Visualizzazioni totali

sabato 7 giugno 2014

Facci: Travaglio in delirio manettaro, vuole uno Stato di polizia grillino

Facci: Travaglio in delirio manettaro, vuole uno Stato di polizia grillino


di Filippo Facci



Marco Travaglio ha finalmente scritto il Manifesto del forcaiolo, ossia un articolo che cerca di fiancheggiare la comprensibile rabbia legata ai vari scandali - Venezia, l’Expo - così da evidenziare i suoi autentici desideri in tema di giustizia. Darne conto è interessante, perché sintetizza che Paese diventeremmo se certe soluzioni venissero effettivamente adottate: una sorta di Germania Est, coi Cinque Stelle al posto della Stasi. Intanto va segnalato che il pentastelluto Mario Giarrusso ha proposto seriamente il ripristino della ghigliottina - lo ha detto alla Zanzara, su Radio24 - spiegando pure che gli arresti domiciliari andrebbero aboliti. Diceva sul serio.

Ma veniamo alle analisi e alle proposte di Travaglio. 
1) Travaglio fornisce una disamina della seguente profondità: «Destra, sinistra e centro rubavano. Rubavano e rubano tutti, e insieme, sempre, regolarmente, scientificamente, indefessamente... Esiste soltanto una gigantesca, trasversale, post-ideologica associazione per delinquere che si avventa famelica su ogni occasione per rubare». Tutti. Insieme. Sempre. Quindi anche il governo delle larghe intese: «Continuano a rubare, secondo un sistema oliato e collaudato di larghe intese del furto che precede e spiega le larghe intese di governo». Il governo Pd-Ncd, dunque, serve a rispecchiare l’amicizia trasversale tra Frigerio e Greganti (Expo) o tra Galan e Orsoni (Expo). E Renzi? Ruba anche lui? No, «i suoi fedelissimi sono lì da troppo poco tempo. Ma rischia di diventare il belletto per mascherare un partito marcio». Renzi, quindi, è la copertura della gigantesca associazione per delinquere. Va rilevato che il Travaglio-pensiero - si fa per dire - è un’evoluzione recente: nel 2010, sul Fatto, elogiava il piddino Giorgio Orsoni (ora arrestato) definendolo «persona seria e normale».
2) Adesso però è cambiato tutto, e le garanzie democratiche e costituzionali andrebbero sospese. Lo scrive Travaglio, e tra le righe non si scorge alcun tono satirico: «L’art. 27 della Costituzione, quello della presunzione di non colpevolezza, diventa una barzelletta se si leggono le carte delle indagini... non c’è bisogno della Cassazione, e nemmeno della sentenza di primo grado, per capire che rubavano davvero». Basta Il Fatto Quotidiano che legga per noi le carte: carte infallibili scritte da pm infallibili, come dimostra la storia giudiziaria italiana. C’è da sentirsi tranquilli. 
3) La terza proposta è di conseguenza: «Cacciare ogni inquisito dai governi locali e nazionali». È sufficiente essere inquisiti e non importa per che cosa: anche per atto dovuto, anche per una qualsiasi delle scemenze per le quali in Italia non esiste politico che non sia stato inquisito almeno una volta : o condannato, come Grillo, o come Travaglio. Del resto «a certi livelli non esistono innocenti, solo colpevoli non ancora presi», scrive il nostro. Bene. Si allarga il clima di fiducia. 
4) Anche la quarta proposta è di conseguenza: «Radiare dai contratti pubblici tutte le imprese coinvolte in storie di tangenti». E siccome «in storie di tangenti» sono state coinvolte praticamente tutte le più importanti aziende italiane ed estere (comprese Eni, Finmeccanica, Fiat, Autostrade, Coop) i lavori della Salerno-Reggio Calabria saranno conclusi da Casaleggio via internet. 
