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domenica 11 maggio 2014

La grande torta delle coop rosse tra scandali e soldi dagli amici

Quando si scoprono le magagne a sinistra il sistema si chiude a riccio, in difesa, e il Pd si scopre garantista a oltranza


di Paolo Bracalini 

La galassia delle aziende legate al Pd è finita spesso nel mirino dei pm per tangenti e appalti sospetti. Ma con le imprese di sinistra le procure chiudono un occhio



«Quasi mezzo milione di occupati e un giro di affari globale vicino ai 60 miliardi di euro». Si presenta così, sotto il titolo «Come coniugare etica e affari», la Legacoop, casa madre di tutte le coop rosse, un sistema di 15mila imprese che fanno affari da nord a sud e in tutti i settori: edilizia, grande distribuzione, servizi, assicurazioni, banche. Una galassia da sempre parallela al partito - prima Pci, poi Ds, ora Pd - con intrecci di vario tipo: nomine, travaso di dirigenti (che diventano sindaci o anche ministri, come il renziano Poletti ex capo di Legacoop), favori, appalti da amministrazioni amiche. Etica e business, ma ogni tanto, e nemmeno raramente, qualche scandalo. Quando scoppia il bubbone, di quelli grossi, scavi e ci trovi dentro una coop. Nel giro di mazzette attorno all'Expo ecco spuntare Manutencoop, colosso bolognese da 1 miliardo di euro l'anno di fatturato (per il 60% arriva dal pubblico), guidato da sempre dall'ex Pci Claudio Levorato, indagato dalla Procura milanese come presunta sponda a sinistra della cricca. Levorato era finito già nei guai a Brindisi, l'estate scorsa, anche lì per una storia di appalti (la Manutencoop si occupa di pulizia), stavolta alla Asl della città pugliese dove «negli anni la cooperativa emiliana di area Ds - scrive la Gazzetta del Mezzogiorno - ha preso 70 milioni di appalti».

Quando si scoprono le magagne il sistema si chiude a riccio, in difesa, e il Pd si scopre garantista ad oltranza (vedi Bersani sul Fatto: «Se la magistratura accerta reati trarremo le conseguenze...»). Eppure i buchi neri del sistema sono frequenti, anche se spesso le Procure archiviano. Qualche anno fa la Coopservice, grossa cooperativa emiliana specializzata in servizi alle imprese, in vista della quotazione in Borsa di una sua controllata ha costituito, tramite una fiduciaria in Lussemburgo, un tesoretto di 36 milioni di euro destinato ai vertici aziendali. La Guardia di Finanza ha scoperto tutto e segnalato 46 nomi alla Procura di Reggio Emilia, che ne ha indagati due, riconoscendo la finalità dell'operazione: «Non si voleva che le plusvalenze venissero distribuite tra tutti i soci ma a un numero ridotto di persone». Condannati? No, perché poi il pm ha chiesto l'archiviazione.

Coop rosse anche nel «sistema Sesto», quello che ruotava attorno a Filippo Penati, presidente della Provincia di Milano, capo del Pd lombardo ed ex braccio destro di Bersani. Lì la coop rossa in questione è il Consorzio cooperative costruttori di Bologna, che avrebbe imposto consulenze fittizie da 2,4 milioni di euro a Giuseppe Pasini, l'immobiliarista proprietario delle aree ex Falck, elargite come «condizione per compiacere la controparte nazionale del partito», racconterà proprio Pasini ai pm. Anche lì coop rosse e lieto fine. Al vicepresidente della Ccc bolognese, insieme ad altri due rappresentanti delle coop, tutti accusati di concussione, è andata infatti bene: prescritti.

Affari dappertutto, ma cuore pulsante in Emilia Romagna, vero ombelico della vecchia «ditta» Pd, sede anche della Unipol (a Bologna, Via Stalingrado...), quella della tentata scalata a Bnl per opera di Consorte, finita male («abbiamo una banca?»). Lì le coop si aggiudicano un appalto su quattro e hanno un monopolio di fatto nella grande distribuzione (70%). Ne sa qualcosa Bernardo Caprotti, fondatore di Esselunga, che ha ingaggiato una battaglia sanguinosa, a suon di denunce, con Coop Estense, che gli ha impedito l'apertura di due supermercati in provincia di Modena, abusando della sua «posizione dominante». Si è dovuti arrivare al Consiglio di Stato (che ha sanzionato la coop per 4,6 milioni di euro), dopo che il Tar aveva accolto il ricorso della società emiliana. Una battaglia durata 13 anni.

