Arriva la tassa di successione: Il piano di Renzi per spennarci. Aliquote e beni a rischio: i dettagli
di Francesco de Dominicis
Il dossier è segreto ed è custodito solo nelle mani di alcuni pezzi da novanta del Tesoro. Stiamo parlando della tassa di successione che il governo di Matteo Renzi vorrebbe reintrodurre, nell'ambito di un progetto ben più ampio sulla patrimoniale. Al momento non esiste ancora una vera e propria proposta scritta. Per il cosiddetto "articolato" c'è tempo. Eppure a via Venti Settembre, ormai da alcune settimane, i tecnici del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, stanno mettendo a punto diverse simulazioni sia sull'imposta applicata alle eredità sia per la mazzata tributaria, ben più ampia, su tutti i patrimoni delle famiglie.
Si parte, ovviamente, dagli aspetti economici: prima bisogna quantificare quanti soldi portare nelle casse dello Stato poi si pensa alla stesura del provvedimento che in questo caso sarebbe piuttosto snello: poche righe e, soprattutto, una "aliquota". Chi pensa a ripristinare la tassa di successione guarda a tutto il patrimonio degli italiani. Tra case e investimenti si tratta di 9.437 miliardi di euro: le cosiddette attività reali (immobili, terreni, gioielli) valgono 5.767 miliardi, mentre la liquidità (conti correnti e depositi bancari, azioni, bond, fondi) corrispondono a 3.670 miliardi. Buona parte di questa ricchezza, circa 6.000 miliardi secondo alcune stime, è in mano a persone tra i 50 e gli 85 anni: il che vuol dire persone che verosimilmente "passano a miglior vita" nell'arco di 30 anni. Con una aliquota al 20% sulle eredità, magari con una franchigia fino a 100mila euro, lo Stato potrebbe incassare 1.200 miliardi in 30 anni, vale a dire 40 miliardi l'anno; cifra che scende, a esempio, a 20 miliardi l'anno se il livello del prelievo fosse dimezzato.
Ad aver dato un'accelerata al dossier sarebbe stata la bocciatura della Commissione europea che lunedì ha chiesto a Renzi e Padoan una serie di accorgimenti sulle finanze statali. Palazzo Chigi ha smentito, ma da Bruxelles di fatto è arrivata la richiesta di una manovra correttiva da 9 miliardi di euro. Cifra non troppo distante da quella che il governo ha dovuto mettere insieme per assicurare a 10 milioni di persone il "bonus 80 euro" che per il 2014 pesa per 7 miliardi sui conti statali. Che avranno pure rifiatato un po', ieri, per il dato del fabbisogno in miglioramento (a maggio è stato di 6,4 miliardi rispetto agli 8,5 miliardi di maggio 2013), ma restano osservati speciali, dentro e fuori i confini nazionali. Qualora servissero soldi, il decreto Irpef all'esame di palazzo Madama prevede clausole di salvaguardia che consentono al Tesoro di aumentare le accise su benzina, alcol e tabacchi. Da una tassa all'altra, ormai è chiaro l'andazzo di questo governo. Che si riprende con la mano sinistra quello che dà con la mano destra.
Come accennato, il discorso è complesso. Anche perché non è un mistero che Renzi non guardi di traverso una patrimoniale a 360 gradi. Pure Filippo Taddei, responsabile economia del Partito democratico, non ha mai nascosto il suo gradimento alla stangata su case e conti correnti. Le analisi di Taddei si starebbero concentrando più sulla finanza e meno sul mattone. Non a caso, l'economista "civatiano" portato da Renzi al vertice del Pd avrebbe avviato proprio nelle ultime settimane una raffica di incontri nella sede del Partito, al Nazareno, con pezzi da novanta delle grandi banche d'affari, cioè quelle che gestiscono gli immensi patrimoni finanziari dei "ricchi". Del resto, qualsiasi intervento fiscale su risparmi e investimenti potrebbe avere effetti destabilizzanti sulla stabilità dell'industria finanziaria e la prudenza è d'obbligo.
Ma se, da un lato, l'esecutivo pensa a colpire le famiglie, dall'altro sta valutando agevolazioni volte a rafforzare il patrimonio delle imprese. Nella relazione annuale della Banca d'Italia è messo nero su bianco che alle aziende italiane manca capitale per 200 miliardi. Cifra che - come ha spiegato il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco - servirebbe a migliorare le condizioni di accesso al credito. Di qui l'ipotesi di sconti fiscali che spingano gli imprenditori a mettere altri quattrini nelle loro aziende, a reperire fondi sui mercati e ad aprire la porta ad altri soci.