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mercoledì 15 febbraio 2017

Scissione Pd, Bersani fa i conti: quanti voti prende il partito degli anti-Renzi

Scissione Pd, Bersani fa i conti: quanti voti prende il partito degli anti-Renzi



di Elisa Calessi



«A quanto è la scissione? Cinquanta a cinquanta», confida Pier Luigi Bersani a un amico. Davide Zoggia, pasdaràn della minoranza, le dà persino più chance: «Settanta a trenta». Anche per una ragione terra-terra, ma che ha la sua forza persuasiva: se, come probabile, si voterà con l’Italicum modificato dalla Consulta, cioè di fatto un proporzionale, con il 5% riesci a eleggere una ventina di deputati. «Con il 10% arrivi a 50», calcola un deputato. Probabilmente più di quelli che Matteo Renzi garantirebbe all’attuale minoranza. Certo, non è solo un problema di seggi. Secondo Gianni Cuperlo, impegnato a evitare la rottura, c’è una «disistima reciproca» tra quelli che ormai sono due partiti nel partito. «Non sopportano Renzi, lo hanno sempre considerato un usurpatore», scuote la testa David Ermini.

In questo contesto - e sotto lo sguardo interessato di Silvio Berlusconi, convinto che Michele Emiliano possa davvero battere Renzi e conquistare la guida del Pd - si consuma l’ultima lite: la data del congresso. Un dettaglio. Ma, come nei divorzi, si rompe su piccole cose. Spiegava ieri Bersani, fermandosi alla Camera con i giornalisti: «Andate a contare quanti mesi passarono prima del congresso quando si dimise Franceschini o Bersani: sei, sette mesi. Per dare il tempo ai candidati di farsi conoscere, di preparare una piattaforma... non è che il giorno dopo facciamo un congresso». Perché allora significa che «non c’è nessuna intenzione di aprire una discussione». Subito dopo è lo stesso Bersani, però, ad ammettere che non è solo un problema di date: «Io voglio bene a questo partito finché è il Pd. Quando diventa il Pdr (il Partito di Renzi, n.d.r.) non gli voglio più bene. Ma lo vediamo lo stato del partito? Qualcuno può dire che è migliorato? No, è peggiorato. E poi non si può stressare così il Paese». Quindi è pronto a fare la scissione? «La scissione c’è stata: Abbiamo perso per strada un sacco di gente». Poi, pur senza nominarli, lancia un appello a Dario Franceschini e ad Andrea Orlando: «Io spero che in questi due o tre giorni chi ha più buon senso ce lo metta. Spero che quelli che sono stati con Renzi riflettano, perché qui il problema si sta facendo molto serio. Siamo a un bivio. C’è un pezzo del nostro mondo che non ci sta più». Quanto a domenica, «non so se andrò all’assemblea».

In questo clima da divorzio imminente ieri Franceschini, Cuperlo e Orlando hanno tentato una mediazione. L’offerta è di allungare di qualche settimana i tempi. Anziché stabilire, come si è detto finora, che l’elezione del segretario si deve fare entro aprile, se non prima, si potrebbe ipotizzare di concludere il tutto nella prima settimana di maggio. Ieri girava la data dell’11 maggio per l’ultimo step, quello delle primarie, nell’ipotesi che le amministrative si tengano l’11 giugno (ancora non c’è il decreto che fissa quando si vota nei comuni).

Renzi, che ieri era a Roma, avrebbe dato mandato di sondare la minoranza su questa tempistica, ma senza troppa convinzione. «Il problema della minoranza non è avere qualche settimana in più», è il ragionamento che ha fatto ai suoi. «Loro vogliono fare il congresso dopo le elezioni amministrative, scommettendo che vadano male». Così, una volta che è ancora più logorato, provano a dargli la spallata finale. E nel frattempo cercano un candidato unico, visto che ora non ce l'hanno. «Ma io perché dovrei fargli questo favore?». Anche perché anticipare crea effettivamente qualche problema. Se le Amministrative si tengono l’11 giugno, occorre prevedere almeno un mese di campagna elettorale e i tempi per presentare i candidati, le liste. Si arriva all’11 maggio. Le primarie per il segretario, spiegano al Nazareno, devono essere concluse almeno una settimana prima che inizi la campagna per le amministrative. E così si torna alla fine di aprile.

Per tutte queste ragioni, la linea di Renzi, che ha il sostegno di Matteo Orfini, non cambia: domenica si riunisce l’assemblea nazionale che prenderà atto delle dimissioni del segretario. Non sarà eletto alcun reggente. A quel punto si convoca una direzione che nomina la commissione per il congresso. Si fa il regolamento, si parte. Bersani & C se ne vanno? «Voglio vedere su cosa si scindono», dice un alto dirigente del Pd. E comunque, «se non dovessero partecipare al congresso, parteciperà Emiliano. E anche Rossi. Se ne va solo Speranza?». Non si dà credito nemmeno all’altra voce che gira, ossia che Orlando si possa candidare contro Renzi, a quel punto come candidato della minoranza, allargata a pezzi dell’attuale maggioranza. «E a Speranza, che gira da mesi per l’Italia, chi glielo comunica?», commenta un renziano. «Non è un tema all’ordine del giorno», taglia corto il Guardasigilli. Anche se molti dei suoi, oltre che dei bersaniani, lo spingono. «Se si candida Orlando, si evita la scissione». «Sarebbe un congresso vero», dice un franceschiniano. Commento dei renziani: «Bene, così Matteo vince 60 a 40».

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