5) Ma è un falso problema, perché prima c’è altro da fare: «Cancellare le grandi opere inutili ancora in fase embrionale, dal Tav Torino-Lione al Terzo Valico». C’è uno scandalo a Venezia e allora rinunciamo alla Torino-Lione, che è in fase embrionale come può esserlo un ragazzino di 14 anni. Non è un discorso pretestuoso, no.
6) Ma restiamo allo stato di polizia che piacerebbe a Travaglio. Che cosa servirebbe? Questo: «Introdurre gli agenti provocatori per saggiare la correttezza dei pubblici amministratori... imporre a chi vuole concorrere ad appalti una dichiarazione in cui accettano di essere intercettati, a prescindere da ipotesi di reato». Viene il sospetto che Travaglio abbia visto American Hustle o, più indietro nel tempo, Le vite degli altri. E resta la curiosità di sapere che cosa accadrebbe nel nostro Paese se, oltre alle mazzette vere, ci fossero anche quelle false offerte da agenti provocatori e cioè corruttori: questo nello stesso Paese post-sovietico in cui chiunque partecipasse a un appalto (anche quello per la fontana del paesello) dovrebbe mettere a disposizione del maresciallo tutte le proprie conversazioni e dunque quelle dei suoi amici e familiari. Molto bello. 
7) Il problema è che in galera c’è poca gente: occorre «piantarla con le svuotacarceri», costruire nuovi penitenziari e, nell’attesa, «riattare caserme dismesse per ospitare i delinquenti che devono stare dentro». È così semplice. E la scuola dell’amico Piercamillo Davigo, già ispiratore anche della battuta sui colpevoli non ancora scoperti: in Italia ci sono pochi detenuti in rapporto alla popolazione, diversamente dagli Stati Uniti. Ma segnaliamo un problema: Usa e Italia adottano sistemi diversi. Comunque tutto si può fare: ma bisognerebbe, anche qui, cambiare la Costituzione. 
7) Nell’attesa, si possono «radere al suolo tutte le leggi contro la giustizia targate destra, centro e sinistra degli ultimi 20 anni». Tutte. Proprio tutte. Soprattutto quella che bruciò di più alla magistratura, cioè la riforma dell’articolo 513 che costrinse a cambiare la Costituzione nel 1999: si tornerebbe, cioè, a quando un accusatore poteva tranquillamente denunciare chicchessia, patteggiare una pena simbolica e quindi uscire dal processo senza neanche presentarsi in aula per confrontarsi con la persona che aveva accusato. Very Germania Est. 
8) «Tutto il resto non è inutile: è complice». 
9) Per qualche misteriosa ragione - scrive infine, cioè: in realtà lo scrive all’inizio - dopo lo scandalo di Venezia dovremmo tutti chiedere scusa a Beppe Grillo: «Milioni di persone perbene - elettori, giornalisti, intellettuali, eventuali politici e imprenditori - dovrebbero leggersi l’ordinanza dei giudici di Venezia e poi chiedere umilmente scusa a Beppe Grillo e ai suoi ragazzi». Perché? Travaglio non lo spiega, se non deplorando gli «anni e anni sprecati ad analizzare il suo linguaggio, a spaccare in quattro ogni sua battuta, a deplorare il suo populismo, autoritarismo, giustizialismo... intanto destra e sinistra e centro rubavano». Tutti. Insieme. Sempre. Travaglio ne approfitta per correggere la rotta sull’alleanza grillesca con Nigel Farage: «L’abbiamo denunciata anche noi, ed era giusto farlo, ma in un paese normale: dunque non in Italia». Traduzione: c’è stato lo scandalo del Mose e allora Grillo potrebbe anche allearsi con Farage. Travaglio l’ha deciso mercoledì. Martedì aveva scritto il contrario. 

RAI da ridere: Niente sciopero, Dirigenti e giornalisti hanno paura, alla fine ha vinto ancora Renzi

Rai, salta lo sciopero dell'11 giugno. I direttori e i dirigenti hanno paura di Renzi