Ancora in Emilia-Romagna, ad Argenta (Ferrara), la Coopcostruttori, una delle corazzate di Legacoop, è naufragata in un mare di debiti dopo essere finita sotto inchiesta con l'accusa di fare affari col clan dei Casalesi. Fuori dai guai, invece, il governatore piddino Vasco Errani, finito in mezzo al cosiddetto «scandalo Terre Emerse», dal nome della cooperativa agricola che per la costruzione di una cantina vinicola a Imola aveva beneficiato di un finanziamento regionale di 1 milione di euro. Piccolo dettaglio: il presidente della coop è Giovanni Errani, suo fratello. Ma tutto è finito bene per Vasco Errani, accusato di falso ideologico in atti pubblici: assolto dal giudice «perché il fatto non sussiste».

Ma il potere coop si ramifica molto lontano dall'Emilia. «Si respira un clima pesante attorno alla struttura di prima accoglienza di Lampedusa» disse il presidente di Legacoop Sicilia dopo lo scandalo suscitato dalle riprese del Tg2 sui maltrattamenti in un centro di accoglienza per i clandestini, a Lampedusa, gestito da una coop. Un «business» da 2 milioni al giorno, in cui non potevano mancare anche loro. E nemmeno nelle grandi opere. Al nodo Tav di Firenze lavora la Coopsette, altro gigante degli appalti pubblici. Anche di loro si sta occupando la Procura di Firenze, che ha messo sotto indagine 36 persone, tra cui l'ex presidente Pd della Regione Umbria, la dalemiana Lorenzetti. Il sospetto è che si siano usati materiali scadenti, in business addirittura con la camorra. E meno male che lo slogan è «coniugare etica e affari».

Il leader di Forza Italia in campo per le europee: "Punto a superare il 25%". E assicura: "I moderati sono maggioranza nel Paese". Poi sul futuro del partito: "Sconsiglio a Marina di cambiare lavoro ma spetterà a lei decidere"

Il leader di Forza Italia in campo per le europee: "Punto a superare il 25%". E assicura: "I moderati sono maggioranza nel Paese". Poi sul futuro del partito: "Sconsiglio a Marina di cambiare lavoro ma spetterà a lei decidere"

di Sergio Rame


Berlusconi: "Hanno fatto di tutto per escludermi, ma resto in campo". E annuncia: "Tornerò in parlamento entro sei anni". "Tornerò in parlamento molto prima di sei anni". Silvio Berlusconi non ha alcun dubbio del suo futuro politico. È, infatti, fermamente convinto che la sentenza Mediaset sarà presto dichiarata ingiusta ed annullata. Ai microfoni dell’agenzia Vista, il leader di Forza Italia non scioglie la riserva su una sua eventuale ricandidatura, ma insiste sull'importante che "la sentenza venga dichiarata per quello che è: infondata". Intanto, però, si impegna a tirare la volata al partito. "Alle Europee un risultato del 20% sarebbe un miracolo - spiega il Cavaliere - appena un punto sotto quello delle elezioni 2013 quando Alfano era ancora con noi. Ma io punto a superare il 25%".

In una lunga intervista con Alexander Jakhnagiev, Berlusconi non nasconde il proprio rammarico per il golpe ordito dalla sinistra e dalla magistratura per escluderlo dalla scena politica. "Hanno fatto di tutto per non farmi tornare in campo - spiega all'agenzia Vista - prima mi hanno fatto condannare ingiustamente, poi mi hanno fatto decadere dal Senato, poi mi hanno reso incandidabile per sei anni, ma purtroppo per loro io sono una vecchia quercia e sono sempre un combattente per la libertà". Da qui il proposito di far ritorno in parlamento al più presto per tornare a guidare, in prima linea i moderati. Berlusconi conta di poter mandare in Europa, nel Ppe, un nucleo importante di parlamentari azzurri molto capaci, in grado di "condizionare o indirizzare le decisioni del Ppe che è maggioranza nel parlamento europeo". "Nel parlamento europeo varranno le decisioni prese nel Ppe - incalza - nessun altro partito può fare alcunché in Europa, né la sinistra, che non avrà la maggioranza, né gli uomini di Grillo". Per il momento, dunque, l'ipotesi di un cambio al vertice di Forza Italia non è sul tavolo. L'ipotesi Marina Berlusconi è sempre nell'aria. Di tanto in tanto i quotidiani la tirano fuori per capire se effettivamente la presidente di Fininvest e Mondadori dovesse sciogliere le proprie riserve. Un'eventualità che, però, non sembra trovare favorevole il padre. "Mia figlia farà quello che le sembrerà giusto fare - spiega ai microfoni di Vista - le sconsiglierò sempre di cambiare quello che sta facendo molto bene ora". In generale, continua il leader di Forza Italia, "l’eredità che penso di lasciare a chi prenderà il mio posto spero sia quella di trasformare la maggioranza numerica dei moderati in maggioranza politica per arrivare a cambiare l’assetto istituzionale del Paese".






