LE TASSE NON SONO UGUALI PER TUTTI Il Fisco chiude un occhio con i giganti del credito: l'accordo per evitare controlli a sorpresa. C'è anche la Ferrero
di Francesco De Dominicis
Secondo lady fisco «guardie e ladri è un gioco che non funziona più». A giudizio di Rossella Orlandi, megadirettore dell' agenzia delle Entrate, lo Stato insomma deve in qualche modo scendere a patti con i contribuenti, pure con quelli poco propensi a versare tutte le tasse dovute e soprattutto con quelli di grandi dimensioni. Per qualcuno è una resa, per altri una svolta. Punti di vista.
Tecnicamente si chiama cooperative compliance ed è l'espressione inglese che dà il nome ad accordi di collaborazione, in campo fiscale, tra grandi gruppi (finanziari o industriali) e amministrazione finanziaria. Il progetto è nato nel 2013 e il primo patto è stato siglato a gennaio scorso dal gruppo Ferrero che, dopo aver fiutato la convenienza, ha dato il là ad altre cinque società controllate.
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Sulla pista della Nutella si sono messe le grandi banche italiane e pure qualche importante industria. Che ritengono fondamentale definire le regole del gioco in anticipo: una novità che evidentemente consente di sborsare meno quattrini nelle casse dello Stato. Certamente mette al riparo da sorprese o accertamenti indesiderati degli agenti del fisco. È stata la stessa Orlandi, mercoledì, a rivelare che altri cinque soggetti con fatturato superiore a 10 miliardi di euro, che si sommano al gruppo Ferrero, stanno per firmare analoghe intese sulla cooperative compliance. I nuovi accordi saranno formalizzati entro l'estate. Poi potrebbe essere il turno dei colossi internazionali che operano in Italia e «sono fortemente interessati» ha detto il numero uno delle Entrate.
Di cosa stiamo parlando? La versione della Orlandi è la seguente: «È una cooperazione basata su conoscenza reciproca, rispetto e collaborazione fattiva, con la possibilità di pervenire a una comune valutazione delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali, prima della presentazione delle dichiarazioni o dell' assolvimento di altri obblighi tributari».
Sulla carta le nuove procedure dovrebbero favorire la crescita degli investimenti interni: chi pianifica spese significative, dentro i nostri confini, si aspetta di spazzare via il campo dalle incertezze e dai dubbi interpretativi. Sta di fatto che in prima fila ci sono soprattutto le banche, che negli scorsi anni - guarda caso - hanno avuto seri problemi con l'Erario. Tra operazioni fuori legge e conti segreto nei paradisi fiscali, quasi nessuno, fra i principali istituti di credito del nostro Paese, si è «salvato». Tra il 2009 e il 2012 i contenziosi tributari con le banche hanno superato, complessivamente, quota 5 miliardi. Uno dei casi più eclatanti era stato quello di Unicredit: nel 2012 staccò un assegno da 246 milioni di euro alle Entrate dopo il braccio di ferro sull'operazione «Brontos» grazie alla quale sarebbe stato nascosto un reddito da 745 milioni.
Al Monte dei paschi di Siena la pace col fisco costò 260 milioni: a Siena erano state contestate manovre per oltre 1,1 miliardi. Il Banco Popolare, oggi fuso con Bpm, ereditò una bega fiscale da 391 milioni dalla ex Popolare di Lodi in relazione alla controllata Italease. Solo 13,2 milioni, invece, gli accertamenti in casa Ubibanca, il colosso che ha appena acquistato Etruria, banca Marche e CariChieti. A IntesaSanpaolo, invece, era arrivato un accertamento da 1,15 miliardi e chiuse la partita pagando 270 milioni allo Stato. Calcolatrice alla mano, vuol dire che su 5 miliardi totali contestati, il fisco ha incassato poco più di 1 miliardo. Prezzi di saldo. E ora c' è la compliance: ti metti d' accordo prima e (salvo sorprese) ti conviene. Vuoi vedere che le banche oltre la Nutella hanno fiutato l'affare?
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