Alla fine ha vinto Matteo Renzi. L'Usigrai, dopo aver minacciato uno sciopero per protestare contro la mannaia del governo sul bilancio di viale Mazzini, ha annunciato che nessuno dei giornalisti e dei dipendenti della Rai previsto l'11 giugno prossimo incrocerà le braccia.  Le assemblee di redazione delle diverse testate Rai, sedi regionali comprese, si sono quasi tutte espresse a favore di una revoca. Nei giorni scorsi la Commissione di Garanzia sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali aveva sentenziato che la mobilitazione contro i tagli del governo Renzi era illegittima, «non conforme alla legge». In particolare - dice la motivazione - non rispetta la regola - «ben nota alle organizzazioni sindacali», dell’intervallo dei 10 giorni tra due scioperi che insistono sullo stesso settore». Codacons e Associazione Utenti Radiotelevisivi, dopo il parere espresso dall'Autoriy avevano avvisato i giornalisti e i dipendenti Rai: in caso di sciopero l’11 giugno, sarà inevitabile una denuncia nei loro confronti per interruzione di pubblico servizio.  «La decisione -riferisce l’Usigrai- arriva dopo il voto a larghissima maggioranza delle assemblee tenute nelle ultime 48 ore in tutte le redazioni d’Italia, alle quali il sindacato dei giornalisti della Rai aveva chiesto il congelamento dello sciopero alla luce delle positive novità ottenute grazie all’iniziativa sindacale di queste settimane». «L’Usigrai - si legge in una nota del sindacato - è riuscita a ottenere che si mettesse al centro dell’agenda politica il futuro e lo sviluppo della Rai Servizio Pubblico. È su questo che continuerà sempre più forte e determinato l’impegno e la mobilitazione delle redazioni. Non accetteremo politiche di corto respiro». 

Si punta sulla Riforma - «La riforma della Rai, l’anticipo della Concessione di Servizio pubblico di 2 anni, la lotta all’evasione del canone, norme per ’rottamarè i partiti e i governi del controllo della Rai - scrive l’esecutivo Usigrai - sono finalmente al centro del dibattito politico, così come chiesto dall’Usigrai nell’assemblea aperta dell’8 maggio a Roma. Ora vediamo se il governo è in grado di tenere il passo della sfida riformatrice o sono solo annunci». Restano tuttavia «tutte le preoccupazioni e contrarietà per la vendita di quote di RaiWay fatta solo per far cassa, senza una idea strategica per il Paese sul tema delle torri di trasmissione. E la nostra convinzione che il prelievo di 150 milioni di euro, versati dai cittadini per il Servizio Pubblico, sia illegittimo. Su questo, governo e parlamento devono una risposta anche all’Ebu (l’Associazione dei Servizi pubblici europei), che ha lanciato l’allarme al presidente della Repubblica Napolitano sul rischio per l’indipendenza del Servizio Pubblico». L’Usigrai «riterrebbe grave che il direttore generale della Rai e il CdA non agissero a tutela del patrimonio aziendale avviando urgentemente un ricorso. Urgenza che invece il Dg, senza neanche essere riuscito a parlare con il presidente del Consiglio per chiedere i programmi del governo sul Servizio Pubblico, ha ritenuto di dover avere per mettersi a lavorare sulla vendita di RaiWay e potendo così scrivere un nuovo piano industriale, ancor di più immotivato alla luce del fatto che il prelievo non è strutturale». In ogni caso, conclude la nota, prima di ipotizzare qualunque progetto, il dg si facesse chiarire dall’azionista margini e tempi del suo mandato». Nel comunicare la sospensione, l’Esecutivo dell’Usigrai sottolinea che «pur assumendo una decisione diversa da altre sigle sindacali, pretendiamo il massimo rispetto per chi ha scelto di confermare lo sciopero: un diritto garantito dalla Costituzione che non può essere deriso con commenti e termini sprezzanti».

C'è chi dice no - Incroceranno invece le braccia i lavoratori iscritti a Slc-Cgil, Uilcom-Uil, Ugl Telecomunicazioni, Snater, Libersind Conf.sal. «Ci spiace deludere chi prova a fare della vicenda Rai una operazione mediatica ’buttando in caciara' la protesta di chi sta provando a difendere servizio pubblico e
posti di lavoro, ma l’11 giugno a scioperare non saranno i ’mezzibusti sediziosi', guidati da un insieme variegato di sindacati corporativi, pronti a difendere ’privilegi' mentre l’Italia tutta è chiamata a fare ancora sacrifici. A scioperare saranno coloro che da sempre e prima di tutti hanno denunciato sprechi e privilegi perchè non è assolutamente l’idea di fare la nostra parte che ci preoccupa. L’abbiamo già fatto in passato, contribuendo al risanamento del bilancio Rai e siamo pronti ancora oggi». A scioperare - aggiungono le segreterie nazionali Slc-Cgil, Uilcom-Uil, Ugl Telecomunicazioni, Snater, Libersind Conf.sal - «saranno i precari che non verranno più stabilizzati e i lavoratori che vedono il loro posto in pericolo insieme a coloro che credono ancora che il servizio pubblico sia un bene comune, che va liberato dalle ingerenze e dalle invasioni della politica. Non i supermanager, che non vedranno tagliato il loro stipendio, nè le mega consulenze esterne, nè gli appalti». «Noi stiamo con i primi, il popolo dei titoli di coda, e siamo pronti a riformare la Rai, non ci si chieda però di adeguarci all’ondata di populismo che sembra aver travolto tutto e tutti e che fa di chi chiede il confronto sul merito un nemico della patria», concludono.

