’Expo 2015 a Milano. In tutte le democrazie un minimo di corruzione è accettabile e quasi fatale. Se a comandare sono i partiti politici e non un dittatore, nero o rosso che sia. Del resto come potrebbero mantenere le loro strutture, diventate anno dopo anno sempre più gigantesche e voraci? Nella prima Tangentopoli, iniziata nel febbraio 1992 con l’arresto del socialista Mario Chiesa, un altro socialista, il leader del Psi, Bettino Craxi, il 3 luglio di quell’anno pronunciò alla Camera dei deputati un discorso di grande franchezza. Disse: «Tutti i partiti ricorrono a un finanziamento irregolare o illegale. Chi lo nega è uno spergiuro».

Gli altri politici lo negarono. I più ferrei nel respingere la verità persino banale esposta da Craxi furono gli eredi del Pci. Le Botteghe oscure si erano sempre mantenute a forza di tangenti vecchie e nuove. In un Bestiario di questo maggio ho ricordato la mazzetta colossale, oltre dodici milioni di dollari, versata dall’Eni al Partitone rosso per favorire la fornitura di gas metano dall’Unione sovietica. Come persona, Enrico Berlinguer aveva di certo le mani pulite, ma la sua parrocchia no. Mi illudo che nel 2014 nessun figlioccio del Pci osi negarlo.

Se tutto l’arco costituzionale, ossia l’intero schieramento politico con l’unica eccezione del Movimento sociale, si fosse trovato d’accordo con la sacrosanta denuncia di Craxi, forse qualcosa sarebbe cambiata nel rapporto sempre più malato tra i partiti e la corruzione. In realtà, accadde tutto il contrario. Il leader socialista venne bollato come l’unico tangentaro della politica italiana. Dopo il luglio 1992, ebbe inizio una caccia all’uomo che non gli risparmiò nulla. A cominciare dalla tempesta di monetine che una sera lo accolse mentre usciva dall’Hotel Raphael. Una scena ripugnante, da repubblica sudamericana, che i giornalisti italiani, compreso me, accettarono come un evento normale.

a quel giorno sono trascorsi ventidue anni, ma in Italia la corruzione politica non si è attenuata, anzi è diventata un mostro che nessuno riesce a contenere e meno che mai a sconfiggere. Di conseguenza, anche la reazione dell’italiano senza potere si sta rivelando sempre più rabbiosa. Il nostro è un paese in crisi profonda, manca il lavoro e per molti diminuiscono le risorse per campare in modo decente. L’ira senza prospettive è un pericolo che può sfociare in esiti drammatici. E anche in questo caso ci soccorre il confronto con il 1992-1993.

Le urne hanno spaccato il Pd: "Abbiamo perso per colpa dei vecchi" Riparte la caccia agli anti-renziani

Ballottaggi, le sconfitte pesanti del Pd: Renzi alla resa dei conti con Bersani e la vecchia guardia


Uno choc. O meglio, un risveglio traumatico dopo una notte di bagordi. Matteo Renzi e il "suo" Pd hanno accolto con stupore e rabbia i risultati dei ballottaggi. Se è vero che il risultato complessivo è buono, con 19 Comuni vinti (8 al centrodestra, uno al Movimento 5 Stelle), è vero anche che il premier puntava come suo solito al record tondo di 20 successi. E soprattutto quell'unica vittoria grillina, a Livorno, con Marco Ruggeri battuto dall'ingegnere aerospaziale Filippo Nogarin, pesa come un macigno. Nella città toscana dove è nato il Partito comunista, e dove da 68 anni governava senza soluzione di continuità la sinistra, è finito l'effetto Europee, che pure il 25 maggio aveva lasciato il segno: quando si è votato per Strasburgo, il Pd trainato da Renzi aveva preso il 53%, quando si è votato per il sindaco i dem si sono fermati al 46%. Qualcosa vorrà pur dire. E pesa la sconfitta di Padova, dove il centrodestra di nuovo unito con il leghista Bitonci ha superato Ivo Rossi. Stesso discorso a Perugia, altra roccaforte rossa espugnata da Forza Italia e i suoi alleati. 

I bersaniani sconfitti - Tre ko che il Pd renziano scarica sulle spalle dell'apparato, dei rottamati, dei vecchi dirigenti insomma. "Perdiamo dove siamo chiusi, dove ha prevalso la logica del vecchio. Vinciamo dove ci siamo presentati con nuovi volti e nuovi programmi", è la linea dei fedelissimi del premier. Il riferimento è un po' a Livorno (più o meno, sono le stesse parole usate dal grillino Nogarin per spiegare il clima che si respirava in città) ma soprattutto a Padova, dove Ivo Rossi era il candidato "naturale" di un bersaniano Doc come Flavio Zanonato. Non è un caso che a tirare la volata al delfino dell'ex ministro nel governo Letta sia stato Pierluigi Bersani, con tanto di video-spot "Vota Rossi" girato direttamente a cena in casa di Zanonato e postato su Twitter. Renzi, invece, è rimasto alla larga, non si è fatto mai vedere dalle parti del Brenta. Tanto che Rossi, uomo della continuità in una città che dal 1993 ha vissuto all'ombra del centrosinistra, ha dovuto ammettere sconsolato: "Si perde da soli...". E pure Perugia, feudo rosso da decenni, è sfuggita e il dito dei renziani è puntato contro il candidato Wladimiro Boccali, cuperliano e sindaco uscente  

Verso il repulisti - Alla fine hanno pesato i dissidi interni, le faide tra correnti, la logica del "noi contro voi" dove "noi" sono i renziani e "voi" i bersaniani, dalemiani e compagnia rottamanda. E ora si apre la contesa anche a livello nazionale, una resa dei conti al veleno anche se è Renzi stesso a frenare: non si può rischiare di spaccare il Pd proprio ora che stanno per arrivare riforme pesanti come quelle della Pubblica amministrazione e il decreto anti-corruzione. A meno che proprio l'emergenza Expo e Mose non porga al premier l'occasione di un repulisti.