Crollo di Ncd. Alfano ha paura e insulta Forza Italia

Crollo di Ncd. Alfano ha paura e insulta Forza Italia 


di Sergio Rame



Dopo la figuraccia con Genny 'a Carogna e l'incapacità di contrastare gli sbarchi, Alfano teme di erodere altre preferenze e passa agli insulti: "Forza Italia non ha credibilità". La replica di Toti: "È solo un traditore legato alle poltrone"


Il Nuovo centrodestra annaspa. Nonostante l'alleanza con l'Udc di Pier Ferdinando Casini, i sondaggi lo danno a ridosso del 4%. C'è, quindi, il rischio che non sfondi la soglia di sbarramento. Preso dal panico Angelino Alfano sgomita e insulta. "Chi vuole la protesta  vota per i Cinque Stelle - tuona durante un'iniziativa a Roma - chi, invece, vuole la proposta e le riforme vota i partiti che stanno al governo: se è di sinistra, per il Pd, se è di centrodestra, per Ncd. In questo quadro c’è un grande assente: è Forza Italia, che non è né carne né pesce. Quindi non c’è nessuna ragione per votarla. Il voto a Forza Italia è davvero un voto inutile". Un'offesa che ferisce non solo il partito, ma anche milioni di elettori che il 25 maggio voteranno proprio per Silvio Berlusconi e Forza Italia.

Alfano non ha niente da ridere. Da mesi il suo partito fa da stampella a un governo di sinistra. E il suo lavoro al ministero dell'Interno non è certo lodevole. Prima l'incapacità a gestire l'emergenza immigrazione, poi la figuraccia all'Olimpico prima della finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina. Così, mentre i grillini si preparano a sfiduciarlo, si mette a insultare Forza Italia e i suoi elettori. "Oggi Forza Italia non è buona per stare dentro al governo, ma non è nemmeno schierata in maniera visibile all’opposizione, perché lì c’è già Grillo - attacca il leader di Ncd - il voto a Forza Italia è davvero il voto inutile". Il titolare del Viminale lancia poi un appello a chi in passato ha votato per il Pdl: "Voti alle Europee per noi e noi utilizzeremo tutti i voti ottenuti per riunire i moderati italiani. È l’impegno che ci assumiamo". Secondo Alfano, infine, la promessa di Berlusconi di riunire tutti i moderati italiani "non è credibile" perché Forza Italia è "una grande disfatta".

"Se c’è un voto inutile per un elettore di centrodestra è quello al partito di Alfano, che è rimasto al governo tradendo la fiducia degli elettori e di chi li aveva eletti sotto il simbolo del Pdl - ha ribattuto il consigliere politico di Forza Italia, Giovanni Toti, ai microfoni di Sky Tg24 - sono più attaccati alle poltrone che agli elettori". Gli insulti e le offese di Alfano hanno indignato profondamente politici, militanti e sostenitori di Forza Italia. "Più che preoccuparsi del voto di Forza Italia, Alfano dovrebbe guardare in casa propria. Infatti il voto ad Ncd più che inutile è dannoso", ha commentato il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri ricordando ad Alfano che Ncd "non andrà lontano a forza di importare clandestini". Altero Matteoli, invece, ricorda al titolare del Viminale di essere "la stampella di Renzi e della sinistra". "Il 25 maggio si avvicina e Ncd è sull'orlo di una crisi esistenziale - incalza l'europarlamentare Licia Ronzulli - la paura di non raggiungere il quorum del 4% fa brutti scherzi e i nervi di Alfano stanno crollando". Secondo Mariastella Gelmini, vice capogruppo vicario di Forza Italia alla Camera, uscito da Forza Italia Alfano non sa più dove andare e perché: "Ha perso la rotta e ha un disperato bisogno di inventarsene una per convincere gli elettori, e se stesso, che Ncd esiste e ha un senso".