Expo, spunta il nome del ministro di Renzi E Greganti fa lo show davanti ai giudici: "Sono un utopista, picchiatello, vivo con..."

Expo, spunta il nome di Martina, il ministro di Renzi. E Greganti nega tutto: "Vivo con 1.600 euro"



Altri guai in vista per Matteo Renzi: spunta il nome di un suo ministro nell'inchiesta sull'Expo. A farlo è stato Angelo Paris parlando nel suo primo interrogatorio del Compagno G. Primo Greganti, ha detto l'ex manager di Expo secondo quanto riportato dal Fatto Quotidiano, "non hai mai fatto riferimento a personaggi politici, faceva riferimento ad aree politiche della sinistra, Pd. Una volta ha fatto riferimento al ministro Martina, era un suo buon amico, ma non in riferimento alla mia carriera". Dopo essere stato arrestato con l’accusa di far parte della "cupola degli appalti" Paris tira dunque in ballo il ministro dell'Agricoltura che però nega ogni coinvolgimento: "Non ho mai conosciuto Greganti". "Ricostruzioni diverse sono prive di ogni fondamento e frutto di illazioni da cui mi tutelerò senza indugio in tutte le sedi opportune", ha tuonato Maurizio Martina.

La cupola - Riguardo sempre alla forse "millantata capacita'" da parte della "cupola" di "assicurare un futuro politico stabile", Paris ha anche spiegato che "è stato Frigerio che mi ha sempre parlato" che per un "avanzamento della mia carriera faceva riferimento a Silvio Berlusconi". E poi lo sfogo: "Sono stato un cretino a fidarmi di Cattozzo, Frigerio e Greganti. Grillo non lo conosco. La prima volta che l'ho visto è stato il 28 aprile 2014". Ha chiarito, infatti, di aver "favorito questi qua, Cattozzo, Frigerio e Greganti, da quando ho questo ruolo". Ma ha ribadito di non aver mai preso "un soldo" da loro. E ancora sull'ex funzionario Pci: "Nel corso degli incontri con Greganti, mi propose la possibilità che le cooperative potevano inserirsi nella gestione dei padiglioni, lui si proponeva come titolare di una società che produceva materiale di legno".

Il dribling del Compagno G - Da parte sua, Greganti nega ogni addebito. Mentre gli altri arrestati dell'inchiesta Expo si barcamento, si inventano scuse, lui, interrogato nel carcere Opera il 12 maggio scorso nega tutto. Dal verbale dell'interrogatorio pubblicato dal Giornale emerge "un gigante": come vent'anni fa il Compagno G "si sdraia di traverso all'inchiesta, a costo di non essere creduto dai giudici". "Sono scandalizzato che parlino di me", dice Greganti al giudice Fabio Antezza. Può darsi che loro abbiano pensato di ripartire questo importo anche con me e poi ci hanno ripensato su. Con me, però, non hanno mai concordato di dividere quell'importo, perché io non ho mai fatto nulla in rapporto alla questione a cui loro si riferiscono". Greganti spiega poi al magistrato che lui non ha mai vissuto sopra le righe: "Vivo con una pensione di 1.600 euro al mese e 550 euro li do per la figlia che non frequento. Sono un utopista che vive nel mondo che probabilmente non c'è più". E ancora: "Non ho dato soldi a nessuno, non ho preso soldi da nessuno, non ho chiesto a nessuno di fare cose fuorilegge", dice al Pm l'ex funzionario del Pci che ammette di aver incontrato molto volo Angelo Paris, ma "non gli ho mai chiesto di darmi notizie riservate". "Ho incontrato Paris", spiega, "perché lì si fanno 43 padiglioni in legno (e lui si occupa di progetti della filiera del legno, ndr), c'è un'ingegneria evoluta lì a Milano che a me interessa conoscere". Stesso discorso per la Cina: lui era interessato alle tecnologie del legno. Alla fine Greganti ammette: "Questa è la mia morte politica", dice al pm. "Non politica perché io aspiri a... non faccio, non sono dirigente politico, sono sensibile ai problemi sociali. Sono un utopista, un po' picchiatello. Ma è la mia morte... settant'anni... sa che dopo le vicende giudiziarie del '93 io è come se avessi avuto la rogna per alcuni anni? Capisce?".

