Vittorio Feltri: "Che bravo Gentiloni, ha battuto il record di debito pubblico"
di Vittorio Feltri
Ci corre l'obbligo di fare i complimenti a Gentiloni. Col suo governo alla melassa è riuscito nell'ardua impresa di accrescere considerevolmente il debito pubblico, il cui ammontare ormai ha superato alla grande la soglia dei 2200 miliardi e si avvicina alla vetta dei 2300. Il record spetta senza dubbio a lui, il premier.
Ma sarebbe ingiusto che egli non dividesse il demerito coi suoi predecessori: Renzi, Letta, Monti, Berlusconi e Prodi. Ciascuno di costoro ha contribuito a scialacquare soldi che non c' erano, pertanto li ha presi in parte dalle tasche degli italiani, massacrati da un fisco famelico, e in parte ripiegando su un prestito che mai sarà saldato.
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La esposizione debitoria è ingiustificata e contraddice vistosamente le intenzioni strombazzate in modo ripetuto dai responsabili di Palazzo Chigi, che da anni giurano di procedere alla spending review, la riduzione della spesa, la quale di fatto, viceversa, non ha cessato di lievitare. Perché? I presidenti del Consiglio non solo raccontano frottole, dicendo che stringeranno i cordoni della borsa nel momento stesso in cui li allentano, ma non spiegano le ragioni degli sperperi. Nel primo quadrimestre del 2017 le entrate fiscali sono salite di oltre il 2 per cento, più del Pil. Contestualmente sono state incrementate le uscite. Segno che lo Stato non sa o non vuole amministrare con oculatezza. In termini diversi, seguita da tempo immemorabile a cacciare più quattrini di quanti ne incassi. I signori dell' esecutivo se fossero dirigenti di una azienda privata e agissero con i criteri sballati adottati sin qui, verrebbero licenziati in tronco.
Noi invece, benché essi siano manifestamente inetti, siamo costretti a tenerceli pur davanti alla prospettiva di una catastrofe finanziaria. Qualcuno desidererebbe che al Quirinale, al posto del mite Mattarella, sedesse Kim il quale non esiterebbe a fucilare gli autori dei buchi di bilancio. L' idea non è malaccio. Peccato sia irrealizzabile, altrimenti risolveremmo seduta stante il problema. Altri, più moderati, suggeriscono di andare subito a votare per rinnovare Parlamento e gestori della cosa pubblica. Sono degli ingenui. Perché i prossimi manovratori - accetto scommesse importanti - se tutto va bene saranno tali e quali gli attuali ossia buoni solo a inasprire le tasse e incapaci di risparmiare.
La domanda che si pongono da sempre gli italiani è articolata. Dallo stipendio gli esattori ci trattengono l' Irpef e contributi di vario tipo, immiserendo il nostro reddito alla fonte. Qualsiasi cosa, alimentare o d' altro genere, acquistiamo è gravata dall' Iva. Saldiamo il bollo dell' auto. Sui carburanti pesano le accise. Se compri casa ti tocca l' imposta di registro. Se la vendi, ulteriore imposta. E sorvoliamo su balzelli minori seppur non marginali. Arriviamo dunque con la domanda delle cento pistole: dove finiscono tutte le palanche che ci sfilano sistematicamente? Vivessimo sprofondati nel benessere, fossimo assistiti quali principi, avessimo pensioni da nababbi capiremmo. Ma l' Italia non è una mamma che ci coccola, e nemmeno una matrigna. Che se ne fa della montagna di euro sottratta ai contribuenti? D' accordo, i politici centrali e locali rubano. Rubano anche i burocrati e i privati ottengono con le stecche ciò che non riescono ad avere per vie normali, oneste. Però i miliardi che ci vengono soffiati sono troppi perfino per i ladri. Di grazia, svelate il mistero.
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