Delrio avvisa Ncd: "Dopo il 25 maggio può cambiare tutto"

Delrio avvisa Ncd: "Dopo il 25 maggio può cambiare tutto"



Un avvertimento, anzi una minaccia. Graziano Delrio parla in una lunga intervista a Panorama e mette in guardia il governo e gli alleati di Ncd: "L’alleanza con Alfano è dettata dall’emergenza del paese, se alle europee il Pd andasse al 24, 25 per cento, questa alleanza non sarebbe certamente un buon viatico per un governo che dura a lungo". Un messaggio chiaro e forte da parte del governo: se le cose vanno male può venire giù tutto. 

L'avvertimento - Poi Delrio spiega meglio le condizioni che possono causare un terremoto nell'esecutivo e nella maggioranza:"Se il Pd andasse male e Angelino Alfano non facesse la soglia, non sarebbe un bene per il governo". E ancora: "Se noi andassimo molto bene, questo darebbe un segnale di forza all’azione di governo. Alfano ha fatto una scommessa molto rischiosa separandosi da Berlusconi, vedremo se il suo coraggio sarà premiato". Insomma il voto del 25 maggio deciderà le sorti del governo, del premier e degli alfaniani. Ma Delrio non parla solo di alleanze e governo. 

"Cambiamo il canone" - Delrio parla anche di un tema caldissimo: la riforma del canone Rai. L'esecutivo da tempo annuncia tra le righe una riforma della tassa-tv ma tra smentite e retromarce non è chiaro ancora quale sia il piano del governo. A fare chiarezza ci pensa lo stesso Delrio: "L'ipotesi di allegare il canone alla bolletta elettrica non è stata per niente accantonata". Insomma a quanto pare l'esecutivo ritorna ancora su i suoi passi e ripropone una riforma totale del canone legata alle utenze dell'energia elettrica. Delrio, come è noto, è l'ombra di Renzi a palazzo Chigi. Le sue parole hanno un peso. Il 25 maggio sapremo due cose: se Renzi resta ancora a palazzo Chigi e quanto pagheremo di canone nel 2015...

Montanelli stronca Travaglio

Montanelli stronca Travaglio 


di Alessandro Sallusti


In materia di giustizia Montanelli smentisce il capofila dei giornalisti forcaioli anche dall'oltretomba 


Il tintinnio di manette riaccende gli entusiasmi di Marco Travaglio, capofila dei giornalisti forcaioli tanto cari alle procure. Si è autonominato erede unico del pensiero di Indro Montanelli, del quale millanta (sapendo di non poter essere smentito) l'amicizia e la stima. Sarà, ma il vecchio Indro, che non ha mai amato presunti portavoce, lo smentisce anche dall'oltretomba. E che smentita.

È contenuta in un articolo scritto su Il Giornale il 13 luglio dell'81. Il giorno prima Spadolini aveva ottenuto la fiducia del suo primo governo ma il Pci annunciava sfaceli perché il neopremier aveva posto con forza la questione della riforma di una giustizia già malata allora. Ecco come commentava l'accaduto Montanelli: «Riduciamo i termini all'osso. Ci sono state, per eccesso di garantismo istruttorie svogliatamente durate anni e concluse con assoluzioni poco meno che scandalose; mentre ci sono le manette per reati che non le comportano obbligatoriamente, seguiti da procedimenti penali che, anche quando si concludono col proscioglimento da ogni accusa, segnano la rovina materiale e morale di chi ne è stato bersaglio». E ancora: «Non è possibile andare avanti con queste invasioni di campo della magistratura che sono arrivate a tal punto da rendere plausibile il sospetto che certi magistrati le pratichino non per ristabilire l'ordine ma per sovvertirlo, scatenando caccia alle streghe e colpendo all'impazzata».

