Maurizio Belpietro contro Sandro Bondi: "Vi spiego io chi è veramente il maggiordomo di Silvio"
di Maurizio Belpietro
La prima volta che l’ho incontrato, Sandro Bondi usciva da una piccola porta che separava la sala da pranzo di Villa San Martino dalla cucina e, immagino, da un qualche ufficio nascosto nelle retrovie del quartier generale di Silvio Berlusconi. Entrò tremolante, stringendo un foglio di carta, e dopo aver chiesto scusa e salutato con deferenza eccessiva gli ospiti, porse al Cavaliere il dispaccio d’agenzia, rimanendo in attesa come un maggiordomo. Ecco, che un tipo così potesse diventare un giorno il coordinatore nazionale del partito di maggioranza non l’avrei mai immaginato. E infatti Sandro Bondi coordinatore di Forza Italia non lo è stato neppure per un secondo: ne ha solo ricoperto l’incarico, firmando se necessario i bilanci e gli ordini di servizio, ma di fatto non ha mai deciso nulla. La linea politica per definizione era ed è demandata al principale, mentre delle questioni organizzative si occupava e si occupa Denis Verdini, che di Bondi è concittadino essendo nati entrambi a Fivizzano, sull’Appennino tosco emiliano. A lui, all’ex segretario di Berlusconi, era affidata semmai la difesa accorata del capo. Sue sono le parole più adoranti e devote. Sarà per questo che Vittorio Feltri, uno che si fa vanto di prenderci spesso, nel suo ultimo libro si scappella, definendolo l’unico che non ha mai dissentito, il solo coerente con le idee del Cavaliere anche dopo che il titolare le ha cambiate, rinnegate, capovolte.
Eppure anche per Bondi, il poeta che da ministro venne giù da solo come le mura di Pompei su cui avrebbe dovuto vigilare, è giunta l’ora di voltare le spalle. Intendiamoci, lui che è un timido, un mezzo prete che viene dal Pci, lo fa di tre quarti. Il suo è un tradimento ma appena appena. Mica se ne va come Paolo Bonaiuti, l’uomo che per quasi vent’anni è stato l’ombra televisiva di Berlusconi, che si faceva riprendere ogni giorno alle sue spalle, al punto che dopo un po’ il Cavaliere di quell’incombenza tv risultò perfino infastidito. No, Bondi non è un Bonaiuti qualsiasi e non lascia in cerca di un posto: lui prende solo le distanze. Si congeda, ma lo fa arretrando piano piano, passetto dopo passetto, proprio come quando usciva dalla stanza dopo aver deposto il lancio Ansa nelle mani del principale. Certo, questa volta il saluto non avviene nel salone un po’ scuro di Arcore, ma sulla prima pagina della Stampa di Torino e dunque non può passare inosservato.
Che scrive il pio Bondi? Semplicemente che Forza Italia ha fallito (notare la finezza: Forza Italia, mica il suo fondatore) e che vent’anni di storia politica del centrodestra sono da buttare nel cesso. Come l’ex ministro della Cultura del governo Berlusconi sia giunto a tale conclusione è presto detto: ha letto un libro del politologo Pietro Ignazi in cui si fa a pezzi il berlusconismo e si sostiene che ha fallito non riuscendo a modernizzare il paese, a fare la rivoluzione liberale che si era prefisso e neppure a costituire un grande partito liberal-conservatore. Insomma, Ignazi liquida gli ultimi due decenni come un disastro e Bondi sottoscrive.
Naturalmente si può discutere dei molti errori che il centrodestra ha compiuto e probabilmente si può convenire anche sul mancato raggiungimento degli obiettivi che Silvio Berlusconi si era posto il giorno della sua discesa in campo. Tuttavia ciò che sorprende è l’individuazione dei responsabili del fallimento. Bondi infatti indica come colpevoli Fini, Casini, La Russa e Bossi, definendoli tutto fuor che liberali. Sul banco degli imputati il mite ex coordinatore di Forza Italia fa salire anche Giulio Tremonti, indimenticato ministro dell’Economia di tutti i governi di centrodestra. Ovviamente, Bondi tiene al riparo da qualsiasi responsabilità il capo e perfino se stesso. Lui stava alla destra del padre e alla sinistra di La Russa, si era accorto che quest’ultimo non era un vero liberale e però invece di dirglielo, di espellerlo o di convincerlo, l’ex segretario del Cavaliere glielo ha scritto con vent’anni di ritardo.
Non c’era bisogno di aspettare Ignazi per accorgersi che Casini era un democristiano scampato alla mattanza di Mani pulite, Fini un voltagabbana in camicia nera e cravatta rosa, Bossi un leghista da balera e La Russa un ex fascista risciacquato nell’acqua di Fiuggi. Né serviva un libro del Mulino per mettere in discussione le teorie di Tremonti. E però fino a che le cose sono andate bene, fino a quando il Cavaliere era in auge, nessuno - neanche Bondi - ha fiatato. Ma ora che tutto va a gambe all’aria, ora che Berlusconi è affidato ai servizi sociali e la baracca rischia di cadere in testa a chi per un quinto di secolo vi ha trovato rifugio, il timido Sandrino che fa? Non si rimbocca le maniche, non dà un aiuto al principale impegnato nella sua più difficile campagna elettorale, nemmeno gli scrive una poesia: si limita a vergare un articolo alla vigilia delle elezioni per dire che Forza Italia ha fallito ed è meglio arrendersi. A chi? Ma è ovvio, a Matteo Renzi, il Tony Blair de’ noantri, perché se Berlusconi è la nostra Thatcher senza gonna, il rottamatore non può che essere il suo erede laburista. In pratica, per salvarsi il berlusconismo si dovrebbe convertire al renzismo, che come ogni movimento politico destinato a passare alla storia ha già il suo cantore, Bondi Sandro da Fivizzano ovviamente. Così l’uomo che sussurrava al Cavaliere, vorrebbe ora sussurrare al nuovo Principe. Come è sempre accaduto in tutte le corti e a tutti i cortigiani.