venerdì 6 giugno 2014

Mondiali comprati, Platini esce dell'angolo: "Se il Qatar ha pagato si faranno altrove". Poi Michel si difende dalle accuse

Scandalo Qatar, Michel Platini (Uefa): "Se confermate le corruzioni, riassegnare i Mondiali 2022"



I Mondiali in Qatar del 2022 sono sempre più a rischio. In un'intervista a L'Equipe, il presidente della Uefa Michel Platini non esclude la possibilità che quell'edizione del campionato del mondo possa andare altrove: "Se la corruzione sarà dimostrata - ha detto - dovranno esserci sanzioni e e una nuova votazione". L'ex campione juventino nega però ogni tipo di coinvolgimento personale nella vicenda di presunte corruzioni nell'assegnazione dei Mondiali all'emirato qatariota: "Solo per aver fatto colazione con un collega - ha provato a chiarire a proposito dell'incontro con Mohamed bin Hammam, dirigente sportivo del Qatar al centro dello scandalo - mi vedo coinvolto in un affare di Stato e in una trama completamente costruita, non so da chi o perché. Una cosa è certa per Platini: "Non sono corrotto, non so chi c'è dietro a tutto questo".

Le accuse di corruzione - A sollevare il polverone sui Mondiali in Qatar è stato il Daily Telegraph. L'inchiesta del giornale britannico sostiene che Platini ha incontrato Mohamed bin Hammam il 2 dicembre 2010 a Zurigo per una colazione di lavoro. In quell'occasione il dirigente qatariota, sostiene il Daily Telegraph, ha fatto pressioni sul capo della Uefa per assegnare i Mondiali al suo Paese. Alla colazione sarebbe seguita una cena con un tavolo di nomi eccellenti come Nicolas Sarkozy, l'emiro e il primo ministro del Qatar e lo stesso Platini.

Fiume di tangenti - A sollevare un altro sipario è stato il Sunday Times, secondo il quale ci sarebbero state tangenti per almeno cinque milioni di dollari partiti dai conti di bin Hammam verso quelli dei vertici del calcio mondiali. Le inchieste della Fifa sui Mondiali 2022 (Qatar) e 2018 (Russia) si concluderanno il 9 giugno. L'Inghilterra si è già candidata per voce del primo ministro David Cameron a subentrare al posto del Qatar nel 2022.