Silvio dopo il ballottaggio pensa alla rivoluzione interna Forza Italia, giro di vite: "Facce nuove, via le mele marce"

Silvio Berlusconi pronto al colpo di spugna: "Facce nuove e fuori le mele marce"



I risultati ai ballottaggi lo dicono chiaro e tondo: il centrodestra vince a Padova, Potenza, Perugia e in tutte quelle città dove ha corso unito e rinnovato. L'analisi del voto il giorno dopo il secondo turno delle amministrative vede un agguerrito Silvio Berlusconi, descritto da chi ha potuto parlarci un po' a metà tra il rabbioso e il determinato a resettare tutto - altro che formattazioni - per ripartire con una sorta di "rivoluzione interna" in tempi brevi.

Fare presto - In Forza Italia sembra convinzione diffusa che una soluzione alla situazione di empasse vada trovata al più presto. Il come è però quel che continua a creare le divisioni interne sempre più evidenti fuori dal partito. Per Raffaele Fitto e gli azzurri a lui vicini (tra cui Mara Carfagna e Renata Polverini) l’unica strada percorribile è rinnovare partendo dal basso, attraverso primarie a tutti i livelli. Per il cerchio magico berlusconiano (Giovanni Toti, Francesca Pascale e Maria Rosaria Rossi su tutti), invece, le primarie sono solo la scusa per lanciare l'Opa sul partito e rottamare Berlusconi.

Guardate Renzi - Dipendesse dal leader di FI, secondo più di un fedelissimo, l'unica cosa da fare sarebbe un drastico colpo di spugna, tanto più dopo i ballottaggi che, in base ad un’analisi a largo spettro, penalizzano Forza Italia soprattutto al nord, dove le ultime inchieste della magistratura hanno coinvolto anche alcuni forzisti. Per l'ex premier il vaso è talmente colmo da convincersi che sia necessaria una linea più dura sul fronte dei corrotti o presunti tali. Nessuna sterzata giustizialista naturalmente, la battaglia garantista rimane la bandiera da seguire così come successo dalla discesa in campo del '94. Si parla più di un giro di vite, che ripulisca l'immagine "offuscata" del partito. L'idea di Berlusconi, raccontano i più vicini, è fare come Matteo Renzi: anche il Pd è coinvolto negli scandali, sostiene la tesi berlusconiana, ma il Presidente del consiglio è stato abile ad apparire come "altro".

Fuori le mele marce - É un clima da "questione morale", esclusiva della sinistra fino a poco tempo fa, ora tema invocato da buona parte della base e da chi se ne fa interprete e vorrebbe mettere ai margini di FI le "mele marce". Una linea sposata per esempio dal Mattinale, il bollettino del capogruppo alla Camera Renato Brunetta: "Il garantismo, da cui non deroghiamo - si legge nella newsletter dell'ex ministro - non è un riparo per corrotti e ladri, ma tutela dei diritti senza cui non c’è civiltà". Sulla questione unitaria dice Daniela Santanchè: "Le elezioni amministrative sono state lo specchio del pensiero degli italiani. Non è un caso - ricorda - che i partiti che sono rimasti lontani dalla vicenda Mose siano stati i più avvantaggiati. E sono stati premiati nei territori in cui essi hanno messo da parte le diatribe interne".

Finita la campagna pacificata - Passati i ballottaggi, la tregua armata tra Fitto e Berlusconi è ormai agli sgoccioli: l'ex governatore pugliese ha fatto un passo indietro a Napoli, dove in nome dell'unità ha annullato una manifestazione, dopo che i vertici azzurri ne avevano prontamente organizzata un’altra con Toti in contemporanea. Passi per la manifestazione, ma Fitto non cederà su primarie e cambio di passo nel partito. Berlusconi non ha nessuna intenzione di arrivare allo scontro e alla conta interna. Non ha intenzione neanche di creare occasioni utili a imboscate, quindi potrebbe anche disertare le riunioni previste per martedì 10 giugno, prima del parlamentino dell'ex Pdl, per chiudere il bilancio, e poi dell'ufficio di presidenza di FI, che all'ordine del giorno ha rigorosamente l'approvazione del bilancio 2013.

Facce nuove - Insiste Berlusconi che sia indispensabile un rinnovamento radicale della classe dirigente del partito. Da un po' è a caccia di volti nuovi e chi gli ha parlato poco dopo i ballottaggi delle ultime elezioni amministrative lo ha sentito più volte citare l'esempio di Andrea Romizi, il giovane avvocato che ha espugnato il comune di Perugia, storicamente roccaforte rossa.