Aggiungeva Montanelli: «Questi magistrati sono inamovibili, impunibili, promossi automaticamente, pagati meglio di qualsiasi altro dipendente pubblico, incensati dai giornali di sinistra (cioè dalla maggioranza) e molto spesso malati di protagonismo». E ancora: «I comunisti non possono rinunciare alla magistratura com'è. Essa costituisce la più potente arma di scardinamento e di sfascio di cui il Pci dispone».

E chiudeva: «Questa non è la magistratura, è solo il cancro della magistratura. Ma che è già arrivato allo stadio di metastasi». Trent'anni dopo siamo ancora lì. I giornali di sinistra (più Travaglio) a fare da addetti stampa a magistrati eversivi ed esibizionisti, noi de Il Giornale a puntare il dito sul «cancro della magistratura» che sta distruggendo il Paese. E siamo fermi anche nel puntare il dito contro ladri e mascalzoni. Ma contro tutti i mascalzoni (anche se di sinistra, anche se magistrati) e soprattutto se davvero ladri oltre ogni ragionevole dubbio.

sabato 10 maggio 2014

L'Appello di Sandra Lonardo, moglie dell'On. Mastella, candidato al Parlamento Europeo con Forza Italia

L'appello di Sandra Lonardo, moglie dell'On. Mastella


a cura di Gaetano Daniele 




Il prossimo 25 maggio si vota per il rinnovo del Parlamento Europeo, nella lista di Forza Italia è candidato mio marito Clemente Mastella, ti chiedo, sempre se puoi e ti fa piacere, di votarlo e di farlo votare. Se decidi di farlo, in questa competizione elettorale si esprimono le preferenze, per votare si deve barrare il simbolo di Forza Italia e subito dopo sul rigo a fianco del simbolo scrivere: MASTELLA 

Si vota solo nella giornata di domenica 25 maggio

Il Collegio del SUD, è molto vasto ed è così composto: Campania, Calabria, Puglia, Basilicata, Abruzzo e Molise, ovunque hai amici in queste regioni, puoi sponsorizzare la candidatura MASTELLA 

Viviamo in un momento storico davvero molto delicato, dove l'Europa decide sempre più del nostro futuro e dei nostri destini, per cui e' fondamentale mandare a Bruxelles persone capaci, preparate e che posseggono qualità politiche , garanzie  per  rappresentare al meglio i nostri problemi e di conseguenza le relative risoluzioni. 

È riconosciuto da tutti che Mastella possiede spiccate qualità politiche , che è preparato e che e' molto capace, che ha sempre messo la gente ed i suoi problemi, al centro della sua agenda politica . Da sempre uomo moderato del SUD. Per il SUD si è sempre speso, il suo slogan è da sempre: "IO. VOI. IL SUD."

Vince l'Italia se vince il Sud, dicono gli studiosi di economia, ma quanti realmente si interessano dei problemi del Sud? Anche il governo attuale è nord-centrico, poca rappresentanza del nostro amato Sud. Quindi, in Europa, mandiamo con i nostri voti un uomo del territorio, un uomo che ha sempre battagliato per i nostri territori.

 Diamo forza al SUD, vota Clemente Mastella

Il ministro della banalità sputa sulla tv

Il ministro della banalità sputa sulla tv 


di Luigi Mascheroni 



Il ministro: "I canali risarciscano i danni fatti alla lettura". Intanto, prima degli incontri, si proiettano pillole di tv trash