Grandi opere, grandi mazzette: Dall'Expo al Mose la mappa delle inchieste

Grandi opere, grandi mazzette: Dall'Expo al Mose la mappa delle inchieste



Quando nel febbraio 1994 venne approvata la legge anti-tangenti si pensò di aver risolto tutti i problemi: procedure più rigorose e controlli inflessibili negli appalti avrebbero evitato che politica e imprenditoria potessero far affari sulle opere pubbliche a danno della collettività. Niente di più sbagliato. E la dimostrazione sono gli scandali scoppiati ultimamente sull'Expo, il Mose, la ricostruzione dell'Aquila, i Grandi Eventi, la Salerno-Reggio Calabria. Cosa non ha funzionato nella legge? Sergio Rizzo sul Corriere ricorda che la legge firmata dall'allora ministro dei Lavori Pubblici Francesco Merloni venne approvata senza un articolo fondamentale: quello che riduceva il numero abnorme di soggetti pubblici titolari del potere di appaltare opere pubbliche. Dovevano essere 20 in tutto, uno per Regione e sottoposti a rigidi controlli, spinti fino alle dichiarazioni patrimoniali dei funzionari e dei loro familiari. La norma c'era nel testo originale, ricorda Rizzo, ma non in quello che uscì dal Parlamento. "Tutte le forze politiche erano contrarie", dice Luigi Giampaolino, l'ex presidente della Corte dei conti, "tutte". E così nel nostro Paese si contano 33 mila stazioni appaltanti: dai piccoli Comuni ai ministeri, passando per le università, i consorzi di bonifica, le comunità montante che hanno a che fare con un dedalo di nome incomprensibili perfino per i tecnici più raffinati. "Un brodo di coltura ideale per la corruzione", scrive Rizzo, "ed è la dimostrazione che quel cancro nessuno l'ha mai voluto seriamente sradicare". E così il malaffare dilaga in tutta Italia: da Nord a Sud passando per il Centro come dimostrano le grandi inchieste sotto i riflettori della cronaca in questi giorni.


Salerno -Reggio Calabria - Il caso emblematico è quello della Salerno-Reggio Calabria già costata 7,4 miliardi di euro e non ancora conclusa. L'ammodernamento della A3 è da tempo al centro di inchieste sulle infiltrazioni mafiose nelle queli sono stati coinvolti esponenti della 'ndrangheta, imprenditori, funzionari.

Grandi Eventi - Poi c'è l'inchiesta sugli appalti dei "Grandi eventi", ovvero i mondiali di Roma di Nuoto, il g8 alla Maddalena, il 150° dell'Unità di Italia, che ha coinvolta la cosiddetta "cricca" con al centro Diego Anemone e Angelo Balducci. Per la Finanza sono 450 i milioni finiti nelle casse delle imprese di Anemone a seguito dell'aggiudicazione degli impianti gestiti dalle strutture dirette da Balducci nel decennio dal 1995 al 2009. La scorsa settimana è stato sequestrato il Salaria Sport Village di Anemone.

Il dopo sisma - E ancora gli appalti per la ricostruzione dell'Aquila dopo il sisma del 2009: si indaga da anni e nel gennaio 2014 una nuova inchiesta sulle tangenti per gli appalti della messa in sicurezza e ricostruzione degli edifici ha portato all'arresto di 4 persone e a indagarne 8 tra cui il vicesindaco Roberto Riga. Tutti sono accusati di corruzione: secondo l'accusa la cifra complessiva dell'appropriazione indebita è di 1.628.000 euro.

Expo - Lo scandalo Expo è scoppiato l'8 maggio scorso con l'arresto di 7 persone tra cui Primo Greganti e Gianstefano Frigerio. L'accusa parla di un patto per dividersi i lavori: un sistema che prevedeva per le imprese gli appalti e promozioni per funzionari disposti a favorire aziende raccomandate. 

Mose - L'ultima, in ordine cronologico, è l'inchiesta sugli appalti del Mose, il sistema di dighe mobile per difendere Venezia dall'acqua alta, che ha coinvolto anche il sindaco Orsoni e l'ex governatore Galan. In manette sono finite 35 persone e 100 sono gli indagati: secondo l'accusa hanno "asservito totalmente l'ufficio pubblico agli interessi del gruppo economico-criminale". L'opera, che costa 5,5 miliardi di euro, avrebbe prodotto 25 milioni di fondi neri.

Lara Comi (FI), eletta Vicepresidente del gruppo PPE al Parlamento europeo

Lara Comi (FI), eletta Vicepresidente del gruppo PPE al Parlamento europeo


di Gaetano Daniele 



"Sono grata a tutti i colleghi del Gruppo PPE per la grande fiducia accordatami con questa elezione a Vicepresidente del Gruppo", ha dichiarato Lara Comi (Forza Italia) a margine della riunione del 4 giungo a Bruxelles nella quale e' stata eletta Vicepresidente del Gruppo PPE al Parlamento europeo.

"Essendo la piu' giovane eletta tra i vicepresidenti del Gruppo PPE, le mie priorita' saranno quelle della lotta alla disoccupazione giovanile e dello sviluppo del mercato interno per un'Europa davvero diversa e che risolva i problemi dei cittadini".

