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domenica 11 settembre 2016

Renato Brunetta attacca Libero ma per noi è solo un fallito replica Libero: perché

Renato Brunetta attacca Libero ma per noi è solo un fallito replica Libero: perché


di Francesco Specchia



Sui marciapedi veneziani di Cannaregio, nella strepitosa ironia dei Dogi, Renato Brunetta è chiamato, da sempre, «Spanna montata». Che - se ci si pensa - non è un soprannome ma un trattato sociologico. Spanna montata. Dice tutto.

Quel soprannome è stato rievocato ieri, quando il capogruppo forzista della Camera si inalberava contro Vittorio Feltri che su Libero l'aveva imbrancato tra i «falliti» azzurri che vogliono spegnere la rivoluzione di Parisi attizzata da Berlusconi («Falliti a chi? Ma come ti permetti Vittorio», ha gridato, avvolto da un colorito carminio).

E lo stesso soprannome è stato poi richiamato quando lo stesso Brunetta ha fatto riprendere, una tantum, le pubblicazioni del Mattinale - il suo denso, freudiano, bollettino antistress - sparando contro la convention del 16-17 settembre di Stefano Parisi indicato non come la speranza d'un partito in coma ma come un passante della democrazia. Pare che Berlusconi si sia infuriato, facendogli richiudere il Mattinale. Ma pare che Brunetta non se ne sia accorto. Come quando, il 2 ottobre 2013, dichiarava davanti ai cronisti, col sorriso sprezzante la «sfiducia all'unanimità nei confronti del premier Enrico Letta»; mentre, contemporaneamente, il suo Presidente Berlusconi quella fiducia la votava.

Oppure come quando, in una progressione irresistibile, chiamava «elite di merda» la parte dell'opposizione che non gli garbava, augurandole di «andare a morire ammazzata»; o quando sfotteva i «panzoni», gli agenti di polizia che lavorano negli uffici; o quando sfanculava un'educata ragazza precaria («voi siete l'Italia peggiore!»). O anche quando definiva «fannulloni» i dipendenti del suo ministero della Funzione Pubblica; senza, peraltro, alla fine dei conti, aver mai debellato davvero il fenomeno dell'assenteismo. Il problema è che Brunetta, oltre a cannare i tempi di reazione, vive ormai una dimensione onirica tutta sua della politica. Dal partito gli fanno notare che per vincere occorre la palingenesi?

Renato non è Toti, o Romani, o la Santanchè: non si pone domande. No. Tira dritto, continua, indomito, la personale guerra atomica contro Renzi.

Lo fa in qualsiasi momento, luogo e posizione. Dal palco di Cernobbio, dove non essendoci neanche un usciere di dentrodestra non gli par vero d'assumersi il compito di rappresentare il resto del mondo contro il satana di Rignano; dalle pagine del divertito Foglio dove definisce Renzi «un accidenti della storia»; dal palco dei talk show dove prepara l'ennesima chiamata alle armi contro il «Papa straniero», sempre Parisi, e l'audience gridata lo accoglie sempre volentieri. Brunetta ormai è l'incasinatore di professione. Quando lo interpelli, per i primi cinque minuti ti parla di deficit e pil, sguaina dati Istat e ti spiega la deflazione e la stagnazione come un Keynes, uno Stiglitz qualsiasi.

Poi qualcosa in lui scatta. Forse è il ricordo della «Spanna montata», forse l'idea che al suo posto ora c'è Marianna Madia - e possiamo capirlo - fatto sta che gli parte l'embolo. E, smesso l'abitino ingessato dell'economista, Brunetta si dimena, ghigna come volesse prenderti a craniate, inveisce, si trasfigura. Somiglia in modo impressionante al Louis De Funes nevropatico nei film anni 70.

La realtà è che dovrebbero incazzarsi gli altri. Specie i suoi elettori. Per difendere il ruolo di bastiancontrario ad ogni costo Brunetta ha dichiarato su Radio 24 da Giovanni Minoli di rivolere l'Imu; ed è stato perfino capace di apprezzare le scelte di Monti sull'austerity e di D'Alema sul ritorno della vecchia guardia comunista. Come vicecoordinatore di Forza Italia e responsabile del programma ha coordinato pochino con un programma di cui s'ignora l'esistenza: ora è tra quelli che covano le ceneri del partito. Come ministro non ha lasciato traccia. Anzi, ricorda Peter Gomez del Fatto Quotidiano, «secondo un rapporto della Commissione Europea (dopo i fiammeggianti piani di ristrutturazione di Brunetta, ndr) l'Italia è ancora agli ultimi posti per l'accesso digitale agli uffici pubblici. I dati da lui strombazzati sulla straordinaria diminuzione dell' assenteismo nelle pubbliche amministrazioni, si sono dimostrati quantomeno gonfiati alla luce di quelli della Ragioneria Generale». Come candidato sindaco di Venezia - la sua città, occhio - Brunetta s'è candidato e ha perso per ben due volte. La seconda addirittura da Giorgio Orsoni, uno con l'appeal dell'orso Yoghi che potrebbe fargli da assistente. E hai voglia a dar la colpa alla città di sinistra; oggi in Laguna regna Brugnaro, di centrodestra...

Come professore universitario, pur combattendo i privilegi pensionistici dei dirigenti pubblici (leggi Rai) , «la rendita pensionistica che è sempre superiore ai contribuiti versati», è andato in pensione con 37 anni di contributi, di cui 10 «figurativi». E, per non infierire non m'infilo in altri fallimenti, come il Fomez 2, l'ennesimo carrozzone della Funzione Pubblica. Le suddette non sono esattamente illuminazioni da statista. L'uomo, però continua a ritenersi un fenomeno. Sarà perchè si era sinceramente preparato per vincere il Nobel per l' Economia - come confessò a Enrico Mentana - ; ma nel Palazzo Brunetta può essere accumunato assieme a molti altri «falliti» nel senso del progetto politico della rivoluzione liberale.

Spazzata da Tangentopoli la Prima Repubblica, Renato fu un ottimo professore di Economia Politica che, dalle terze file del craxismo, s'infilò da subito nelle liste (bloccate, naturalmente) dei boiardi berlusconiani. Ma ora di lui si ricordano, per il vero, le intemperanze in tv - molte delle quali sacrosante - i fatti privati, la polemica e la maleducazione. Sfuggono, nel complesso, le opere...

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