Alla cerimonia d'inaugurazione, ieri mattina, presenti intellettuali e autorità, Dario Franceschini rischiava di passare inosservato, senza lasciar traccia, come tutti i suoi colleghi ministri della Cultura che lo hanno preceduto negli anni, circa venti, in 27 edizioni del Salone del Libro. E ci stava quasi riuscendo, impantanato nella solita retorica sulle bellezze d'Italia, la grandiosità del nostro patrimonio artistico, la nostra incapacità di sfruttarlo, il valore economico della cultura... Poi, al centro del tavolo d'onore, tra il presidente del Salone Rolando Picchioni, il direttore Ernesto Ferrero, reverendissimi monsignori in rappresentanza della Santa Sede (ospite d'onore) e il sindaco Fassino, Dario Franceschini ha scosso la coda lunga di un'interminabile cerimonia, con un'alzata di testa orgogliosa, non solo metaforica, e un'alzata di voce improvvisa, per nulla aspettata. Dopo aver snocciolato i dati drammatici sulla (non) lettura in Italia, Franceschini ha tirato la staffilata: «Come ministro della Cultura intendo sfidare la televisione, pubblica e privata: ha fatto tanti danni, ora deve risarcirci». Silenzio stupito. «Chiedo a chi fa televisione, per restituirci quello che ci ha tolto, di fare più trasmissioni sui libri, di invitare più scrittori ai talk show, di concedere spazi gratuiti alla pubblicità di libri». Applausi divertiti. E così, nella duplice veste di autore Bompiani e ministro della Cultura, Franceschini ha posto il sigillo istituzionale sulla vulgata secondo la quale gli italiani sono quelli che sono - retropensiero: volgari, ignoranti, potenziali evasori fiscali, bulimici consumatori di calcio, Drive In e Grande Fratello e anoressici refrattari a mostre, romanzi e cinema d'essai - per colpa, e diciamolo chiaramente una buona volta, della televisione. Spazzando via 60 anni di tv pedagogica, da Mike Bongiorno a Sky (che infatti ha risposto stizzita: «Quelle di Franceschini sono critiche quanto meno avventate»; sulla stessa linea Andrea Vianello, direttore di Raitre: «Uno dei nostri scopi precipui è parlare della lettura»), e mettendo la firma ministeriale sotto un j'accuse troppo vecchio, troppo radical chic, troppo da dimostrare. 

«È mai possibile - si è chiesto Franceschini - che nelle fiction televisive non si vede mai una persona che legge o una libreria?». Infatti. Li immaginiamo i figli dei boss della serie tv Gomorra, reticenti testimoni in aula, felici di fare da testimonial tv ai romanzi di Saviano... Per promuovere il libro e la lettura vale tutto, va bene (e di certo è ottima l'altra idea presentata ieri dal ministro: un festival del libro di tre giorni in tutte le scuole d'Italia, dalle elementari ai licei, ogni mese di settembre). Immaginiamo come sarà accolta la sfida del ministro dai «signori» delle televisioni, pubbliche e private, chiamati in correo del disastro librario italiano. E immaginiamo cosa pensino i Costanzo, i Fazio, i Marzullo, gli Augias, i Bonito Oliva, gli Sgarbi, i Daverio, tutti i direttori dei tg, nazionali e regionali, che, almeno in coda, prima della pubblicità, cercano ogni giorno di citare una mostra, o un libro, o un film. «Il punto - liquida la cosa con una battuta Giorgio Simonelli, docente di Storia della televisione, perso tra gli stand del Salone - non è portare chi scrive romanzi in televisione, ma ridare la televisione agli intellettuali che scrivono libri».

Cioè gli «scrittori-umanisti» che crearono la televisione che ha formato l'Italia e l'italiano. Di certo della cosa, ieri, se ne è parlato molto, dentro e fuori il Salone, archiviando l'uscita di Franceschini o tra le boutade o tra gli sfoghi fuori bersaglio. Come ha commentato il presidente di un grosso gruppo editoriale (insigne Storico della letteratura, per altro): «Mi sembra una battuta un po' populista. Grillo ha fatto scuola». E intanto, fra populismo e snobismo, per una concomitante idea del presidente Rolando Picchioni (non concordata con Franceschini, che fa il paio in un attacco concentrico e devastante alla televisione italiana), nei giorni del Salone tra un incontro e l'altro, sugli schermi delle grandi sale, passano brevi video con pillole di tv-spazzatura, tratte dalla Rete, che liofilizzano il peggio della tv: dalla lite cult tra Pappalardo e Zequila alle esibizioni dei cantanti trash a X-factor, da Dean Harrow all'Isola dei famosi agli strafalcioni culturali a L'eredità (domanda: «Quando diventò cancelliere Hitler»; risposta: «Nell'anno 1978»). Il messaggio? Ecco cosa succede quando in tv il libro non c'è. L'idea, un po' trash a dire la verità, è a effetto. Ma talebana. Dividere il mondo (del pubblico) tra chi fa il Bene (quelli che leggono i libri consigliati su La7, per dire, e vedono RaiEdu, ad esempio) e chi vede il Male (Quelli che il calcio... quelli che spiano nella Casa del GF; quelli che passano la domenica pomeriggio in quei certi salotti-tv) non porterà da nessuno parte. Se non irrigidire gli snob e far ulteriormente sbracare il volgo.