"Conscia della grande responsabilità che mi aspetta, metterò  tutto il mio impegno e le mie energie in questa nuova e importante sfida che porterò avanti nel solco dei valori del Gruppo PPE", ha concluso Lara Comi.

Lara Comi e' stata nella legislatura 2009-2014 Vicepresidente della Commissione Mercato Interno del Parlamento europeo e Vice-Coordinatrice del Network dei Giovani Deputati del Gruppo PPE.


Renzi al G7 gioca in serie B: escluso dagli incontri chiave

Renzi al G7 gioca in serie B: escluso dagli incontri chiave

di Fabrizio Ravoni



Il premier non èstato invitato alle celebrazioni dei 70 anni dello sbarco in Normandia dove i Grandi parleranno dei temi mondiali. I suoi fedelissimi furiosi con la Farnesina


Fatto è che a Matteo Renzi viene disegnato un ruolo di secondo piano durante la «tre giorni» di vertici internazionali, iniziati con il G-7 a Bruxelles e che si chiuderà domani in Normandia. Al G-7, concentrato sull'energia, parlerà di shale gas. Vale a dire, del gas che si può ricavare dalle spiagge. E che gli Stati Uniti sono pronti a vendere all'Europa qualora dovesse venire meno il prodotto russo.

Nemmeno una parola, a livello ufficiale, sui principali temi internazionali sul tappeto: dalla crisi ucraina a quella libica. Nemmeno un incontro con Putin. Quelli sono riservati ad Angela Merkel e (forse) a Barack Obama. Ma non a Bruxelles, dove non hanno voluto il presidente russo (tant'è che s'è tornati al formato del G-7 e non più del G-8, abbandonato dal 1998). Bensì sulle spiagge della Normandia.

Ma ad Omaha beach, a celebrare i 70 anni dello sbarco alleato Renzi non ci sarà. La diplomazia americana prova ad argomentare che l'esclusione è prevista, in quanto saranno presenti solo capi di Stato o di governo. Quindi, ci sarà Giorgio Napolitano.

Con un particolare. Per l'Inghilterra saranno presenti sia la regina Elisabetta, sia David Cameron. Mentre per la Germania sarà presente solo la cancelliera Merkel e non il presidente della Repubblica. Per l'Italia solo il presidente della Repubblica e non quello del Consiglio.

Da Palazzo Chigi provano a gettare sabbia sull'impasse diplomatico. Il presidente Renzi - dicono - venerdì è impegnato in un delicato consiglio dei ministri eppoi domenica deve partire per una importante missione diplomatica ed economica in Cina.

In realtà, l'esclusione del premier dagli incontri per la celebrazione del D-Day lo tiene fuori dagli appuntamenti «che contano» a livello mondiale. E dagli argomenti: Ucraina, Libia, sicurezza europea, equilibri Nato. A quegli incontri l'Italia sarà rappresentata da Napolitano; sebbene la Costituzione assegni al Capo dello Stato ruoli e incarichi diversi. La speranza dell'entourage renziano è che il premier riesca ad affrontare temi del genere nei corridoi di Bruxelles, a margine del G-7. In fin dei conti l'Italia è il paese maggiormente esposto alle ripercussioni della crisi libica e di quelle mediterranee in generale. Basti pensare ai flussi migratori.

Ma tutta la regia dei due eventi sembra studiata apposta per ridimensionare le ambizioni di Renzi di «cambiare verso» all'Europa. Nel Consiglio europeo all'indomani del voto la nomenklatura di Bruxelles cercava di prendere le distanze dal renzismo. Una freddezza che, per primo, ha fotografato lo stesso premier. E nel suo inner circle, o cerchio magico, è subito iniziata una sorta di gara a chi accusava maggiormente i diplomatici di aver organizzato con approssimazione gli eventi internazionali. Una fazione si scagliava contro il consigliere diplomatico. Un'altra contro il rappresentante permanente a Bruxelles. Il risultato, però, si sta ripetendo in questi giorni: con i Grandi della Terra Renzi parla di shale gas e Napolitano di Ucraina e Libia.

Forse è solo un problema di età. Alla Farnesina, però, c'è chi trema.